Roma, 1 agosto 1605
Contributo di Massimo Pulini, l’artista e storico dell’arte che ha attribuito a Caravaggio il dipinto Ecce Homo dell’asta Ansorena di Madrid dell’8 aprile 2021
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Dodici anni fa, quando la rivista “Storia dell’arte” stava realizzando il volume Da Caravaggio ai Caravaggeschi, ebbi diverse occasioni di incontro con Maurizio Calvesi e Augusta Monferini e in una di queste il discorso era caduto, come si può facilmente immaginare, sulle tante e improprie attribuzioni al Merisi che si stavano stratificando in quel periodo precedente il quarto centenario dalla sua morte.
Ricordo, su tutte, una frase di Maurizio che in poche parole riusciva a fare il punto della questione: “vedi Massimo, sono convinto che negli anni Cinquanta del Novecento si avesse una percezione migliore dell’opera di Caravaggio, rispetto a quanto non si abbia ora”.
I nostri occhi cambiano col mutare incessante della memoria, si può dire che ogni giorno siano diversi perché modifichiamo costantemente il nostro archivio interiore, smantelliamo le certezze di un tempo o le rafforziamo a seconda delle esperienze che la vita ci mette davanti, siamo inoltre sottilmente condizionati dagli occhi degli altri, dalla trasformazione collettiva del percepire.
La percezione si direbbe un fatto puramente sensoriale, ma non è mai solo questo, per tale ragione il poeta Valerio Magrelli scriveva
gli occhiali allora andrebbero portati tra l’occhio ed il cervello, perché è là, tra boscaglie e piantagioni di nervi l’errore dello sguardo. Qui si smarrisce la vista e nel suo andare alla mente si corrompe e tramonta
(da Ora serrata retinae, 1980).
Il percetto dunque si fonde al concetto in una frazione di secondo e non ci è più permesso di separarne i destini. Così siamo spinti a vedere e a porre meglio in risalto le immagini che già trovano posto, collocazione logica nella nostra memoria ed è quella classificazione che talvolta risulta gravata anche da errori, individuali o collettivi.
La regola di una progressione degli studi e di una sempre migliore conoscenza degli artisti del passato si infrange talvolta in prossimità del mito e alcune figure storiche che stimolano l’immaginario collettivo, finiscono per smarrire, ai nostri occhi, la trasparenza del loro pensiero, come un coccio di vetro sull’arenile.
Ma è anche vero che il riemergere di un dipinto smarrito può apportare un nuovo e improvviso nitore, illuminando una sequenza di fatti che fino a un attimo prima erano nascosti dall’ingombro di altre presenze le quali, dopo la scoperta, sono tenute a cambiare disposizione sul terreno della storia. Il ritrovamento dell’Ecce Homo di Madrid è esemplare in tal senso e ci permette ora di seguire, entro il labirinto iconografico ispirato al processo di Gesù, un filo rosso che consente un nuovo orientamento. Questo dipinto può davvero costituire una preziosa occasione per dissipare almeno parte delle nebbie oculari che sembrano averci colpito in questi anni, in questi decenni.
D’ora in poi ritroveremo in chissà quante tele, di caravaggeschi e non solo, un riverbero e un influsso di quella creazione asciutta e geniale, di quei tagli di luce e degli sguardi in macchina, di quella mestizia silente e di quel corpo ferito, segnato dai lividi della frusta.
Un quadro di quel tipo ha il potere istantaneo di mettere in fila molti altri dipinti, di indicarci quanti lo hanno visto e ammirato, quanti si sono ispirati a quella composizione. La sua postazione temporale e geografica, incisa nel primo agosto 1605 a Roma, corrisponde con precisione ai suoi caratteri e ai documenti in nostro possesso, chiarendo in modo intelligibile la progressione di stile di un artista che dava un senso alla sua costante mutazione.
Il tempo di esecuzione è tra i più turbolenti della sua vita, ma non è che la premessa all’abisso. La nota ritrovata da Rosanna Barbiellini nelle carte dell’archivio Massimi è datata 25 giugno 1605 e il pittore si obbliga “a pingere all Ill.mo Massimo Massimi, per essere stato pagato, un quadro di valore e grandezza come è quello ch’io gli feci già della Incoronazione di Crixto, per il primo di Agosto 1605”.
In quei trentasei giorni accaddero molte cose, sono conosciuti e registrati due episodi che portarono il Merisi in carcere, ‘fermato’ oggi diremmo, per qualche giorno. Il 19 luglio viene imprigionato per aver deturpato la porta di due donne delle quali sappiamo anche il nome, Laura e Isabella, mentre il 29 luglio Michelangelo da Caravaggio compie un’aggressione ai danni di Mariano Pasqualone per questioni legate a una certa Lena. Se da una parte queste informazioni rendono ancora più difficile il rispetto nella consegna, dell’opera promessa al Massimi, d’altro canto non lo possiamo escludere. Quando firma quella ricevuta o compie una deliberata bugia o è cosciente di poter portare a termine un tale dipinto in così pochi giorni. Sa comunque di esserne in grado e questo ci attesta una rapidità di esecuzione non immaginata prima.
Tra l’altro, pochi giorni dopo la naturale scadenza del contratto, vale a dire dal 6 al 17 agosto, il pittore è documentato a Genova (vedi Francesca Cappelletti, Caravaggio sugli altari, tra ‘naturale’ e sacro in “L’Eterno e il Tempo. Tra Michelangelo e Caravaggio”, catalogo della mostra di Forlì, 2018, p. 153).
L’opera ideata e compiuta in quel mese si trasforma in una cartina tornasole di quel periodo inquieto e dissennato, che alterna dunque le profondità spirituali condensate nel quadro, con una immersione nello stordimento notturno della città.
Anche questa dicotomia, che è alla base del mito, appartiene a un dato storico di cui ne devono tenere conto non solo gli sceneggiatori, ma pure i filologi.
Gli uni e gli altri sanno poi che l’anno successivo si troverà coinvolto in un diverbio con Ranuccio Tomassoni, fratello di un capitano delle guardie di un rione romano e che la colluttazione trasformerà il pittore in un assassino.
Questo epilogo non credo fosse ininfluente sulla storia del quadro e sul suo trasferimento in Spagna, confermatoci dal Bellori nella biografia dell’artista.
Un destino segnato forse impose all’opera e al suo autore una damnatio memoriae che si manifestò in due possibili uscite di scena: o nella cessione di un quadro che era divenuto sgradito, imbarazzante o nel suo trasloco verso la penisola iberica, a seguito dell’incarico ricevuto dal cardinale Innocenzo Massimi, quando nel 1623 divenne Nunzio Apostolico a Madrid.
L’attuale riemersione del dipinto oltre a dare riscontro al Bellori e, in qualche misura, anche a Giovan Battista Cardi, nipote del Cigoli, che lasciava intuire un disfarsi dell’opera di Caravaggio da parte del committente Massimi, dà a molti studiosi la possibilità di interpretare un’immagine potente e intensissima che attraverso una rigorosa spoliazione dalla retorica, l’autore ha concepito giungendo a soluzioni geniali, da par suo.
Avranno materia di dibattito sia i filologi che gli iconologi, ma anche tanti altri e già si sono comprensibilmente mosse le differenti opinioni, circa la datazione e l’interpretazione, anche tra quelli che ne hanno condiviso l’autografia. Tra le prime che sono giunte mi ha colpito l’osservazione di Alessandro Zuccari che ha posto l’attenzione su una fiammella chiara, che si trova sospesa sul capo, all’altezza della corona di spine. Nello scandaglio dell’opera l’avevo notata anche io, ma non ho saputo giudicare se si trattasse di una ridipintura o cos’altro. Credo ora che quella fiammella di luce meriti una ricerca specifica sperando porti a comprenderne meglio il significato. La prima cosa che avevo pensato era un richiamo al simbolo della pentecoste, quella discesa dello Spirito Santo in forma di piccola fiamma, che troviamo sulla fronte degli Apostoli nel momento miracoloso nel quale vengono dotati della capacità di conoscere tutti gli idiomi del mondo, in vista della loro missione evangelica.
Difficile per me spingermi oltre alla ricerca delle chiavi simboliche, ma questa idea di un Gesù assistito dallo Spirito Santo durante il suo processo terreno è qualcosa che mi resterà nei pensieri.
Dedico questo testo alla memoria dell’amico Maurizio Calvesi.
Montiano, 17 aprile 2021
Massimo Pulini
A questo link, gli articoli su Caravaggio presenti nell’archivio digitale di “Storia dell’arte”
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