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Archaeology now. Damien Hirst alla Galleria Borghese

Contributo della critica e storica dell’arte Maria Grazia Tolomeo.

Damien Hirst, artista noto al pubblico per essere stato uno dei protagonisti della Young British Art, approda alla Galleria Borghese di Roma, non nuova a contaminazioni audaci, inserendo i suoi lavori tra i capolavori della statuaria romana classica e della pittura italiana del Rinascimento e del Seicento (Archaeology now, giugno-novembre 2021).
La ricca decorazione degli ambienti eseguita con una varietà di materiali e di colori, marmi, stucchi, pitture, mosaici, grottesche accelera il desiderio di competizione di un artista poliedrico, ambizioso, provocatorio come Hirst.
Grandi statue, busti, erme, gruppi scultorei, oggetti preziosi, urne, teste, anche personaggi dei fumetti invadono gli spazi. L’evento, così è giusto chiamare ogni intervento realizzato dall’artista inglese, è stato curato da Anna Coliva e Mario Codognato con il supporto di Prada
.

Le provocazioni di Damien Hirst, iniziate nel 1991, esplosero con la presentazione, alla mostra Sensation organizzata alla Royal Academy di Londra del 1997, di uno squalo imbalsamato e immerso nella formaldeide, dentro una grande vetrina. L’opera divenne il simbolo dell’arte britannica degli anni Novanta. Contribuì al suo successo la grande promozione della scuderia del gallerista Saatchi, e fu venduta a 12 milioni di dollari. L’artista aveva già esposto pecore, bovini, larve che si trasformano in mosche sulla testa mozzata di un animale, all’interno di vetrine, con l’intento di stupire e di rimuovere i nostri standard visivi. Contemporaneamente mettendo nel book shop dei musei foto di lui stesso che cammina nella campagna inglese accanto a una placida mucca.

Sin dall’inizio le sue opere paiono interrogarsi sull’esistenza e sul tema della morte che viene esorcizzata dall’uomo ricorrendo alla religione, ai sacrifici rituali, anche alla medicina. Le grandi bellissime vetrine da lui esposte negli anni, contenenti migliaia di boccette, scatolette di farmacia o pilloline colorate, moltiplicate dagli specchi retrostanti, parlano di un desiderio di dare scacco alla morte, di una illusione di eternità.

Della caducità della vita parlano anche i mandala multicolori riempiti di ali iridescenti di farfalle, perfettamente allineate in cerchi concentrici, che rischiano di trasformarsi in polvere e di scomparire. Mandala psichedelici spesso inseriti in rosoni di cattedrali gotiche. Emozionanti quelli posti tra i grandi finestroni antichi di uno storico palazzo di Palermo. Si palesa fortemente l’interesse di misurarsi con l’antico e le sue forme, per appropriarsi, attraverso i riti, i miti, gli eroi, le personificazioni degli dei, di un linguaggio che parla di potenza, di seduzione, di violenza, di vita. L’ inserimento odierno dei suoi lavori all’interno di uno dei più bei Musei al mondo, la Galleria Borghese, lo pone direttamente in contatto con quelle forme tanto agognate, a cercare un possibile confronto con la collezione di Scipione Borghese, il cardinale che aveva voluto raccogliere le testimonianze di una gran parte della cultura romana e di quella del suo tempo nell’ambizione di superare le categorie non solo tra le arti ma anche tra realtà e finzione. Stesso desiderio che muove Hirst.
I lavori esposti, circa settanta, qui presentati, fanno parte delle centinaia di opere esposte a Venezia nel 2017 a Palazzo Grassi e a Punta della Dogana con il progetto Treasures From The Wreck of The Unbelievable, che racconta la storia immaginaria di un vecchio naufragio di una grande nave antica e ne espone il prezioso carico riscoperto: la collezione appartenuta al liberto Aulus Calidius Amotan, conosciuto come Cif Amotan II, destinato a un leggendario tempio dedicato al Dio Sole in Oriente. Un video, in mostra, riproponeva alcuni sub alla scoperta di questo tesoro meraviglioso, espediente perfetto per creare statue, busti, idoli, oggetti, realizzati in bronzo, marmo, cristallo di rocca, oro, argento, pietre preziose, pietre dure e concrezioni di altri materiali naturali. Le opere portano sulla loro pelle le mutazioni prodotte dall’essere state tanto tempo nei fondali marini.

Con lo spirito del pubblicitario contemporaneo, Hirst crea un avvenimento per cercare la visibilità, il successo, anche quello economico che gli permette di realizzare i progetti che ha in mente. Tutte queste opere sono state realizzati in un laboratorio con una squadra di più di quaranta assistenti esperti nella lavorazione dei diversi materiali.
A Hirst interessa confrontarsi con le immagini classiche per parlare dello scorrere continuo della vita. L’escamotage del ritrovamento della nave, carica di capolavori, gli è servito per fare un “inventario” delle forme artistiche dell’antichità. Non si tratta di citazionismo, ma dell’intento di inserire il suo lavoro nel flusso continuo dell’arte. La mostra diventa così un viaggio attraverso le icone che hanno segnato la storia dell’umanità. Le incrostazioni sul marmo, sul bronzo dei suoi eroi ci parlano, visivamente, dell’accumulo delle esperienze artistiche antiche. Un allestimento eccezionale pone le opere di Hirst in un continuo colloquio tra le sale con i capolavori della statuaria romana, greca, egizia e con quelli di Andrea del Sarto, Botticelli, Raffaello, Perugino, Correggio, Caravaggio.
Nella Galleria detta degli Imperatori Hirst ha sistemato Due grandi Urne di marmo di Carrara che sembrano essere nate in quel luogo e ha disposto due preziosissime Golden Doors di bronzo ricoperte di foglia d’oro e pietre in resina. Nella stessa sala al centro trionfa Il ratto di Proserpina di Gianlorenzo Bernini, con Plutone che afferra la fanciulla e Cerbero che affianca il dio: accanto, Hirst pone due sculture che raffigurano il feroce cane a tre teste, una, magnifica nella perfetta esecuzione, manifesta la sua aggressività, l’altra, ritrovata all’interno della nave, ricoperta di alghe, di escrescenze marine, di conchiglie.

Ph Prudence Cuming Associated Ltd  © Damien Hirst and Science Ltd. All rights reserved DACS 2021


Nella Sala dell’ “Ermafrodito” alla copia berniniana di Policleto sono affiancati i bronzi di Hirst, tre copie, diverse nell’esecuzione, una delle quali con sulla pelle i ricordi della permanenza negli abissi marini. Nella sala egizia uno splendido “Faraone non identificato” in granito blu, oro e agata bianca, e le tre teste una in bronzo, un’altra in bronzo dipinto e l’ultima ricoperta di conchiglie, di sabbie, di alghe. La copia, alla Warhol, è servita all’artista a teorizzare e a svilire il concetto di rarità, di unicità del capolavoro (lui stesso, in una intervista, racconta di aver venduto ad un ‘asta una copia al prezzo doppio dell’originale) ma soprattutto a parlare di mutazione, di metamorfosi. Bellissime e spaventose sono le maschere in marmo e  le “teste mozzate di medusa” in marmo e in malachite a confronto con “Davide con la testa di Golia” di Caravaggio.

Damien Hirst, The Severed Head of Medusa, 2015, Bronze, Private Collection, London. Ph Prudence Cuming Associates Ltd  ©Damien Hirst and Science Ltd
All rights reserved. DACS 2021/SIAE 2021 (dal sito galleriaborghese.beniculturali.it)

Di eccelsa fattura le due teste di “Penitenti”  in marmo nero all’interno della Sala del conte di Angers. Circondano la magica Paolina Borghese di Canova, nella Sala del Vaso, una serie di manichini in marmo nero e rosa che parlano con ironia del mondo odierno della moda, delle vetrine dei grandi Magazzini.  
Nella Sala del Centenario campeggia sopra “Amor Sacro e Amor Profano” di Tiziano Vecellio, uno dei più grandi Color Space dal titolo Dove che mostrano piccoli puntini colorati, avvicinati gli uni agli altri, in un vorticoso movimento.
I pochi esempi descritti, in un confronto puntuale cercato e allestito dall’artista stesso, sottolineano dunque come il tema della metamorfosi, tema sempre presente nel pensiero classico, sia al centro anche del suo pensiero. Qui non si parla della morte ma della vita e del suo evolversi.
La vita, anzi la nascita, per il filosofo Emanuele Coccia, che citiamo per aiutarci a leggere il lavoro dell’artista

non è altro che la necessità per ogni specie vivente di assumere una “carne” di un corpo che ha già vissuto e di doverlo quindi trasformare a propria immagine e somiglianza per farlo rinascere.

Coccia sottolinea un legame di continuità profonda e sostanziale che lega tutti i viventi che appartengono alla stessa specie, una relazione che lega tra di sé tutte le specie della terra. Un Dna custodito dal nucleo di ciascuna delle cellule e che è appartenuto in passato ad altri viventi, tutto quello che condividiamo con migliaia di altre specie soprattutto a causa di quella catena di metamorfosi che chiamiamo evoluzione.

Hirst sembra allinearsi a questo pensiero e lo trasferisce alle sue immagini auspicando anche una trasformazione del nostro modo di vedere: le ali di farfalle dei suoi Mandala, ad esempio, pongono l’attenzione sul bruco in mutazione. Uno stesso “io” – come suggerisce ancora Coccia – passa attraverso due corpi che non hanno nulla a che vedere l’uno con l’altro né anatomicamente né etologicamente. Hirst si appropria del concetto di metamorfosi e lo utilizza, come fa la vita con le forme, per realizzare molteplici immagini che portano in sé il tempo della storia. Il recupero dei materiali contenuti nella nave non è altro che una invenzione per riandare alle nostre origini culturali, a riprendere le forme, l’immaginario antico stratificato nel tempo. E l’accostamento con i capolavori classici è voluto ancora a questo scopo. Giustifica persino l’inserimento, talvolta molto ardito, di alcuni dei suoi famosi Color Space, come quello posto sopra all’ “Amor Sacro e Amor Profano” di Tiziano. Si tratta di una serie di dipinti ispirati alla logica dell’applicazione di vernici meccaniche: un gruppo di lavori in serie in cui le macchie erano dipinte liberamente. È un altro tassello del suo cammino artistico. Hirst stesso, in una intervista, parla di cellule al microscopio, di piccoli elementi che rompono l’idea di una immagine unificata, fluttuano nello spazio, scontrandosi e fondendosi l’uno nell’altro con un senso di movimento che contraddice la stasi della tela. L’interesse mostrato da sempre per le grandi istituzioni museali, il mettere a contrasto le sue opere affiancandole a quelle auliche dell’antichità, ci spinge a fermare l’attenzione sul come le immagini di oggi portino con sé echi del passato pur subendo continue metamorfosi.  A volte con ironia vengono sottolineate le differenze e le assonanze con i capolavori del museo. I lavori presentati in varie copie, lo ripetiamo, differenziandosi nei colori, nei materiali, alludono a quel legame assoluto che lega le immagini una all’altra in un continuum perenne.  
Hirst è figlio del suo tempo, utilizza codici spesso oscuri, caos immaginativo, facili ironie, il bello e il grottesco, sembra indugiare sull’effimero puntando con molta forza al suo essere diverso, innovativo, protagonista della contemporaneità. Utilizza la forza della comunicazione, l’uso dei media, gli eventi straordinari, e soprattutto l’interesse spasmodico per il mercato, uno dei totem odierni: fa entrare prepotentemente all’interno di un monumento del passato la forza del pensiero contemporaneo sottolineandone la fragilità, talvolta l’inconsistenza, ma soprattutto il diverso linguaggio con cui rappresenta il mondo.

Maria Grazia Tolomeo

Il 20 settembre 2021 un workshop dal titolo Contemporaneità barocca. Riletture incrociate di due mostre attuali si è svolto all’interno della mostra Damien Hirst. Archaeology Now e di Tempo barocco (Palazzo Barberini), per instaurare un dialogo interdisciplinare sulle nozioni di temporalità e storicità a partire da un confronto diretto con le opere esposte all’interno delle due esposizioni: un resoconto del workshop si può leggere qui.

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