La Pietà di Rimini di Giovanni Bellini: esposizioni e restauri (1930-2019)
Giulio Zavatta
La storia delle esposizioni della Pietà di Rimini di Giovanni Bellini (fig.1) prende avvio nel 1930, quando la fragile tavola uscì per la prima volta dalla città che l’ha sempre custodita fin dal XV secolo per essere esposta a Londra all’Exhibition of Italian Art 1200-19001.
Diciannove anni dopo fu prestata alla mostra belliniana curata da Rodolfo Pallucchini a Venezia2 e figurò quindi in due rassegne riminesi: l’occasione espositiva su Sigismondo Malatesta del 19703 e e Pittura a Rimini tra Gotico e Rinascimento del 19794. In definitiva, dal suo primo viaggio nel 1930 al 2001 fu esposta in quattro mostre e si spostò da Rimini solo due volte, per un totale di 203 giorni di prestito. Messa in esposizione nuovamente nel 2001 nella sua città in occasione de Il potere, le arti, la guerra5, a partire dal 2005 con la mostra forlivese su Marco Palmezzano6 si assiste invece a una intensificazione dei prestiti, spesso motivata da pretesi motivi di prestigio per una tavola improvvisamente assurta, con ricorrente definizione, ad ambasciatrice di Rimini in Italia e nel mondo. Nei contratti di prestito conservati presso l’archivio del museo ritorna pertanto, riportata da una determina all’altra come un refrain, la «valenza promozionale che potrebbe derivare ai Musei Comunali e alla città di Rimini» come giustificativo delle numerose concessioni. Da allora la Pietà di Rimini figura infatti in dieci esposizioni7, nove delle quali fuori Rimini. Dal 2005 al 2019 la preziosa opera è stata così prestata per più di mille giorni di esposizione (esclusi i tempi di preparazione e rientro) che ne fanno, con ogni probabilità, tra i capolavori del XV secolo, quello con la maggior frequenza di spostamento, contravvenendo a ragionevoli norme di tutela e privando per lungo tempo il museo cittadino della sua pittura più rappresentativa. In tutti i casi, dal 2001 in poi, il prestito è stato motivato per mere ragioni espositive e, anche se le schede del dipinto sono state curate spesso da esperti di Giovanni Bellini8, non si è apprezzato alcun sostanziale progresso nelle conoscenze, ferme alle ultime novità apportate da Augusto Campana nel 19629.
Ripercorrere la storia delle mostre della Pietà di Rimini di Bellini consente di ricostruirne la vicenda di studio e soprattutto di valutare le implicazioni conservative di una tavola che, nella sequenza di esposizioni, è stata sotto le mani di restauratori importanti, autori di interventi dagli esiti alterni, restauri che in verità sono avvenuti per lo più nei i primi settant’anni del periodo preso in considerazione. Interventi manutentivi che invece si sono diradati, di fatto, proprio quando la frequenza dei prestiti è diventata più fitta, impedendo alla tavola di godere dei necessari periodi di riposo.
La mostra di Londra nel 1930: l’impronta di Carlo Lucchesi, il restauro di Mauro Pellicioli L’importanza della mostra dell’arte italiana a Londra nel 1930 e i suoi espliciti intenti politici ha avuto un momento di grande evidenza grazie agli studi di Francis Haskell10 e al capitolo de La nascita delle mostre intitolato Botticelli al servizio del fascismo. Sulla scia di simili iniziative espositive nazionaliste, commentando il successo della mostra degli artisti spagnoli a Parigi, Ugo Ojetti aveva rilevato che la Exhibition of Spanish Painting at the Royal Academy of Arts del 1920 era stata di fatto una “mostra di governo, atto di propaganda nazionale”11, esortando a compiere una simile operazione anche attraverso l’arte italiana. Nel progresso degli anni seguì la Exhibition of Flemish and Belgian Art 1300-1900 del 1927, e la mostra degli Olandesi nel 1929, eventi che rafforzarono l’idea di presentare una rassegna italiana dai forti connotati politici per misurarsi col successo e coi numeri di queste precedenti iniziative. Fu Lady Ivi Chamberlain “che nutriva un debole – quantomeno – per Mussolini e anche per il fascismo”12 a promuovere, come noto, l’impresa di una grandiosa esposizione di arte italiana. Commissario unico e plenipotenziario in Italia fu Ettore Modigliani13, direttore di una impresa le cui implicazioni politiche evidentemente soverchiavano i puri intenti culturali.
Lionello Venturi, nella recensione della mostra apparsa su “L’Arte”, sintetizzò numericamente un successo di pubblico indiscutibile, non a caso messo a confronto con la corrispondente iniziativa di un’altra nazione14: “a mostra chiusa è opportuno farne il bilancio: ingressi a pagamento 541.666; cataloghi 152.379; album illustrati 27.868. Le rispettive cifre della mostra di arte olandese tenuta a Londra nel 1929 furono: 235.122; 84.271; 10.228. Dunque successo pieno, successo senza precedenti”15. Pur tuttavia ammettendo che “non si può risolvere coi numeri una questione che è di qualità e di gusto”, lamentò il fatto che la mostra dal punto di vista critico non ebbe il coraggio di avere “il proprio orologio cinque minuti avanti quello del pubblico”, sottostimando la pittura del Duecento e del Trecento – il gusto dei primitivi – e rafforzando nel pubblico un’idea tutto sommato scontata, e dal successo assicurato, di primato del rinascimento italiano16. In ogni caso il pur critico Venturi non ravvedeva nel trasporto per mare di cinquecento casse coi maggiori capolavori italiani, un oceano peraltro agitato da una tempesta tra la Bretagna e la Manica17, un rischio. Roberto Longhi definì invece la peripezia “il viaggio più terrificante che mai i capolavori italiani abbiano durato”18.
Lo stesso Modigliani, nelle sue memorie, ammise che le opere si trovarono “tra le onde di una violentissima tempesta” tanto che si “tremava in Italia per le sorti di sì sterminata e impareggiabile ricchezza”19. Per Venturi, al contrario, “il piacere di una tale vittoria è completo, e fuga tutti i timori che alcuni nutrivano per la conservazione delle opere d’arte spedite. Ho potuto constatare coi miei occhi ch’esse godevano ottima salute, e ritorneranno conservate come quando partirono. E poiché le opere d’arte valgono per la luce di civiltà che irradiano, c’è da sperare soltanto che le esposizioni siano sempre più frequenti e numerose per il raffinamento del gusto universale”20. Sulla sponda inglese, analogo entusiasmo per le grandiose esposizioni anche a scapito dei rischi che le opere potevano correre fu espresso da Roger Fry21.
Il caso di studio che si vuol presentare, accordandosi al tema introdotto, è quello del prestito della Pietà di Rimini di Giovanni Bellini: l’esposizione londinese fu il primo della lunga serie di viaggi di quest’opera, ma le procedure e le modalità della concessione, pur sotto la perentorietà di una richiesta inoltrata dallo stesso Mussolini, svelano gli scrupoli e quei timori non solo per la conservazione, ma anche sul rientro, che Lionello Venturi aveva evocato nel suo commento (e che erano in realtà condivisi dalla maggior parte dei direttori delle principali gallerie italiane)22.
Presso la biblioteca Gambalunga, tra le carte del museo un tempo accorpato all’antica istituzione bibliotecaria, riguardo alla mostra del 1930 si trova copia del telegramma che Mussolini inviò l’anno precedente a tutte le prefetture in Italia dove si proclamava che la mostra londinese sarebbe stata una “eccezionale manifestazione d’Italianità”23 e pertanto si pregava di trasmettere da parte del prefetto di Forlì “ai proprietari […] come il successo della Mostra sta particolarmente a cuore al R. Governo e come io conti sulla loro cooperazione”. Il soprintendente ai monumenti dell’Emilia Luigi Corsini (1863-1949) aveva precedentemente (14 settembre 1929) preso contatti con il direttore della biblioteca e pinacoteca di Rimini Carlo Lucchesi (1881-1959)24, il quale due giorni dopo inviò una lunga lettera al podestà Pietro Palloni (1876-1956). In questa missiva, pur prendendo atto della perentorietà dell’ordine di prestito, manifestò le sue perplessità:
motivo di grande ansia è, senza dubbio, per codesta On. Amministrazione e per me dover togliere dalla sua sicura sede e affidare, in certo modo, ai capricci del destino questo inestimabile tesoro d’arte e gemma preziosissima della nostra Pinacoteca: ansia che solo è mitigata dal pensiero che anche la Città di Rimini contribuirà con ciò (né piccolo sarà l’onore e il vanto) ad una sempre maggiore affermazione dell’Italia nel mondo, quale vuole e persegue incessantemente il Duce, e che saranno prese, a suo tempo, le più efficaci misure per la salvaguardia e l’incolumità del dipinto25.
Nonostante l’”ansia” per questa operazione, il podestà e il direttore aderirono al progetto che si configurava senza giri di parole come un’operazione voluta direttamente da Mussolini. Questo era del resto stato esplicitamente indicato dal soprintendente Corsini, che nel trasmettere copia della comunicazione del 30 agosto 1929 al prefetto di Forlì sulla quale si è sopra accennato rimarcava, sottolineandolo, che l’estensore era il “Capo del Governo” in persona.
Il velo di retorica nazionalista, tuttavia, non riuscì a sopraffare le preoccupazioni per quello che sarebbe stato il primo prestito del museo di Rimini26, da poco inaugurato nelle sale dell’ex convento di San Francesco27. Il 23 settembre Lucchesi riferì al podestà: “non le nascondo, per dovere d’Ufficio, che la notizia (diffusasi, non so come) ha destato vivissima apprensione fra i cultori d’arte della Città, che amano d’illimitato amore codesta gemma (unica e vera) della Pinacoteca”28. Per questo motivo Lucchesi prospettò a Palloni di prendere alcune misure “scrupolosissime e segrete” che, oltre a quelle garantite dalla soprintendenza di Bologna, “valgano a garantirsi dell’identità della preziosa tavola al suo ritorno in sede”29. Poco oltre il direttore della pinacoteca spiegò di cosa si trattava:
Queste misure consisteranno in un minuzioso e diligente esame delle caratteristiche esteriori della tavola (condizioni del dipinto, nodi del legno, venature, etc.), nel prenderne alcune nitidissime fotografie d’insieme e di dettaglio, e nell’apporvi un piccolo, quasi impercettibile segno di riconoscimento, noto soltanto a noi.
Questi particolari scrupoli, la volontà di apporre dei segni segreti e noti solo a Rimini sulla preziosa tavola venivano poco oltre giustificati dal direttore al podestà: “L’esperienza, purtroppo, ci ammaestra a quali sottilissimi inganni e diaboliche trame è capace di ricorrere la speculazione internazionale”30. In vero Lucchesi, piuttosto che una generica minaccia speculativa, doveva aver presente la situazione riminese, dove le grandi collezioni – spesso disperse proprio in quegli anni e dunque poste sul mercato antiquario – erano composte in parte da originali e in parte da copie realizzate da artisti locali come Luigi Pedrizzi, da insidiosi e famosi restauratori come Guizzardi31, o da mercanti senza scrupoli. Evidentemente Lucchesi aveva il timore che l’opera originale venisse contraffatta e che fosse restituita a Rimini una copia realizzata dagli abilissimi falsari che stavano in quel periodo immettendo nel mercato antiquario internazionale opere in grado di ingannare non solo i commercianti più scrupolosi, ma anche le grandi istituzioni museali. Per poter agire in segreto Lucchesi chiese al podestà il permesso di chiudere al pubblico la pinacoteca cittadina per tre giorni e contestualmente a questa iniziativa, interrogato sul valore assicurativo dell’opera, concluse semplicemente che questa era “inestimabile” tanto da ritenere “puerile voler[lo] fissare in una cifra”32.
La diffidenza era inoltre acuita dal fatto che a Lucchesi non fu concesso di accompagnare la tavola fino a Milano, dove Ettore Modigliani stava raccogliendo i capolavori da avviare a Londra, ma si preferì imporre il capocustode bolognese Alfredo Bocchini, scelta che comportò un’ulteriore rimostranza del direttore della pinacoteca di Rimini al podestà:
Da ultimo, sempre per l’amore che porto ai tesori che la Città di Rimini ha affidati alle mie cure, non posso tacere che molto avrei preferito che la preziosa tavola fosse scortata da me almeno fino a Milano, per consegnarla io stesso a quella R. Pinacoteca di Brera; ma poiché la R. Soprintendenza ha già provveduto a ciò con altra persona, sarà d’uopo non insistere33.
Tra le righe dei documenti che testimoniano la rapidità con la quale il Municipio di Rimini dovette assecondare la richiesta di prestito si può riscontrare che le ansie e le apprensioni rappresentate da Lucchesi fecero breccia nel podestà. Palloni, infatti, nel concedere la chiusura della pinacoteca per consentire di apporre i segni di riconoscimento segreti sulla tavola quattrocentesca, rispose il 26 settembre 1929:
In accoglimento della sua richiesta 23 corr. N. 437 autorizzo V.S. a tenere chiusa la Pinacoteca per tre giorni e ad aggregarsi il prof. Ravajoli per prendere quelle misure che valgano a garantire l’identità del quadro “LA PIETA’” del Giambellino al suo ritorno dalla Mostra d’Arte di Londra, alla quale ho dovuto aderire, come da comunicazione già fattale a parte34.
Le perplessità sul prestito, dunque, furono oggetto anche di colloqui privati, “a parte”, tra il podestà e il direttore della pinacoteca e colpisce, infine, dopo l’iniziale entusiasmo con il quale la municipalità di Rimini proclamò la sua partecipazione, che la concessione del prestito venisse configurata da Palloni con la significativa e forse rassegnata formula: “ho dovuto aderire”.
Il primo ottobre successivo quindi Lucchesi comunicò a Palloni:
Illustrissimo Signor Podestà Autorizzato dalla S.V. Ill.ma con Nota del 26 settembre u.s., n. 7999, con l’assistenza del Signor Prof. Gino Ravajoli, il 29 settembre u.s. ho preso quelle misure che mi sono sembrate le più efficaci a garantire l’identità del quadro del Giambellino al suo ritorno da Londra e delle quali allego qui l’elenco e la documentazione. Tante precauzioni potranno, forse, apparire esagerate o anche ridicole agli occhi dei profani; ma la S.V. Ill.ma a cui sì grandemente stanno a cuore i tesori artistici della Città, son persuaso che le approverà, e i Cittadini, nell’animo dei quali la notizia della partenza da Rimini di codesta meravigliosa gemma della Pinacoteca ha ingenerata tanta apprensione, non mancheranno di apprezzarle. Siffatta giustissima apprensione, che io pure condivido, potrà ora in molta parte acquetarsi giacchè con le misure preventivamente prese, qualunque diabolica insidia la speculazione internazionale possa tendere al nostro quadro, sarà da noi smascherata e respinta35.
Nell’allegato troviamo i quattro accorgimenti escogitati da Lucchesi, fortunatamente ancora documentati dalle immagini dell’epoca (figg. 2-5):
A garantire l’identità della Tavola “La Pietà” del Giambellino, al suo ritorno dalla Mostra d’Arte di Londra, il Dott. Carlo Lucchesi e il Prof. Gino Ravajoli, in seguito ad autorizzazione avutane dal Signor Podestà con nota del 26 settembre u.s. n. 7999, hanno prese le seguenti misure:
(allegato n. 1): Apposizione di impronte digitali (pollice mano destra del Dott. Carlo Lucchesi) sul margine bianco della Tavola all’angolo a destra in alto, al lato destro presso la firma, al lato sinistro in corrispondenza del gomito dell’angioletto;
(allegato n. 2): fotografia a grandezza naturale alla firma “ioannes bellinus pingebat”, con estensione anche alla impronta digitale a margine
(allegato n. 3): fotografia a grandezza naturale al fermaglio sul braccio sinistro dell’angelo (a destra di chi guarda), comprendente anche un fallo nel panneggiamento dell’angelo stesso, subito sopra la piaga della mano sinistra del Cristo
(allegato n. 4): Fotografia a grandezza naturale allo spessore della tavola al lato minore destro di chi guarda, in corrispondenza dell’originaria spaccatura in asse longitudinale della Tavola stessa
Altri rilievi di minor conto sono stati presi sopra apposita fotografia di detta “Pietà”, esistente in Pinacoteca (tarli, screpolature del dipinto etc.)36.
Gli espedienti escogitati da Lucchesi rivelano una cultura della conservazione ancora improntata di istanze cavalcaselliane, per l’attenta osservazione del dipinto anche nei suoi caratteri conservativi, con particolare attenzione per i difetti causati dalla fenditura, ma anche dai tarli e da altre alterazioni, che ne sancivano l’unicità e l’irripetibilità (una sorta di condition report antelitteram), e di motivi morelliani, in particolare alcuni aspetti del panneggio ritenuti imperfetti per cui caratteristici e peculiari di quest’opera di Bellini. Vengono quindi attuati precetti quasi lombrosiani nell’apposizione di impronte digitali. Quest’ultima precauzione è di particolare interesse perché fa affidamento su una tecnica investigativa ammessa nei processi solamente da poco tempo, che aveva trovato nella risoluzione del delitto Matteotti, pochi anni prima, l’applicazione di maggior clamore37.
I piani di Lucchesi e Ravaioli, tuttavia, rischiarono di essere vanificati solo il giorno dopo, quando giunse dal soprintendente Luigi Corsini la comunicazione che il ministero aveva accolto un’istanza di Ettore Modigliani finalizzata “a far restaurare sotto la sua personale direzione e responsabilità e con appositi fondi messi a disposizione la tavola del Giambellino”38. I timori di Lucchesi di una manomissione del dipinto si materializzavano così in questa proposta apparentemente vantaggiosa. Il direttore pertanto convocò d’urgenza la commissione comunale per il museo e la pinacoteca, che si riunì il 3 ottobre. Al consesso parteciparono il podestà, lo stesso Lucchesi, il fido Gino Ravaioli nel ruolo di ispettore onorario della Soprintendenza, il dottor Giuseppe Massani e il prof. Enrico Panzini, scultore. Non riuscirono a intervenire invece, forse per la mancanza di preavviso, e risultando assenti giustificati, il prof. Giuseppe Viviani, il prof. Luigi Pasquini e il prof. Mario Albini. Il lungo verbale steso da Lucchesi verte non tanto sul prestito dell’opera, ormai già deciso, quanto sull’inaspettata offerta di restauro da parte di Modigliani, che viene meglio specificata: “far eseguire al dipinto le operazioni necessarie e eventualmente rafforzare la tavola e ad intonare la fascia, ora di tono diverso, che attualmente la deturpa al centro”39. La relazione verbalizza la propensione del podestà di procedere al restauro, ma chiede al direttore della pinacoteca e agli artisti Panzini e Ravaioli un’opinione. Le notizie più interessanti, tuttavia, furono fornite da Lucchesi:
il Dott. Lucchesi informa che un validissimo rafforzamento della tavola con legno di rovere fu già eseguito nel 1923, quando essa fu tolta dal Municipio (dove conservavasi spezzata) e affidata alla Pinacoteca. L’operatore, anzi, vi impresse a fuoco sul retro il proprio marchio portante le lettere PF in nesso. Dopo di allora, nessuna nuova incrinatura della preziosa tavola si è più manifestata. Udito ciò, la commissione ha ritenuto superfluo ed inopportuno che si procedesse ad un nuovo rafforzamento della tavola.
Più complessa invece è apparsa la questione che riguarda il ritocco del dipinto. Il Dott. Lucchesi informa ancora che nel 1923, per mano (si dice) del medesimo operatore che rafforzò la tavola, un ritocco fu già eseguito qui in Rimini: ritocco che (se anche inizialmente fu perfetto), ora che, col procedere del tempo, i colori si sono chimicamente alterati, vela il dipinto al centro per un’altezza di circa dieci centimetri.
Rilevato ciò, la discussione è entrata nel campo della tecnica, e la parola è stata lasciata soprattutto ai professori Panzini e Ravajoli, concludendosi poi con le seguenti proposte:
Considerato che, per ottenere un restauro quanto più possibile perfetto, si richiede che l’operatore abbia a sua disposizione lungo spazio di tempo, se ne deduce che non può essere nelle intenzioni del Comm. Modigliani di procedere al restauro della tavola prima del suo invio alla Mostra di Londra. In ogni modo, se questi fossero gli intendimenti, la Commissione non si sente di potere esprimere il proprio assenso a un restauro che, fatto un po’ tumultuariamente, causa il brevissimo tempo che ancora ci separa dall’apertura della Mostra, desse in seguito gli stessi risultati che ha dato il precedente restauro. La Commissione, invece, non avrebbe difficoltà ad acconsentire a che si procedesse ad un lavaggio (esclusivamente sulla parte ritoccata dall’ultimo operatore), che valesse ad eliminare le particelle di colore sovrapposto al dipinto originale; poiché è logico pensare che sotto di esse si nasconda intatto (fuorchè, naturalmente, sullo stucco che chiude l’incrinatura), il colore originale del dipinto40.
Un documento allegato dattiloscritto da Carlo Lucchesi e probabilmente portato a conoscenza della commissione (ma non verbalizzato) fornisce preziose informazioni sul precedente restauro, patrocinato da Alessandro Tosi (1865-1949), allora ispettore onorario della soprintendenza, e con ogni probabilità da Francesco Malaguzzi Valeri (1867-1928), che curò con particolare zelo le operazioni che portarono all’apertura del museo di Rimini nel 1923. L’operatore che appose con marchio a fuoco il monogramma è indicato in Pompeo Felisati, noto restauratore bolognese protagonista a Rimini di una operazione che fece molto scalpore, ovvero la ripulitura della parte inferiore della pala di Ghirlandaio e bottega che portò alla scoperta di quattro figure, tra le quali quelle di Pandolfo IV Malatesta e Violante Bentivoglio41. Evidentemente Lucchesi non volle divulgare il nome del restauratore che sbagliò il ritocco della fascia centrale di Bellini, professionista che si era in altre occasioni reso benemerito per la pinacoteca di Rimini. Nello stesso documento sintetizzò poi la sua posizione:
rafforzamento della tavola, no, che non ce n’è bisogno; nuovo restauro alla spaccatura, nemmeno, poiché, restauro per restauro, è meglio accontentarsi di quello che è stato fatto, piuttosto che esporre la preziosa tavola a un nuovo esperimento (tanto, gli intenditori d’arte baderanno sempre alla parte originale e mai al restauro, e i profani sarà già molto se se ne accorgeranno); se poi, a giudizio di una Competenza e di una Autorità quale è quella del Comm. Modigliani, un nuovo restauro alla fascia è proprio indispensabile lo si esegua qui in Rimini quando la tavola sarà rientrata, che a Londra essa può benissimo figurare così come attualmente si trova42.
Il parere di Lucchesi era evidentemente legato alla sua speranza di evitare un restauro non solo per le ragioni sopra addotte, ma anche perché temeva che un intervento conservativo avrebbe inesorabilmente alterato la tavola anche in quei difetti che egli riteneva essere segni inequivocabili di riconoscimento della sua originalità. All’interno della commissione solamente Ravaioli era a conoscenza di questi dettagli segreti e con ogni probabilità la decisione di deliberare un diniego al restauro fu in qualche modo pilotata dal direttore.
Il 5 ottobre la cassa43 con la Pietà di Rimini di Giovanni Bellini partì così alla volta di Bologna44, mentre il 7 risultava consegnata a Milano, come riferito da Luigi Corsini45.
La relazione della commissione, stilata in triplice copia, giunse a Brera nelle mani di Ettore Modigliani, ma in definitiva né il restauro di Felisati né la posizione attendista degli esperti riminesi superarono il vaglio dei più moderni indirizzi del restauro46. Devo a Matilde Cartolari la segnalazione della risposta di Modigliani, conservata tra le carte del Ministero della Pubblica Istruzione47 e di una fotografia, pubblicata su “The Sphere” il 30 novembre 1929, che ritrae l’opera presso la pinacoteca di Brera in attesa di essere inviata a Londra (fig. 6).
Prendendo atto del parere della commissione riminese, Modigliani inviò un’articolata risposta al podestà nella quale peraltro evocò un suo precedente sopralluogo a Rimini durante la fase di scelta delle opere da inviare a Londra:
Comincio dall’escludere che questa Sovrintendenza avesse intenzione di procedere al “restauro” della tavola del Giambellino, come risulterebbe dalle parole sottolineate del detto verbale. Io Le trasmetto qui unite due mie Note al Sovrintendente di Bologna, dalle quali risulta evidente la mia intenzione, e cioè quella di rimuovere la fascia orizzontale di diverso colore che, a causa dell’alterazione del restauro compiuto alcuni anni fa, deturpa la tavola e quella eventualmente di rafforzare la tavola stessa. E mi spiego:
FASCIA DI RESTAURO – Prospettai la opportunità di rimuovere la fascia trasversale, cresciuta di tono, nel centro del dipinto perché era necessario intonare quella zona col resto del quadro, togliendo così una vera deturpazione, ma io mi sentivo certo, rimuovendo la fascia, di avere una piacevole sorpresa, quella cioè, di trovare, sotto la zona di restauro cresciuta di tono, il colore antico. Vedo che questa era anche la speranza della Commissione del Museo. Ora, dopo aver ricevuto il verbale, ho proceduto a far rimuovere con tutta cura – in mia presenza qui a Brera – parte di quel colore torbido che costituiva appunto quella fascia di restauro, e ho trovato che essa copre, per lo spazio di un paio di centimetri, la stuccatura della spaccatura e, per lo spazio di altri 7-8 centimetri, colore antico. Il lavoro è stato momentaneamente sospeso, e il dipinto è in condizioni ora, con la fascia metà rimossa e metà no, che chiunque può constatare come essa coprisse e copra buona parte del colore originale.
RAFFORZAMENTO DELLA TAVOLA – Allorché io nella lettera alla Sovrintendenza di Bologna ho parlato di eventuale rafforzamento della tavola sarei stato più preciso seavessi [sic] scritto: ‘eventuale rafforzamento della tavola oppure eventuale mutamento nel sistema di rafforzamento della tavola’, giacché io nell’ultima mia visita a Rimini non potei esaminare la tavola nel rovescio e constatai le sue precise condizioni. Ma questo esame ho compiuto qui ed ho con enorme sorpresa constatato che la tavola ha nel rovescio una specie di enorme telaio accompagnato da una traversa orizzontale e da due traverse verticali, telaio e traverse incollate e per di più fermate alla tavola con viti. Ora tale sistema costituisce semplicemente una assurdità. Il metodo che si segue per le tavole antiche che si spaccano, o minacciano spaccature, è, da almeno venti o trenta anni, quello di non costringerle con armature fisse, che impediscano alla tavola di ‘respirare’ secondo i mutamenti atmosferici, ma con grigliature di relativamente sottili sbarre; sbarre fisse, quelle che sono in direzione della fibra di legno; mobili, e a scorrere, quelle che sono nella direzione trasversale. Lo stesso Prof. Cavenaghi riparatore del ‘Cenacolo’ vinciano e che poteva essere considerato un luminare nell’arte del restauro, ha sempre praticato (e l’ho constatato con i miei occhio io che ho vissuto qui per molti anni vicinissimo a lui), e ha sempre prescritto nelle sue pubblicazioni, questo sistema di grigliatura che non appesantisce la tavola e che consente alle sue fibre di allargarsi e restringersi dolcemente e senza gli strappi (spaccature) prodotte dalle sbarre fisse con le quali è fatale che, se una tavola si spacca, torni a spaccarsi in un punto o in un altro; o per lo meno la tavola stessa è messa in condizioni di potere nuovamente subire il danno anche se non debba necessariamente subirlo. Nessun artista del restauro oggi ricorrerebbe più a sistemi così antiquati. Ora, se la tavola di Giambellino appartenesse a qualsiasi Galleria dello Stato noi non esiteremmo un minuto a rimuovere le macchinose e pericolosissime sbarre fisse per sostituirle con la grigliatura a scorrere (e io potrei far compiere il lavoro al Giambellino sotto la mia direzione qui a Brera nello spazio di brevissimi giorni), ma naturalmente la S.V. Ill.ma e i membri della Commissione sono arbitri di fare quello che credono e, nel caso persistano nella loro opinione, io mi limiterò (risparmiando così anche una notevole spesa) a fare esclusivamente rimuovere per intero la fascia di restauro e a intonare soltanto la sottilissima striscia della vecchia spaccatura, a deliminare [sic], cioè la deturmazione [sic] che menomava il quadro. Ma se io posso dare un consiglio alla S.V., Le suggerirei di pregare uno degli egregi tecnici della Commissione di fare un salto a Milano ad esaminare insieme con me e col valentissimo restauratore di Brera, Cav. Pellicioli, la tavola e a giudicare con noi quello che convenga fare.
In definitiva Modigliani sconfessò sia il giudizio positivo della commissione riminese sul consolidamento della tavola, sia il fatto che per un restauro a regola d’arte sarebbe occorso un tempo molto lungo48.
La mostra inglese tuttavia incombeva e il commissario chiese per questo di dare una risposta entro la fine del mese. Il 26 ottobre il podestà di Rimini Palloni acconsentì al restauro “moderno” della tavola, ovvero alla sostituzione della parchettatura fissa con il sistema scorrevole proposto dal restauratore Pellicioli. Le carte riminesi tuttavia tacciono e non è dunque noto se la commissione si riunì nuovamente per prendere questa decisione e soprattutto se Carlo Lucchesi si recò a Milano per concordare l’intervento (e s’immagina per constatare la permanenza dei segni segreti prima della partenza per Londra).
La Pietà riminese di Bellini, pur nel contesto di una mostra d’arte italiana che non aveva precedenti e che allineava più di seicento dipinti con numerosi tra i capolavori più celebri, riuscì ad attirare l’attenzione dei visitatori e dei conoscitori. Il primo riscontro fu pubblicato in anteprima sul Corriere della Sera del 31 dicembre 1929 e fu riportato con entusiasmo da Lucchesi in una lettera del 2 gennaio indirizzata al podestà49:
Ill.mo Signor Podestà,
Un senso di intima gioia, di cui desidero rendere partecipe anche la S.V. Ill.ma, mi ha pervaso l’animo apprendendo dai giornali (Corriere della Sera, 31 dicembre 1929) il posto veramente onorifico riservato al nostro “Giambellino” nella Mostra d’Arte Italiana a Londra. Esso è stato collocato nel Salone centrale della Royal Academy, sulla parete di fronte alla porta, a destra dei due Botticelli (la Nascita di Venere e la Calunnia) che ne occupano il centro. È un posto di primissimo ordine, che, se possibile fosse una graduatoria dei capolavori colà raccolti, porrebbe senz’altro il nostro quadro tra i primi esponenti della Mostra.
Tutto ciò viene inoltre a confermare, se di conferma ci fosse bisogno, il valore inestimabile di questa preziosissima gemma della nostra Pinacoteca, di cui i Riminesi vanno giustamente orgogliosi.
L’opera ebbe naturalmente una scheda sul catalogo della mostra50, probabilmente redatta da Antonio Morassi51. Charles Holmes la ritenne la migliore interpretazione di questo soggetto da parte di Bellini: “the Pietà of Rimini is the finest of its kind”52. Nel numero speciale de “L’Illustrazione italiana” dedicato alla mostra londinese fu riprodotta tra i capolavori più significativi53. Particolarmente rilevante è la doppia menzione che Morassi le dedicò nel reportage dall’esposizione di Londra pubblicato su “Emporium”54. Lo storico dell’arte goriziano, stretto collaboratore di Modigliani per l’organizzazione dell’evento, la citò una prima volta in una nota nella quale ricordava i restauri compiuti da Mauro Pellicioli sui “dipinti tra i principali” in previsione della mostra di Londra55. Quindi più estesamente nelle pagine successive, sempre rimarcandone il restauro: “del tutto Mantegnesca ancora è la Pietà di Rimini – che si rivede più fulgida dopo la recente pulitura” annotando che “la tavola, era spaccata per metà in senso orizzontale e malamente ritoccata”56.
Il ritorno del dipinto a Rimini fu meno avventuroso rispetto al viaggio d’andata. Rientrato a Milano, fu spedito in treno e fu ritirato a Santarcangelo di Romagna, dove il convoglio fece scalo per consegnare un altro dipinto inviato a Londra, il polittico di Jacobello di Bonomo57. Le carte dell’archivio del museo conservate in Gambalunga riferiscono che il 19 maggio 1930 l’ufficio tecnico del municipio di Rimini aveva già predisposto un camion per l’ultima parte del tragitto58. Il 22 maggio, così, Carlo Lucchesi poteva riferire che alla stazione di Santarcangelo fu aperta la cassa contenente la Pietà di Rimini “che ho ritrovato in perfetto stato” alla presenza di due carabinieri.
Indi, con l’assistenza del Signor Prof. Gino Ravajoli, ho proceduto al riscontro dei segni di identità o apposti alla tavola e fotograficamente ritratti il 1° ottobre u.s., come da mia n. 457 pari data, che ho trovato perfettamente rispondenti.
Perciò posso assicurare, con matematica certezza, la V.S. Ill.ma che la tavola a noi restituita è veramente la stessa che fu da noi consegnata alla R. Sovrintendenza di Bologna per la Mostra di Londra. Questa sicura constatazione (e il tranquillante pensiero che ne deriva) son certo che riuscirà oltremodo gradita anche alla S.V. Ill.ma e all’intera cittadinanza che, con non dissimulata ansia, vide allontanarsi da Rimini il meraviglioso capolavoro.
Aggiungo anche che la preziosissima opera d’arte è ritornata a noi, non dico più bella, ma certo più splendente per la ripulitura che, con somma perizia, ne fu fatta a Milano prima del suo invio a Londra, per la moderna e razionale intelaiatura con cui è stata assicurata e per la decorosa cornice entro la quale ci è giunta racchiusa. Per tali amorevoli e intelligenti cure apprestate al quadro, il Signor Comm. Ettore Modigliani si è reso, davvero, altamente benemerito della nostra Pinacoteca59.
Si concludeva così gloriosamente la trasferta della Pietà di Bellini a Londra, ovvero del primo prestito della preziosa tavola del museo, con piena soddisfazione del direttore Lucchesi che la vide tornare in condizioni migliori rispetto alla partenza.
La seconda guerra mondiale e la mostra di Bellini a Venezia nel 1949
Il secondo viaggio della Pietà di Rimini di Giovanni Bellini avvenne a causa della guerra. Fu ancora una volta Carlo Lucchesi a occuparsi del dipinto, coadiuvato anche in questo caso da Gino Ravaioli con il supporto di Augusto Campana. Pur mancando uno studio moderno su questi benemeriti della salvaguardia dei beni culturali e librari riminesi, disponiamo tuttavia di un dettagliato ricordo pubblicato dallo stesso Lucchesi nel 194760. Il 22 giugno 1940 la tavola belliniana, insieme ai più preziosi cimeli artistici e librari di Rimini, fu destinata a un rifugio collocato sulle prime colline a Santa Maria delle Grazie. Nell’ottobre del 1943, tuttavia, incombendo ormai il pericolo delle truppe tedesche in ritirata, Lucchesi chiese di spostare i capolavori in un luogo più sicuro e tra le varie opzioni scelse il palazzo di Torricella di Novafeltria messo a disposizione da Guido Mattei Gentili. Mentre crollava l’antico convento di San Francesco, sede del museo di Rimini, sferzato dai bombardamenti alleati, e con esso si perdevano tutte le opere che non si poterono trasferire, anche la chiesa delle Grazie subì considerevoli danni proprio nella parte dove erano rifugiate le opere d’arte del museo. Nel 1944, intanto, alcuni ufficiali tedeschi giunsero a Torricella di Novafeltria occupando il palazzo Mattei Gentili, consentendo però di spostare le casse con le “anticaglie” in una casa contigua; Carlo Lucchesi le vegliò per mesi durante tutte queste vicissitudini. Nell’estate 1945 le opere d’arte, tra le quali la Pietà, rientrarono a Rimini e furono collocate in alcune sale della biblioteca Gambalunga, essendo ormai in macerie il museo cittadino. Nel 1944, a pochi passi dall’ex convento di San Francesco, dopo il bombardamento del 29 gennaio, Alfredo Beltrami con tre aggettivi definì lo stato d’animo del direttore della pinacoteca, accorso tra i primi nel tempio malatestiano mentre ancora gli attacchi aerei erano in atto: “sul limitare, rigido, aggrondato, terreo, stava Lucchesi”61. La guerra aveva causato gravissime perdite, ma molti dei capolavori erano salvi.
Dopo pochi anni, nel 1949, la Pietà di Bellini fu chiesta per la seconda volta in prestito per la mostra veneziana a palazzo Ducale, con la cura di Rodolfo Pallucchini62. In tale occasione, contrariamente a quanto avvenuto per la mostra di Londra, l’adesione fu, come argomenteremo, senza riserve. Questo non solo per il buon esito della trasferta inglese della tavola, che come visto rientrò a Rimini in condizioni forse migliori rispetto alla partenza, ma anche per l’intensificarsi delle mostre d’arte nel quarto e quinto decennio del Novecento (una quarantina di monografiche o mostre “regionali”, una delle quali, nel 1935, proprio a Rimini: La pittura riminese del Trecento di Cesare Brandi)63. Questa intensa attività espositiva aveva reso usuale la pratica del prestito, non più percepita, come nel 1930, con il carattere dell’eccezionalità: sempre nel 1949, per di più, pervenne la richiesta di Carlo Ludovico Ragghianti di concedere il Ghirlandaio della pinacoteca di Rimini per la mostra Lorenzo il Magnifico e le arti, eventualità declinata dal sindaco romagnolo su indicazione di Lucchesi perché avrebbe causato la concomitante assenza dei due principali capolavori del museo64. A indirizzare il Bellini riminese a Venezia fu anche il fatto che Mauro Pellicioli, autore dell’apprezzato restauro in funzione dell’Exhibition of Italian Art 1200-1900, era in questa occasione collaboratore di Pallucchini. Dopo i successi del 1930, infatti, il restauratore aveva consolidato la sua fama – nonostante le polemiche sul restauro della pala di Castelfranco di Giorgione65 – grazie a importanti e celebrati interventi, tra i quali anche quelli sui Bellini delle Gallerie dell’Accademia di Venezia66.
La richiesta di prestito per la mostra veneziana pervenne a Rimini, firmata dal sindaco della Serenissima Giovan Battista Giaquinto, nel febbraio 194967. Il dipinto si trovava allora a Bologna per essere restaurato. In una ulteriore missiva indirizzata sia al direttore della pinacoteca di Rimini, sia al primo cittadino della città romagnola, il sindaco veneziano in qualità di presidente della mostra comunicò le condizioni del prestito, illustrando una situazione già consolidata e istituzionalizzata ben diversa rispetto alla precedente inedita esperienza londinese:
On.le Sindaco,
il successo di critica e di pubblico che hanno ottenuto le grandi mostre di arte antica organizzate da questo Comune (Tiziano, Tintoretto, Veronese, Mostra dei Cinque Secoli di Pittura Veneta, Mostra dei Capolavori dei Musei Veneti), hanno consigliato questa amministrazione ad indire per l’estate di quest’anno, in cui è chiusa la Biennale, una Mostra delle opere di Giovanni Bellini. La Mostra verrà inaugurata il 5 giugno nell’appartamento dei Dogi in Palazzo Ducale e verrà chiusa il 5 ottobre.
La scelta delle opere è affidata ad una Commissione Consultiva di eminenti studiosi e precisamente: Nino Barbantini, Sergio Bettini, Luigi Coletti, Giuseppe De Logu, Giuseppe Fiocco, Giulio Lorenzetti, Roberto Longhi, Vittorio Moschini, Rodolfo Pallucchini: la direzione della Mostra è affidata al prof. Rodolfo Pallucchini, Direttore delle Belle Arti del nostro Comune.
Le garanzie di custodia e di perfetta organizzazione, rese ormai sicure dall’esempio delle grandi Mostre precedenti durante le quali mai si ebbe a lamentare il minimo incidente, sono, quest’anno, aumentate, se così si potesse dire, dalla sede della Mostra in oggetto, date le particolari cure di sorveglianza messe sempre in atto dai preposti alla conservazione del massimo monumento cittadino che tanti altri tesori d’arte e di storia custodisce con diuturno amore. Va da sé che le opere esposte verranno assicurate, da chiodo a chiodo, contro ogni rischio, e saranno ritirate e riconsegnate a spese della Direzione della Mostra.
La fiducia con cui in passato gli Enti e i privati proprietari di opere d’arte affidarono a questo Comune tanti capolavori, con amore di collaborazione a nobilissima impresa e con cosciente e illuminato contributo di valorizzazione delle opere stesse e di glorificazione dei loro sutori, ci rende sicuri che la domanda di prestito delle opere di Giovanni Bellini per la Mostra che si viene preparando col consenso del Ministero della Pubblica Istruzione verrà accolta con l’abituale generosa cortesia, anche come prova di devozione alle tradizioni artistiche di Venezia.
Mi rivolgo quindi fiducioso a codesto Comune chiedendo per la Mostra in oggetto il prestito del dipinto di Giovanni Bellini “Cristo morto sorretto da angeli” del Museo Civico di codesta città, attualmente in restauro presso la Soprintendenza alle Gallerie di Bologna.Con grata deferenza
Il sindaco
Presidente della Mostra
G.B. Giaquinto68
Come evidente, il sindaco veneziano poteva farsi forza di una serie di mostre di successo già organizzate, del sostegno del ministero, di un comitato scientifico di prim’ordine che allineava alcune delle personalità più eminenti tra gli studiosi e di una sede espositiva di ineguagliabile prestigio. I termini, compreso il trasporto e l’assicurazione, erano inoltre chiari fin da principio, sicché il sindaco di Rimini il 9 marzo seguente acconsentì immediatamente al prestito scrivendo al referente della Pinacoteca Lucchesi: “di buon grado aderisco alla richiesta del Sindaco di Venezia di avere in prestito per la Mostra del Giambellino […] la tavola di questa Pinacoteca, raff. Cristo Morto”69, incaricando il direttore di occuparsene e di concordare il prestito a patto che il dipinto tornasse “col necessario restauro della tavola stessa”.
A questo punto entrò dunque nuovamente in gioco Lucchesi, ma i toni – e la fiducia – sono del tutto differenti rispetto a venti anni prima. Scrivendo a Pallucchini il 17 marzo comunicava al direttore della mostra di essere “veramente lieto che il quadro figuri in codesta importantissima manifestazione d’arte, e lieto pure che la cura del restauro venga affidata alla sua alta competenza e al suo squisito gusto”70. Lucchesi si limitò a questionare sul valore assicurativo proposto di due milioni e mezzo di lire – “cifra assolutamente insufficiente” – chiedendo di decuplicare la stima a venticinque milioni (e ottenendolo, anche a fronte di timide rimostranze veneziane)71.
Riguardo al restauro, il 12 marzo 1949 Carlo Lucchesi aveva comunicato a Venezia:
La preziosa tavola fu da me consegnata, lo scorso ottobre, alla Soprintendenza alle Gallerie di Bologna, più che per un vero e proprio restauro, per la correzione di un’alterazione cromatica ivi a poco a poco prodottasi in seguito ad un restauro che essa ebbe a subire quando venne inviata, nel 1933 [sic], alla Mostra dei capolavori italiani a Londra. Ora, non senza mia viva sorpresa, apprendo dalla Soprintendenza stessa che il piccolo restauro, pur dopo un sì lungo spazio di tempo, non è stato affatto eseguito e che, anzi, esso verrà affidato a codesto Comitato organizzatore della Mostra, col quale la suddetta Soprintendenza si è già messa in contatto epistolare.
Non è che io sia scontento di ciò, tutt’altro, molto più se il restauro verrà affidato, come mi si scrive, al chiaro Prof. Mauro Pelliccioni [sic], la cui fama di valentissimo restauratore è a tutti nota72.
Dalla lettera di Lucchesi si apprende dunque che, così come era avvenuto per il restauro di Felisati del 1923, anche il restauro di Pellicioli del 1929 aveva nel corso degli anni manifestato alcune alterazioni del colore (verificando di fatto la previsione che l’intervento prima della mostra di Londra “desse in seguito gli stessi risultati che ha dato il precedente restauro”). Lucchesi, tuttavia, forse memore della forte impressione ricevuta al rientro della tavola dopo la mostra di Londra, non mise in dubbio l’opportunità di affidare nuovamente la Pietà al medesimo restauratore. Il direttore della Pinacoteca di Rimini, peraltro, sembra distante – non è chiaro se perchè indifferente o disinformato – dalle polemiche sui restauri belliniani (e sui metodi di restauro di Pellicioli tout court) emerse a margine della mostra, che causarono come noto uno scontro aperto, e pubblico, tra Rodolfo Pallucchini e Cesare Brandi73.
Tornando alle vicende del prestito, lo stesso Pallucchini poteva comunicare il 10 maggio 1949 al soprintendente di Bologna e a Carlo Lucchesi che l’opera era giunta a Venezia e “già sistemata a Palazzo Ducale”74.
Lucchesi visitò la mostra, allestita da Carlo Scarpa, il 6 e 7 luglio 1949, riferendone al sindaco di Rimini nei giorni successivi75, dopo averlo ringraziato per aver autorizzato e sollecitato la visita:
Mi ci sono recato infatti nei giorni 6 e 7 del presente luglio, né so dirle il profondo godimento spirituale che ne ho provato e la mia segreta commozione nell’incontro col nostro Giambellino.
Il prezioso dipinto, magistralmente ritoccato e ripulito dal Prof. Pelliccioli [sic] di Venezia, splende ora davvero in tutta la sua bellezza e costituisce (per quello che ho potuto capire parlando con qualcuno dei dirigenti) uno dei capisaldi della Mostra, come lo prova, del resto, anche il particolare rilievo che ad esso è stato dato nell’ordinamento della Mostra stessa.
Sull’Informazione del Corriere della Sera nella terza pagina del 6-7 maggio 1949 Elio Zorzi, presentando la mostra, aveva anticipato il ruolo di primaria importanza dell’opera con un significativo collegamento all’Italian Exhibition: “il museo di Rimini presenterà il Cristo sorretto dagli Angeli che è una delle più patetiche scene dell’artista, il dipinto che forse ha avuto più successo alla mostra di Londra del 1930”.
Nei due giorni veneziani Lucchesi non ebbe modo di incontrarsi con Pallucchini, come si evince da una lettera di quest’ultimo del 18 luglio76; lo stesso Pallucchini contestualmente informò il direttore della pinacoteca di Rimini che era in stampa la seconda edizione del catalogo, anche se “non vi sono modificazioni alle note che si riferiscono al dipinto di codesto Museo, dato che nessun nuovo elemento è saltato fuori finora”.
Questa osservazione dello studioso si collega probabilmente all’inusuale incipit della sua scheda sull’opera77: “fintanto che non saranno rese note le ricerche del dr. Augusto Campana attorno alla famiglia committente di questo dipinto, è forse inutile riprendere tale vexata questio”, ricordando poi la citazione imprecisa di Vasari e il conseguente ventaglio di ipotesi alternative alla committenza di Sigismondo Pandolfo Malatesta dichiarata dall’artista e storico aretino. Pallucchini era dunque a conoscenza già nel 1949 degli studi di Campana, che riteneva di imminente pubblicazione, evento che in realtà avvenne solamente nel 196278, costringendo lo studioso a omettere queste notizie anche nella sua monografia su Bellini licenziata dieci anni dopo79. Le novità pubblicate da Augusto Campana nel 1962 negli studi in onore di Mario Salmi, come noto, restano dal punto di vista documentario l’unico (e l’ultimo) punto fermo sulla tavola riminese di Giovanni Bellini, attestandola inequivocabilmente nei legati testamentari di Rainiero Migliorati del 149980.
Alla fine della mostra veneziana, Pallucchini scrisse a Lucchesi per informarlo del ritorno del dipinto di Bellini a Rimini: anche in questa contingenza il viaggio avvenne in treno, e ancora una volta la tavola riminese viaggiò insieme a un altro dipinto, la Pala Pesaro81. Il direttore della Pinacoteca di Rimini rispose due giorni dopo con grande deferenza: “è stato veramente un onore per Rimini e per la sua Pinacoteca di avere avuta sì degna parte alla Mostra da Lei allestita, e considero come un vero onore per me che mi sia stata offerta l’occasione di corrispondere personalmente con Lei”82. Accusando la consegna della tavola il 18 ottobre, Lucchesi si rivolse ancora alla direzione della mostra di Bellini per ringraziare: “codesta Spett. Direzione per le sapienti cure apprestate al prezioso dipinto, che ora riapparirà ai Riminesi mirabilmente ringiovanito”83, concetti ribaditi in altra missiva scritta lo stesso giorno alla soprintendenza alle gallerie di Bologna84:
Il dipinto è ritornato splendidamente ringiovanito, ed è questo soprattutto che mi conforta; come pure mi conforta il sapere che esso è stato oggetto di tanta ammirazione da parte dei visitatori della Mostra veneziana, “Grande capolavoro e vanto di Rimini” lo ha definito il Pallucchini, preannunciandomene il ritorno in sede.
Si concludeva così trionfalmente anche la seconda trasferta della Pietà di Rimini di Giovanni Bellini85, rientrata in città ancora una volta in condizioni considerate migliori per un secondo restauro attuato da Mauro Pellicioli.
Il restauro di Ottorino Nonfarmale del 1969
La Pietà riminese di Bellini, nella prima metà del Novecento, fu dunque interessata con cadenza ventennale da mostre che portarono a significativi interventi di restauro, e con la stessa frequenza si sarebbe presentata la terza occasione espositiva, la mostra su Sigismondo Malatesta del 1970, nella quale – pur figurando in catalogo – l’opera non poté essere esposta, poiché ancora interessata dall’intervento di restauro attuato da Ottorino Nonfarmale nel 1969. Piergiorgio Pasini, nelle sue annotazioni, ricorda infatti che l’opera rientrò in museo solo nel 1971. La documentazione di questo lavoro si trova presso l’archivio del museo di Rimini e testimonia uno stato di degrado della tavola ritenuto irreversibile. Il 28 febbraio 1969 il direttore del museo di Rimini Mario Zuffa – Carlo Lucchesi era andato in pensione nel 1951 ed era morto nel 1959 – informava così il soprintendente alle Gallerie di Bologna Cesare Gnudi di aver consegnato nelle mani di Otello Caprara e Ottorino Nonfarmale la “pregevole tavola” del Bellini86 (fig. 7),
per la quale erano previsti finanziamenti per il restauro fin dal 196487. La prima idea fu quella di consolidare il supporto ligneo originale, come si evince da una asciutta relazione tecnica del 22 aprile 196988:
La presente perizia si riferisce al lavoro da eseguire allo scopo di verificare l’intima possibilità che il supporto ligneo possiede di resistere al tempo e di fornire ancora adeguata garanzia per la sopravvivenza della superficie pittorica. Infatti, a seguito dell’analisi del legno e della generale parchettatura, sarà possibile intervenire con un profondo e preciso restauro pittorico. Il legno si presenta fortemente alterato nelle sue componenti organiche. L’alburno è minacciato dai parassiti, che hanno lavorato indisturbati soprattutto perché protetti da una parchettatura “fiorentina” che non ha ottenuto altro scopo se non quello di celare la degradazione della materia che avveniva al di sotto del reticolo. Solo una minuziosissima e urgente opera di consolidamento potrà accertare, comunque, la capacità di resistenza che il supporto ligneo ancora possiede.
La relazione giunta da Bologna e firmata da Cesare Gnudi, ma certamente ispirata nelle parti tecniche da Caprara e Nonfarmale, riteneva dunque che la parchettatura “moderna” realizzata da Pellicioli nel 1929 a distanza di quarant’anni, a fronte di una stabilizzazione meccanica della tavola, avesse comportato tuttavia problemi organici al supporto ligneo. L’esito del tentativo, fallito, e del conseguente intervento fu comunicato da Bologna il 10 luglio89:
Ogni sforzo è stato fatto per consolidare il supporto ligneo di questo dipinto, causa unica ma purtroppo assai grave della degradazione della stessa superficie pittorica. La perizia n. 11 del 22.4.1969 inviata da questo Ufficio si riferiva infatti alla necessità di dare immediato inizio ai lavori per la verifica delle condizioni del supporto e al suo urgentissimo consolidamento.
Purtroppo questo lavoro – pur condotto con ogni perizia ed abilità – non si è dimostrato in grado di arrestare il processo negativo in atto, e lo stesso Consiglio Superiore, con decisione che qui allego in copia, ha ordinato di passare con urgenza al trasporto della pittura dalla vecchia fatiscente tavola alla tela.
Prima di ciò sarà tuttavia necessario, in vista dell’importanza fondamentale dell’opera, passare ad un adeguato esame chimico fisico del colore e della mestica, così da poter fornire all’operatore il maggior numero possibile di documentazioni e di analisi in proposito.
Tecnicamente, il procedimento di trasporto avverrà seguendo le fasi usuali: dopo protezione adeguata del colore, si eliminerà il supporto ligneo, cercando di asportare anche buona parte della pellicola gessosa alla base della mestica. Una volta costruito il nuovo intellaggio di sostegno, saranno eliminate a mezzo di solventi le tele e le resine usate per la prima fase. Il telaio sarà in alluminio anodizzato immerso in resine speciali. Dopo la pulitura e l’asportazione delle ridipinture, si farà un adeguato restauro pittorico. Ogni fase del difficile procedimento sarà documentata da numerose fotografie in nero e a colori.
Dal 1969, dunque, attraverso questo complesso intervento ancora una volta compiuto da uno dei maggiori restauratori italiani la Pietà di Rimini di Giovanni Bellini perdette il suo supporto originario e di fatto cessò di essere una tavola90, con tutte le implicazioni che ciò comportava anche dal punto di vista della fragilità, della stabilità e in ultima analisi della trasportabilità in caso di esposizioni91. Il nuovo stato è così diventato pretesto, anche di recente, per giustificare i pericoli notevolmente ridotti in caso di prestito, fatto salvo “il fattore di rischio rappresentato dalla sua movimentazione (eventuali danni provocati da urti accidentali o accadimenti simili)”92.
Dopo il restauro la tavola fu esposta nella mostra dedicata a Sigismondo Malatesta del 1970, tuttavia la scheda non fece riferimento all’intervento e la fotografia pubblicata, dove non si apprezza la fenditura orizzontale lasciata in vista da Nonfarmale, pare relativa a uno stato dell’opera precedente93.
Nella mostra Pittura a Rimini tra Gotico e Manierismo del 1979 Daniele Benati redasse una scheda esaustiva94 nella quale fece invece ampio riferimento al restauro di Nonfarmale, datato tra 1967 e 1969 (sebbene, come visto, le carte sembrino testimoniare un intervento avvenuto solamente nel 1969): per l’occasione il dipinto venne spostato dalla biblioteca alla vicina sala delle colonne del teatro, per quella che sarebbe stata l’ultima mostra, per di più intra moenia, del XX secolo.
Conclusione: “non ne abbiamo che un solo esemplare”
Come già accennato a partire dal 2001 o meglio dal 2005 il dipinto è stato prestato con una frequenza mediamente poco più che annuale. Sebbene sia stato sottoposto a regolari controlli prima e durante i prestiti, nei tempi più recenti si assiste a uno scollegamento tra gli eventi espositivi e gli importanti restauri che avevano caratterizzato, come finora esposto, i settant’anni che seguono il primo prestito a Londra. Il restauro Nonfarmale e la rimozione della tavola hanno evidentemente comportato una stabilizzazione delle condizioni del dipinto che non ha richiesto, in seguito, ulteriori rilevanti interventi. Lo scollamento tra mostre e restauri, con il passare del tempo (e in particolare negli ultimi quarant’anni di studi) ha fatto sì che le rilevanti questioni legate ai primi prestiti e ai conseguenti interventi conservativi, benché come abbiamo cercato di dimostrare fossero opera dei massimi esperti italiani, non siano stati presi in considerazione (o addirittura, nel caso dei restauri di Felisati e Pellicioli, non siano stati mai citati) in nessuna delle numerose occasioni espositive e nei relativi cataloghi, dove pure non si trova mai il riferimento alla presenza del dipinto a Londra nel 193095.
In due occasioni recenti, il prestito della Pietà di Bellini ha probabilmente favorito il ritorno a Rimini di opere di grande importanza per la città: nel 2016 del San Sigismondo in viaggio verso Agauno di Agostino di Duccio96 e nel 2020 della Madonna Diotallevi di Raffaello97.
Purtroppo, tuttavia, anche la Pietà di Rimini è soggetta al rischio di danni durante i frequenti spostamenti, anche quando sono implicate alcune delle massime istituzioni museali mondiali che operano con i migliori standard.
Lo dimostra il recente prestito della Pietà dalla National Gallery di Londra, alla Gemäldegalerie di Berlino, quando l’opera ha subito lievi ma non insignificanti danni, come evidenziato dalla relazione della restauratrice Adele Pompili: “l’opera al rientro dalla mostra “Mantegna e Bellini” […] ha riscontrato una modificazione della superficie della vernice all’apertura della cassa a Berlino”, e in particolare “l’opera presenta un’alterazione in diversi punti dello strato di vernice di restauro. Le alterazioni sono localizzate principalmente nella parte sinistra e destra del dipinto e presentano piccoli strappi alla vernice causati dall’adesione del materiale d’imballaggio, Tyvec/TNT, a diretto contatto con l’opera all’interno della cassa di trasporto”98. Piccoli danni che hanno dato occasione a una manutenzione straordinaria piuttosto che a un restauro, ma che ammoniscono sui rischi nel trasporto di opere così fragili. Eventi che fanno infine apparire quasi profetico l’”avvertimento” di Roberto Longhi nel suo resoconto su mostre e musei del 1959, nel quale richiamando una Pietà di Bellini a esempio, anche se forse non ebbe proprio in mente quella di Rimini, raccomandava di resistere e di limitare i prestiti di tali capolavori solamente per rarissime occasioni effettivamente essenziali e irrinunciabili:
… il dover loro [dei soprintendenti e dei direttori delle gallerie] è di resistere alle mostre inconsiderate, alle richieste importune. E in che modo? Mi spiegherò, per finire, ancora con un episodio: ingenuo, ma inconsciamente colmo di saviezza. Lo scorso anno, mentre si preparava la grande mostra lombarda, un comune dell’Alta Italia venne richiesto del prestito di un prezioso manoscritto miniato e, dopo un’apposita riunione della Giunta municipale, ebbe a telegrafarci candidamente: “Spiacenti non potere concedere prestito oggetto in parola perché ne abbiamo uno solo”. Sapienza dei popoli! Ecco la formula che anche i soprintendenti e i direttori di gallerie dovrebbero impiegare quando, periodicamente, si sentano richiedere vuoi “L’Amor Sacro e Profano”, vuoi la “Pietà” del Bellini, vuoi il “Gentiluomo inglese” o consimili capolavori: “Ci dispiace, impossibile, perché non ne abbiamo che un solo esemplare”99.
NOTE
[1] Exhibition of Italian Art 1200-1900 1930; un cenno parziale a questi materiali in Negli interstizi del tempo 2013, pp. 20-21.
[2] Giovanni Bellini 1949.
[3] Sigismondo Pandolfo Malatesta e il suo tempo 1970.
[4] Pittura a Rimini tra Gotico e Rinascimento 1979.
[5] Il potere, le arti, la guerra 2001.
[6] Marco Palmezzano 2005.
[7] A Roma: Antonello da Messina 2006; a Roma Giovanni Bellini 2008; a New York Passion in Venice 2011; a Rimini Gli angeli della Pietà 2012; a Milano Giovanni Bellini dall’icona alla storia 2012; a Milano Giovanni Bellini 2014; a Forlì Piero della Francesca. Indagine su un mito 2016; a Londra Mantegna e Bellini 2018, mostra in seguito riproposta a Berlino nel 2019. Nell’archivio del museo di Rimini alla data 19 aprile 2011 si trova la richiesta di prestito, unitamente alla tavola del Ghirlandaio, per la mostra “Da Raffaello a Kandinsky” organizzata da Marco Goldin a Rimini nel 2012, ma con il titolo “Da Vermeer a Kandinsky”. Le opere, dopo un’iniziale concessione al prestito, furono opportunamente lasciate nella pinacoteca civica. La stampa locale riminese ha dato inoltre ampio risalto nel 2015 alla richiesta di prestito della Pietà di Bellini da parte di Vittorio Sgarbi per una mostra da tenersi all’Expo di Milano; prestito inizialmente concesso (determina dirigenziale 877 del 15 maggio 2015) e in seguito revocato per le polemiche suscitate.
[8] Smith Arcangeli 2001, pp. 374-377; Tempestini 2005, pp. 216-217: Villa 2006, pp. 302-305; Villa 2008, pp. 178-181; Pulini 2012, pp. 6-10; Vinco 2012, pp. 68-71; Vinco 2014, pp. 168-169; Calogero 2016, pp. 154-155.
[9] Campana 1962, pp. 405-427.
[10] Haskell 2000, pp. 107-127; Haskell 2008, pp. 147-172, anticipati in Haskell 1999, pp. 462-472; si veda inoltre Borghi 2011, pp. 13-25; Hayum 2019, pp. 83-108.
[11] Ojetti 1921, p. 960.
[12] Haskell 2008, p. 150.
[12] Sul quale si vedano i vari contributi nel recente volume Ettore Modigliani 2021.
[14] Exhibition of Dutch Art 1450-1900 1929.
[15] Venturi 1930, p. 300.
[16] Ivi, pp. 302-303.
[17] Franzero 1930, pp. 393-396, in part. p. 393: “tremenda tempesta”; Wittgens 1948, p. 59: “In England, in 1930, he achieved popularity by bringing safely to London, in spite of a terrific storm, the masterpieces of Italian art which were shown at the Burlington House, on the ‘Treasure Boat’, Leonardo da Vinci”.
[18] Longhi 1969, p. 7; sul viaggio si veda anche il paragrafo Capolavori nella tempesta: i tesori italiani alla mostra di Londra del 1930 in Carminati 2009, pp. 222-232; Carletti, Giometti 2021, pp. 221-238.
[19] Ettore Modigliani 2019, p. 164; nel medesimo volume, sulla mostra del 1930 si veda Daffra 2019, pp. 291-294.
[20] Venturi 1930, p. 301.
[21] Fry 1930, p. 72.
[22] Haskell 2008, pp. 160-165.
[23] Biblioteca Gambalunga di Rimini (d’ora in poi BGR), Archivio Biblioteca, lettera di Luigi Corsini a Carlo Lucchesi del 23 settembre 1929; testo del telegramma di Mussolini ai prefetti interamente citata in Haskell 2008, pp. 154-155.
[24] Beltrami 1952, pp. XIII-XVI; Matteini 1977, vol. I, pp. 477-482.
[25] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Carlo Lucchesi al podestà di Rimini Pietro Palloni, 16 settembre 1929.
[26] In precedenza erano pervenute a Rimini due richieste di prestito entrambe non andate a buon fine. La prima in realtà è costituita dalla nomina dell’ispettore onorario Fagnani a commissario di zona per la Mostra del ritratto italiano di Firenze del 1911, che tuttavia non portò a nessuna segnalazione (BGR, Ispettori onorari, ispettore Fagnani, 6 aprile 1910); la seconda riguarda invece i cosiddetti “medaglioni” di Vittorio Maria Bigari provenienti da Sant’Agostino, chiesti in prestito, ma non concessi, alla Mostra della pittura italiana del Seicento e del Settecento di Firenze del 1922 (Zavatta 2009, p. 42).
[27] Pasini 1983, pp. 12-17.
[28] BGR, Archivio Biblioteca, Lettera di Carlo Lucchesi al podestà di Rimini Pietro Palloni, 23 settembre 1929.
[29] Ibid.
[30] Sull’interesse del mercato antiquario specie inglese nei confronti di Bellini: Humfrey 2015, pp. 279-299; Collavizza 2019, pp. 216-227.
[31] Zavatta 2019, pp. 40-41, 79.
[32] BGR, Archivio Biblioteca, Lettera di Carlo Lucchesi al podestà di Rimini Pietro Palloni, 23 settembre 1929. Si noti che il valore assicurativo indicato per la Pietà di Rimini nei prestiti dal 2001 in poi oscilla tra i 4 e i 5 milioni di euro, una cifra inadeguata che ha certamente incentivato le numerose richieste di prestito, comprimendo le spese assicurative.
[33] Ibid.
[34] BGR, Archivio Biblioteca, lettera del podestà Pietro Palloni a Carlo Lucchesi, prot. n. 7999, 26 settembre 1929.
[35] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Carlo Lucchesi al podestà Pietro Palloni, prot. n. 458, 1 ottobre 1929.
[36] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Carlo Lucchesi al podestà Pietro Palloni, prot. n. 457, 1 ottobre 1929.
[37] Andreoli 2009, p. 37.
[38] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Luigi Corsini al podestà di Rimini Pietro Palloni, 30 settembre 1929 (ma protocollata il 2 ottobre 1929).
[39] BGR, Archivio Biblioteca, Verbale della Commissione comunale per il Museo e la Pinacoteca, prot. n. 478, 3 ottobre 1929.
[40] Ibid.
[41] Massera 1924, pp. 95-101; Pasini 1983, pp. 92-96, n. 29; Pasini 2010, p. 78.
[42] BGR, Archivio Biblioteca, allegato alla relazione della commissione per il Museo e la Pinacoteca del 3 ottobre 1929.
[43] Per la realizzazione della cassa fu saldato il falegname riminese Cesare Martinini, con lettera del podestà di Rimini Pietro Palloni, prot. n. 488, 8 ottobre 1929.
[44] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Carlo Lucchesi al podestà Pietro Palloni, prot. n. 479, 5 ottobre 1929.
[45] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Luigi Corsini da Bologna a Carlo Lucchesi, prot. 4541, 7 ottobre 1929.
[46] Sulla posizione preminente di Brera come centro del restauro in Italia: Boscolo Marchi, Ferrara 2021, pp. 151-174; Visentin 2021, pp. 187-202.
[47] Archivio Centrale dello Stato, Roma, Ministero Pubblica Istruzione, Divisione II, 1929/33, Busta 66, Affari Generali. Mostra di Londra, Fasc. Mostra arte Italiana a Londra. Nel fascicolo si trova copia della relazione della Commissione per il Museo e la Pinacoteca di Rimini, la risposta di Modigliani del 19 ottobre 1929 e quella del podestà di Rimini Pietro Palloni del 26 ottobre 1929.
[48] Pinacoteca di Brera, Archivio dell’Ex-Soprintendenza ai Beni Storici, Archivistici ed Etnoantropologici di Milano, Esposizione di arte antica italiana a Londra, pos.4/383, fald. B: in una lettera del 18 ottobre 1929 Modigliani si lamentò al Soprintendente di Bologna per l’ingerenza della commissione riminese e in particolare “come non sia ammissibile che funzionari tecnici di quest’Amministrazione – investiti del gravissimo compito di sceverare il materiale che meglio possa far rifulgere le glorie dell’arte italiana in una mostra di tanta importanza quale sarà quella di Londra – possano men che ponderatamente affrontare il problema del restauro di una tavola del pregio di quella del Giambellino e proporre quindi senza maturo consiglio le provvidenze ritenute più adatte a rimettere in valore il dipinto di cui si tratta”. Ringrazio Matilde Cartolari per avermi segnalato questa lettera.
[49] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Carlo Lucchesi al podestà Pietro Palloni, prot. n. 2, 2 gennaio 1930. Altri riscontri sul prestito in ambito riminese: Granaroli 1930, pp. 45-46; Ravaioli 1930, pp. 19-21. Lucchesi si riferiva all’articolo di Ugo Ojetti sul Corriere della Sera dove la Pietà era ricordata a destra dei due Botticelli e a fianco della Flagellazione di Piero della Francesca, tra i maggiori capolavori dell’arte italiana. Una verifica compiuta presso gli archivi della Royal Academy e presso l’archivio storico dello studio fotografico A.C. Cooper di Londra, fotografo ufficiale della mostra del 1930, non ha dato esito, per cui non è al momento nota una immagine dell’opera durante l’esposizione londinese.
[50] Exhibition of Italian Art 1200-1900 1930, p. 101, n. 144 (A. Morassi?).
[51] Morassi 1939, p. 4: “Nel 1929-30 diede la propria collaborazione alla Mostra d’Arte Italiana a Londra; e per il catalogo della stessa redasse gran parte delle schede delle opere provenienti dall’Italia”. In realtà una copia del catalogo appartenuta a Morassi, ricca di annotazioni, rivela che lo studioso si trovò spesso in disaccordo con le attribuzioni, il che probabilmente lo configura come autore solo di parte delle schede. Nella scheda sulla Pietà di Rimini, Morassi non appose alcuna chiosa. Università Ca’ Foscari di Venezia, Biblioteca di Area Umanistica, catalogo della mostra del 1930 con annotazioni segnato MORASSI MOR 0333.
[52] Holmes 1930, p. 65.
[53] Torriano 1930, p. 413.
[54] Morassi 1930, pp. 136, 142; il restauro è ricordato anche da Wittgens 1931, pp. 96-98, citata in Carletti, Giometti 2021, p. 228.
[55] Ivi, p. 136: “Il cav. Mauro Pellicioli e i suoi aiuti passarono per mano, ove procedendo soltanto a una sommaria “toilette”, ove rifoderando tele o saldando il colore, ove “imparchettando” tavole, i seguenti dipinti tra i principali: Perugino, Il Padre Eterno, della Pinacoteca di Perugia; Giambono, S. Crisogono, della Chiesa di S. Trovaso a Venezia; Tiziano la pala d’Ancona; Giambellino, la Pietà di Rimini; Bellotto, il Vecchio ponte sul Po della Pinacoteca di Torino; Cosimo Tura, il San Giacinto della Estense di Modena; Butinone, la Madonnina con santi dei Principi Borromeo; ecc. ecc.”.
[56] Ivi, p. 142.
[57] Exhibition of Italian Art 1200-1900 1930, pp. 81-82, p. 105 (A. Morassi?); Hayum 2019, p. 95.
[58] BGR, Archivio Biblioteca, lettera del podestà Pietro Palloni a Carlo Lucchesi, prot. n. 4649, 19 maggio 1930.
[59] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Carlo Lucchesi al podestà Pietro Palloni, prof. n. 293, 22 maggio 1930.
[60] Lucchesi 1947; ripubblicato in Pasini 1983, pp. 218-224; Matteini 1977, vol. I, pp. 477-482; Pasini 2010, pp. 90-91; in generale sul periodo bellico a Rimini: Campana 2012.
[61] Beltrami 1952, p. VIII.
[62] Giovanni Bellini 1949.
[63] Mostra della pittura riminese del Trecento 1935; Longhi 1969, p. 8 rilevò che nel ventennio 1920-1940 in Italia si tennero circa quaranta mostre, che nei quindici anni successivi lievitarono a trecento.
[64] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Carlo Ludovico Ragghianti a Carlo Lucchesi, 22 aprile 1949; lettera di Carlo Lucchesi al sindaco di Rimini Walter Ceccaroni, 24 aprile 1949; lettera del sindaco di Rimini Water Ceccaroni al sindaco di Firenze Mario Fabiani, prot. 6213, 29 aprile 1949.
[65] Scardellato 2003, pp. 182-186; Pacia 2010, pp. 359-428; Piva 2014, pp. 543-554.
[66] Fogolari 1939-1940, pp. 251-254; Parca 2005, pp. 199-220; Cartolari 2019, pp. 267-279.
[67] BGR, Archivio Biblioteca, Lettere di Giovan Battista Giaquinto a Carlo Lucchesi, entrambe prot. 56056, 7 e 22 febbraio 1949.
[68] BGR, Archivio Biblioteca, Lettera di Giovan Battista Giaquinto al sindaco di Rimini Walter Ceccaroni e al direttore della Pinacoteca Carlo Lucchesi, prot. 56056, 22 febbraio 1949.
[69] BGR, Archivio Biblioteca, lettera del sindaco Ceccaroni a Carlo Lucchesi, prot. 2875, 9 marzo 1949
[70] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Carlo Lucchesi a Rodolfo Pallucchini, 17 marzo 1949.
[71] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Carlo Lucchesi al sindaco di Rimini Ceccaroni, 24 marzo 1949: “non si può lasciar viaggiare un pezzo di tanto valore, senza un minimo almeno di garanzia contro i rischi, per quanto possano apparire inverosimili e lontani”; lettera del sindaco di Venezia Giaquinto al sindaco di Rimini Ceccaroni, 28 marzo 1949 con richiesta di una revisione al ribasso della cifra assicurativa di venticinque milioni; lettera del sindaco di Rimini Ceccaroni al sindaco di Venezia Giaquinto, prot. 5117, 8 aprile 1949: “mi duole di non potere aderire alla sua richiesta di riduzione della cifra”.
[72] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Carlo Lucchesi al sindaco di Venezia Giaquinto, 12 marzo 1949.
[73] Brandi 1949, pp. 183-188; Pallucchini 1949, pp. 175-176; Moschini 1949, p. 176; Longhi 1949, pp. 274-283; l’ampio dibattito contestualizzato e documentato in Rinaldi 2019, pp. 221-238.
[74] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Rodolfo Pallucchini a Antonino Sorrentino e Carlo Lucchesi, 10 maggio 1949.
[75] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Carlo Lucchesi al sindaco Ceccaroni, 11 luglio 1949.
[76] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Rodolfo Pallucchini a Carlo Lucchesi, 18 luglio 1949.
[77] Pallucchini 1949a, pp. 124-125, n. 80.
[78] Campana 1962, pp. 405-427.
[79] Pallucchini 1959.
[80] Campana 1962, pp. 405-427; Giovanardi 2012, pp. 17-19; un ampio fascicolo di documentazione sugli studi di Augusto Campana in preparazione dell’articolo in BGR, Carte Campana, cassetta 4, fascicolo 4 “Notizie sulla Pietà riminese di Giovanni Bellini”.
[81] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Rodolfo Pallucchini a Carlo Lucchesi, 10 ottobre 1949.
[82] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Carlo Lucchesi a Rodolfo Pallucchini, 12 ottobre 1949.
[83] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Carlo Lucchesi alla direzione della mostra su Giovanni Bellini, 18 ottobre 1949.
[84] BGR, Archivio Biblioteca, lettera di Carlo Lucchesi alla Soprintendenza alle Gallerie di Bologna, 18 ottobre 1949.
[85] Citata nella recensione di Longhi 1949, p. 281; la Pietà di Rimini di Bellini comparve anche nel filmato dell’Istituto Luce Palazzo Ducale di Venezia: mostra delle opere di Giovanni Bellini, La settimana INCOM, Archivio Luce, codice filmato I030603.
[86] Museo della Città di Rimini, archivio moderno, lettera di Mario Zuffa a Cesare Gnudi, prot. 165, 28 febbraio 1969.
[87] Museo della Città di Rimini, archivio moderno, Lettera di Cesare Gnudi a Mario Zuffa, prot. 151, 12 febbraio 1964.
[88] Museo della Città di Rimini, archivio moderno, prot. n. 19470. Il titolo del fascicolo della soprintendenza, firmato da Gnudi, peraltro, sembra già indirizzare alla soluzione: “restauro ligneo e asportazione della materia lignea di un dipinto su tavola raffigurante Pietà di Giovanni Bellini sita nella Pinacoteca Civica di Rimini”.
[89] Museo della Città di Rimini, archivio moderno, prot. 25209.
[90] Friedländer 1955, p. 115 ricorda il successo di questo tipo di restauro, considerato però invasivo e rischioso.
[91] Sul restauro di Ottorino Nonfarmale: Pasini 1972, pp. 61-62; Benati 1979, pp. 40-41; Pasini 1983, p. 82; Rinaldi 1998, p. 112; Villa 2006, p. 302; Villa 2008, p. 178; Agosti 2009, pp. 136-137 (che rilanciò l’auspicio, già espresso da Benati nel 1979, di porre mano al dipinto specie nella fascia centrale); Pasini 2010, p. 104; Vinco 2012, p. 68; Vinco 2014, p. 168; Lucco 2019, p. 375.
[92] Museo della Città di Rimini, Archivio, Giovanni Bellini inv. 18 PQ, Relazione di Adele Pompili in vista del prestito della Pietà di Bellini e della Pala di San Vincenzo Ferreri di Domenico Ghirlandaio e bottega per la mostra di Marco Goldin Da Raffaello a Kandinsky, 19 aprile 2011.
[93] Pasini 1970, pp. 100-101; lo stesso anche il Wilde 1974, p. 19.
[94] Benati 1979, pp. 40-43.
[95] Cenni sulla presenza londinese, per il restauro del 1929 senza tuttavia ricordarne l’autore Pellicioli, in Pasini 1983, p. 93 e Lucco 2019, p. 375. Lo stesso Lucco, in quella che è la più accurata vicenda bibliografica specifica sul dipinto, tanto da contare centoquaranta voci, omette l’anonima scheda (ma come argomentato in questa sede probabilmente di Antonio Morassi, cfr. note 50 e 51) del catalogo dell’Italian Exhibition.
[96] Boldorini 2016, pp. 48-51.
[97] Zavatta 2019; Raffaello a Rimini 2020.
[98] Museo della Città di Rimini, Archivio, Giovanni Bellini inv. 18 PQ, Adele Pompili, Relazione sull’intervento di straordinaria manutenzione “Cristo Morto con quattro angeli” Giovanni Bellini 1475 ca., 29 settembre 2019.
[99] Longhi 1969, p. 23. La Pietà di Rimini di Giovanni Bellini, a oltre cinquant’anni dall’ultimo intervento di restauro, mostrando varie alterazioni nelle stuccature, nei ritocchi pittorici e un generale ingiallimento delle vernici – peraltro, come argomentato, provate da recenti spostamenti – attende ora un intervento di accurata manutenzione, piuttosto che una prossima mostra.
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S. Parca, Restauri pittorici a Venezia. Mauro Pellicioli alle Gallerie dell’Accademia (1938-1960), in Venezia. La tutela per immagini; un caso copie degli archivi della Galleria fotografica Nazionale, a cura di P. Callegari, W. Curzi, Bologna 2005, pp. 199-220.
PASINI 1970
P.G. Pasini, [Giovanni Bellini, Pietà], in Sigismondo Pandolfo Malatesta e il suo tempo, catalogo della mostra, Rimini, Palazzo dell’Arengo, 12 luglio – 13 settembre 1970, a cura di F. Arduini, G.S. Menghi, F. Panvini Rosati, P.G. Pasini, P. Sanpaolesi, A. Vasina, Vicenza 1970, pp. 100-101.
PASINI 1983
P.G. Pasini, La Pinacoteca di Rimini, Milano 1983.
PASINI 2010
P.G. Pasini, Vicende del patrimonio artistico riminese, Rimini 2010.
Passion in Venice 2011
Passion in Venice Crivelli to Tintoretto and Veronese. The Man of Sorrows in Venetian art, catalogo della mostra, New York, Museum of Biblical Art Mobia, 11 febbraio – 12 giugno 2011, a cura di C.R. Puglisi, W.L. Barcham, New York 2011.
Piero della Francesca. Indagine su un mito 2016
Piero della Francesca. Indagine su un mito, catalogo della mostra, Forlì, Musei di San Domenico, 13 febbraio – 26 giugno 2016, a cura di D. Benati, F. Mazzocca, A. Paolucci, Milano 2016.
Pittura a Rimini tra Gotico e Rinascimento 1979
Pittura a Rimini tra Gotico e Manierismo, catalogo della mostra, Rimini, Sala delle Colonne, 1 agosto – 30 ottobre 1979, a cura di C. Volpe, A. Emiliani, Rimini 1979.
PIVA 2014
C. Piva, Quali biografie per i restauratori? Cultura del restauro e problemi di metodo: il “caso” del restauro di Pellicioli sulla pala di Castelfranco, in La cultura del restauro. Modelli di ricezione per la museologia e la storia dell’arte, a cura di M.B. Failla, S. Adina Meyer, C. Piva, S. Ventra, Roma 2014,pp. 543-554.
PULINI 2012
M. Pulini, [Giovanni Bellini, Cristo morto con quattro angeli], in Giovanni Bellini. Gli Angeli della Pietà, catalogo della mostra di Rimini, 19 agosto – 4 novembre 2012, Museo della Città, a cura di M. Bona Castellotti, M. Pulini, Torino 2012, pp. 7-10.
Raffaello a Rimini 2020
Raffaello a Rimini. La Madonna Diotallevi, catalogo della mostra, Rimini, Museo Civico Luigi Tonini, 16 ottobre 2020 – 10 gennaio 2021, a cura di G. Zavatta, Rimini 2020.
RAVAOLI 1930
G. Ravaioli, La Pietà di Giovanni Bellini, in “Ariminum”, a. III, n. 2, pp. 19-21.
RINALDI 1998
S. Rinaldi, I Fiscali, riparatori di dipinti: vicende e concezioni del restauro tra Ottocento e Novecento, Roma 1998.
RINALDI 2019
S. Rinaldi, Brandi rimprovera Pallucchini: vernici e velature nei restauri belliniani del 1949, in Rodolfo Pallucchini: storie, archivi, prospettive critiche, a cura di C. Lorenzini, Udine 2019, pp. 221-238.
SCARDELLATO 2003
C. Scardellato, La pala di Castelfranco. Restauro e problemi conservativi, in Giorgione. “Le meraviglie dell’arte”, catalogo della mostra, Venezia, Gallerie dell’Accademia, 1 novembre 2003 – 22 febbraio 2004, a cura di G. Nepi Scirè, S. Rossi, Venezia 2003, pp. 182-186.
Sigismondo Pandolfo Malatesta e il suo tempo 1970
Sigismondo Pandolfo Malatesta e il suo tempo, catalogo della mostra, Rimini, Palazzo dell’Arengo, 12 luglio – 13 settembre 1970, a cura di F. Arduini, G.S. Menghi, F. Panvini Rosati, P.G. Pasini, P. Sanpaolesi, A. Vasina, Vicenza 1970.
SMITH ARCANGELI 2001
C. Smith Arcangeli, [Giovanni Bellini, Cristo morto sorretto da quattro angeli], in Il potere, le arti, la guerra. Lo splendore dei Malatesta, catalogo della mostra, Rimini, Castelsismondo, 3 marzo – 15 giugno 2001, a cura di A. Donati, Milano 2001, pp. 374-377.
TEMPESTINI 2005
A. Tempestini [Giovanni Bellini, Cristo morto sorretto da quattro angeli] in Marco Palmezzano il Rinascimento nelle Romagne, catalogo della mostra, Forlì, Musei di San Domenico, 4 dicembre 2005 – 30 aprile 2006, a cura di A. Paolucci, L. Prati, S. Tumidei, Milano 2005, pp. 216-217.
TORRIANO 1930
P. Torriano, Panorama della mostra”, a. LVII, n. 10, 9 marzo 1930, pp. 397-414.
VENTURI 1930
L. Venturi, L’esposizione d’arte italiana a Londra, in “L’Arte”, 33, 1930, pp. 300-303.
VILLA 2006
G.C.F. Villa, [Giovanni Bellini, Cristo morto con quattro angeli], in Antonello da Messina, catalogo della mostra, Roma, Scuderie del Quirinale, 18 marzo – 25 giugno 2006, a cura di G. Poldi, G.C.F. Villa, Cinisello Balsamo (MI) 2006, pp. 302-305.
VILLA 2008
G.C.F. Villa, [Giovanni Bellini, Cristo morto con quattro angeli] Giovanni Bellini, catalogo della mostra, Roma, Scuderie del Quirinale, 10 settembre 2008 – 11 gennaio 2009, a cura di M. Lucco, C.F.V. Villa, Milano 2008, pp. 178-181.
VINCO 2012
M. Vinco, [Giovanni Bellini, Cristo in Pietà sorretto da quattro angeli], in Giovanni Bellini dall’icona alla storia, catalogo della mostra, Milano, Museo Poldi Pezzoli, 9 novembre 2012 – 25 febbraio 2013, a cura di A. De Marchi, A. Di Lorenzo, L. Gallimichero, Torino 2012, pp. 68-71.
VINCO 2014
M. Vinco, [Giovanni Bellini, Cristo in pietà e quattro angeli], in Giovanni Bellini. La nascita della pittura devozionale umanistica, catalogo della mostra, Milano, Pinacoteca di Brera, 9 aprile – 13 luglio 2014, a cura di E. Daffra, S. Bandera Bistoletti, Milano 2014, pp. 168-169.
VISENTIN 2021
M. Visentin, Se il restauro “è fatto a Brera, l’importanza ne aumenta adeguatamente”. La soprintendenza di Trieste e il suo rapporto con Milano, in Ettore Modigliani soprintendente. Dal primo Novecento alle leggi razziali, a cura di E. Pellegrini, Milano 2021, pp. 187-202.
WILDE 1974
J. Wilde, Venetian Art from Bellini to Titian, Oxford 1974.
WITTGENS 1931
F. Wittgens, Storia della mostra di Londra, in “Almanacco della Donna italiana”, XII, 12, pp. 95-110.
WITTGENS 1948
F. Wittgens, Obituary: Ettore Modigliani, in “The Burlington Magazine”, 90. 1949, p. 59.
ZAVATTA 2009
G. Zavatta, Vittorio Maria Bigari a Rimini: lo strappo da Sant’Agostino dopo il terremoto del 1916 e alcune considerazioni sugli studi moderni, in “L’Arco”, I, 2009, pp. 36-47.
ZAVATTA 2019
G. Zavatta, Raffaello. La Madonna Diotallevi. La vicenda storico critica, Rimini 2019.