Caravaggio, Lena e Maddalena Antognetti. Una storia da riscrivere*
FRANCESCA CURTI E ORIETTA VERDI
Introduzione
Nessun pittore nello scorso e in questo secolo ha attirato su di sé l’attenzione come Caravaggio, nessuno come lui è stato capace di coinvolgere lo spettatore moderno, più o meno colto, più o meno esperto, all’interno dei suoi quadri, delle sue composizioni, dei suoi contrasti di luce e ombra. Senz’altro il suo carattere, la drammatica biografia hanno avuto un peso nell’avvicinare un personaggio così distante dal nostro mondo al modo di sentire attuale, tuttavia, come ha brillantemente intuito Claudio Strinati, l’attrazione contemporanea verso Caravaggio sta nella sua capacità di aver reso l’arte una forma di comunicazione in senso moderno, di aver permesso a chiunque, attraverso «l’arma della dimensione autobiografica», di avere accesso all’esperienza estetica in maniera democratica1 Strinati 2010, p. 25 .
Dopo la riscoperta di Caravaggio all’inizio del Novecento ad opera di Lionello Venturi e Roberto Longhi, infatti, l’interesse per il pittore lombardo non ha fatto che crescere, coinvolgendo negli anni generazioni di storici dell’arte che hanno contribuito (e contribuiscono tuttora) a scoprire e interpretare aspetti della sua vita e della sua arte, analizzandoli, come per pochi altri artisti nella storia dell’arte, sotto i più svariati profili da quello stilistico a quello storico, sociale, culturale, letterario, teologico, filosofico e persino psicologico. Lo studio sempre più approfondito delle opere del Merisi, i cui risultati sono stati resi noti nelle numerose mostre che si sono susseguite a partire da quella storica di Longhi del 1951 in poi, ha trovato d’altro canto una risposta sempre entusiasta da parte del pubblico, che lo ha eletto ad icona dei nostri tempi.
Accanto al proliferare degli eventi culturali sul grande artista lombardo, a partire dagli anni Settanta ha cominciato ad assumere sempre più importanza un filone di indagine rivolto alle fonti documentarie e alla ricerca di testimonianze su Merisi nelle carte d’archivio, che ha comportato gradualmente l’ingresso nella disciplina storico-artistica tout court di competenze proprie degli studi storici, cioè del moderno metodo storico e della critica delle fonti2. L’edizione di documenti riguardanti Caravaggio era stata fino agli anni Settanta del secolo scorso occasionale e spesso condotta senza criteri filologici rigorosi. . Nel solco di una tradizione inaugurata da Antonino Bertolotti, autore delle prime scoperte documentarie su Caravaggio3 Bertolotti 1881 , a partire dagli anni Ottanta e Novanta numerosi studiosi, da Mia Cinotti a Vincenzo Pacelli, fino a monsignor Sandro Corradini e Maurizio Marini, solo per ricordarne alcuni, hanno rintracciato e pubblicato documenti che hanno permesso di illuminare passaggi importanti della biografia e dell’attività del pittore4Cinotti, Rizzatti 1973; Cinotti, Dell’Acqua 1983; Cinotti 1991; Pacelli 1977; Pacelli 1991; Corradini 1993; Marini, Corradini 1993. Per una bibliografia completa delle fonti su Michelangelo Merisi si rimanda a Macioce 2010, e Cesarini 2011 (per il periodo romano). . Il metodo d’indagine che basava la ricostruzione storica degli eventi sullo studio della documentazione d’archivio e delle fonti letterarie aveva condotto Maurizio Calvesi a decisive intuizioni e guidato Luigi Spezzaferro nelle sue indagini capillari e illuminanti5 Calvesi 1971; Spezzaferro 1971; Spezzaferro 1974; Calvesi 1987; Spezzaferro 1995. L’approccio storico alle questioni caravaggesche, cfr. Calvesi 1990; Spezzaferro 2002; Spezzaferro 2006; Calvesi 2011. , si stava saldamente affermando sulla scena degli studi caravaggeschi, quando, alla metà degli anni Novanta, comparve il volume Caravaggio assassino. La carriera di un “valenthuomo” fazioso nella Roma della Controriforma, a firma di Riccardo Bassani e Fiora Bellini nella collana «Saggi. Storia e scienze sociali» di Donzelli. Questo libro, apparentemente, sembrava risolvere tutti i punti rimasti ancora oscuri del soggiorno romano del pittore e dell’uomo Caravaggio, basandosi su una mole di nuovi documenti rintracciati nelle carte giudiziarie e parrocchiali degli archivi romani. Un romanzo in veste di «saggio storico» che andava incontro a un’esigenza sentita dal pubblico degli appassionati in cui, sullo sfondo delle vicende storiche e politiche della capitale durante il pontificato di Clemente VIII, si tratteggiava fra «storie che diventano storia» la fitta rete delle relazioni quotidiane del pittore con giovani scapestrati e attaccabrighe, alcune prostitute, piccoli artigiani, commercianti di quadri, artisti conosciuti e sconosciuti che affollavano la città, oltre a fornire dettagli inediti sui rapporti con la committenza, con i mecenati e protettori dell’artista, e in ultimo sulla data della sua prima presenza in città, risalente secondo gli autori al 1593. Il volume, che aveva il pregio di una scrittura scorrevole e di una narrazione coinvolgente, riscosse immediatamente un grande successo di pubblico e non solo in Italia, ma a una prima verifica su alcuni documenti fra quelli che avevano destato maggiore sorpresa soprattutto tra gli esperti dell’artista lombardo, compiuta a cura di don Sandro Corradini, vennero alla luce una serie infinita di interpolazioni operate dagli autori che avevano inserito nel testo di molti dei documenti, presentati come inediti, il nome di Caravaggio che non vi figurava affatto, a cominciare dalla presenza a Roma del pittore nel 1593 che si rivelò subito un clamoroso falso storico6 Corradini 1996. Anche Calvesi si espresse negli stessi termini sul libro di Bassani, Bellini, in “L’Informazione”, 10 dicembre 1994. .
Nonostante Corradini avesse denunciato pubblicamente il modo scorretto e antistorico con cui erano state mescolate testimonianze vere con documenti falsi, confezionati a tavolino per sostenere una trama precostituita e rafforzare il ritratto abusato del pittore “maledetto”, molti personaggi che animavano il romanzo, e in particolare le prostitute Anna Bianchini, Domenica Calvi, Maddalena Antognetti e Fillide Melandroni, cui si era arbitrariamente attribuita la frequentazione con il pittore, divennero acquisizioni consolidate nel pubblico degli appassionati e di alcuni esperti, confermate e diffuse dai media.
L’attrazione esercitata sul grande pubblico a livello mondiale dalla formidabile fusione tra arte e vita del Merisi, spinse a produrre film e sceneggiati che ebbero altissimi indici d’ascolto, in cui si riproponevano gli assunti presenti nel volume Caravaggio assassino, specialmente la relazione di Caravaggio con la cortigiana Maddalena Antognetti che sarebbe stata sfregiata dal suo amante geloso del pittore, e così a macchia d’olio le notizie false si propagarono sulla stampa e sul web in una confusione dalla quale era ed è tuttora difficile riemergere.
Tra vero e falso
Pochi mesi fa, a distanza di quasi trent’anni dall’uscita del libro Caravaggio assassino, Bassani ha dato alle stampe un nuovo volume, dal titolo La donna del Caravaggio, Vita e peripezie di Maddalena Antognetti,con postfazione di Fiora Bellini,accompagnato da un intrigante occhiello: «La storia scabrosa e affascinante della cortigiana che prestò il volto alle Madonne del “pittor celebre”»; il volume è incentrato sulla figura di Maddalena Antognetti, personaggio che l’autore aveva già presentato nel 1994 descrivendola, sulla base di una serie di carte giudiziarie, come una cortigiana romana, al pari della madre Lucrezia e della sorella Amabilia, abitante al Corso nei pressi della chiesa di S. Ambrogio dei Lombardi, che fu amante del cardinale Alessandro Peretti Montalto e di Melchiorre Crescenzi, e convivente more uxorio dal 1603 con il notaio Gaspare Albertini. In particolare Bassani aveva pubblicato all’epoca una querela dell’Antognetti del 19 luglio 1605 contro l’Albertini che alcune settimane prima l’aveva sfregiata, in cui la donna dichiarava che per volere del notaio aveva lasciato tutti i suoi amanti, ed «in particulare [ho lassato l’amicitia di] Michelangelo pittore»7 Bassani, Bellini 1994, p. 208 .
Su questo fondamentale ritrovamento, rivelatosi poi un’interpolazione, si basava la natura dei presunti rapporti tra la cortigiana e Caravaggio e l’identificazione dell’Antognetti con quella Lena definita «donna del Caravaggio» nel famoso documento giudiziario pubblicato da Antonino Bertolotti alla fine dell’Ottocento: in esso è registrata la denuncia del notaio Mariano Pasqualoni contro Caravaggio, che la sera del 29 luglio 1605 lo aveva aggredito e ferito in piazza Navona con un colpo di spada alla testa a causa, come riferisce Pasqualoni, «di una donna chiamata Lena, che sta in piedi a piazza Navona passato il palazzo ovvero il portone del palazzo del signor Sertorio Teofilo, che è donna di Michelangelo»8 Bertolotti 1881, II, pp. 71-72; Macioce 2010, p. 185; Cesarini 2011, pp. 262-265. (Fig. 1).
Di tale episodio si era poi tramandata la memoria anche attraverso una fonte letteraria: Giovan Battista Passeri, nella vita del Guercino redatta negli anni “70 del Seicento, ne scrisse raccontando come Caravaggio avesse aggredito un notaio in piazza Navona il quale aveva corteggiato e chiesto in sposa la giovane figlia di una vedova, vicina di casa del pittore, ricevendone un rifiuto; il notaio accortosi che la ragazza andava a casa dell’artista a posare come modella per la Madonna dei Pellegrini (Roma, chiesa di S. Agostino, Fig. 2), affrontò la madre offendendola per aver rifiutato la sua proposta e aver invece mandato la figlia a posare per un artista «scomunicato e maledetto».
Caravaggio, informato dell’affronto, decise di vendicare l’offesa aggredendo il notaio in piazza Navona e ferendolo alla testa. Fin qui il racconto del Passeri ripercorre l’episodio dell’aggressione avvalorando il movente della gelosia che era stato già avanzato dagli studiosi sulla base della denuncia di Pasqualoni9 Hess 1932, pp. 42-44 . Si tratta di un caso fortunato, e non è l’unico per Caravaggio10 Un episodio attestato sia in un documento giudiziario che nella biografia di Mancini riguarda il calcio del cavallo sferrato alla gamba di Michelangelo Merisi durante una lite con un palafreniere presumibilmente alla fine del 1596, cfr. Baroncelli 2011, p. 61, e Curti 2011, p. 70. , in cui, salvo alcuni particolari, la fonte documentaria e quella letteraria concordano nella sostanza.
Sebbene il falso riferimento all’amicizia con Caravaggio da parte dell’Antognetti, presente nel libro di Bassani del 1994, fosse stato messo in dubbio da don Sandro Corradini11 Corradini 1996, p.76 , da allora la giovane donna è entrata nell’immaginario collettivo di generazioni di appassionati e purtroppo anche di alcuni esperti del settore come la bella, sfacciata e irrequieta prostituta, compagna delle notti brave di Caravaggio, il quale, seguendo il più classico dei cliché del pittore maledetto, tra una rissa e l’altra, l’avrebbe immortalata nei quadri destinati alle più importanti chiese di Roma, in spregio alla bigotta morale della Roma papale postridentina. Incoraggiato forse dalla vasta credibilità che l’identificazione di Maddalena Antognetti con Lena «donna del Caravaggio» aveva riscosso in ampi settori di pubblico, Bassani, ventisette anni dopo il «primo provvisorio eppur risoluto riconoscimento di Maddalena Antognetti», si è riproposto con questo volume l’obiettivo di «spazzar via ogni residuo dubbio sull’identità di quella certa Lena, donna di Michelangelo», che l’autore conferma essere Maddalena Antognetti, e vediamo attraverso quali prove12 Bassani 2021, p. 199 .
A proposito di metodo storico
Com’è noto a chi si occupa di ricerca storica, lo storico per formulare le sue tesi deve seguire un metodo di lavoro ben preciso e cioè ricercare, selezionare, analizzare e studiare le fonti e sulla base di quelle, cioè partendo da esse e non da teorie predeterminate a cui le stesse debbano piegarsi, tentare di ricostruire gli eventi del passato. Quello che, dunque, si è cercato di stabilire in questa sede è se le tesi proposte da Bassani con il crisma della comprovata certezza abbiano seguito un rigoroso percorso di critica filologica basata sulla corretta lettura delle fonti, accuratamente vagliate e sottoposte a raffronti e controlli incrociati tali da rendere plausibile, alla luce della mancanza di documenti che colleghino direttamente la Antognetti a Caravaggio (essendosi rivelata un’interpolazione l’unico documento in cui erano citati insieme), l’effettiva identificazione della cortigiana con Lena, la donna ricordata dalle fonti come amata da Caravaggio13 Per un corretto approccio alla ricerca e al metodo storico ed in particolare allo studio e alla critica delle fonti riguardanti Caravaggio, cfr. Di Sivo 2017. .
Nella prefazione Bassani ci tiene a presentare il suo libro come un attento e documentato lavoro di ricerca storica sull’Antognetti e sulla sua relazione con Caravaggio, condotto con una metodologia rispettosa della critica delle fonti da lui recuperate e presentate nell’apparato documentario che correda il volume, dopo averle, a suo dire, analizzate e discusse secondo criteri filologicamente rigorosi14 Bassani 2021, pp. 5-15 . Per tale motivo ha eliminato dai documenti trascritti in appendice le interpolazioni in cui nel libro del 1994 era stato inserito ad arte il nome di Caravaggio. Tuttavia non accenna, se non in nota all’imperdonabile (per uno storico) falsificazione di cui si era reso protagonista all’epoca, liquidando il fatto come una trascrizione «infedele» di documenti, che però non ha «inficiato la fondatezza delle ipotesi allora avanzate»15 Bassani 2021, p.7, n.7 .
In realtà il danno arrecato agli studi caravaggeschi è grave perché a tutt’oggi, come si è detto, sono entrate nella memoria collettiva come realmente documentati episodi e personaggi della vita di Caravaggio che si sono rivelati, purtroppo solo agli studiosi del pittore lombardo (e neanche a tutti), mere mistificazioni. E comunque anche in questo volume le prostitute Anna Bianchini, Domenica Calvi e Fillide Melandroni, sono purtroppo riproposte come le modelle e le amiche con cui «il Merisi ebbe a che fare»16Bassani 2021, pp. 5-15 , salvo poi smentire in una nota che finalmente compare quasi alla fine del libro, la loro millantata frequentazione con Caravaggio17Ibidem, p. 352, n. 216. L’autore fa ammenda di alcune delle tante interpolazioni di cui si rese responsabile nel 1994, tra le quali quella in cui fa dire a Caravaggio: «ecco qua Anna bel culo che ha», frase pronunciata invece da un amico di Prospero Orsi, e l’altra nella quale Domenica Calvi avrebbe indicato come suoi amici «Ranuccio Thomassoni, Honorio Longo e Michelangelo da Caravaggio», nomi che la donna invece non aveva fatto. : la Bianchini viene definita di nuovo la «modella della Maddalena pentita e del Riposo durante la fuga in Egitto», mentre la Calvi è detta amica del pittore e del cardinal Alessandro d’Este18 Ibidem, p. 8 .
Per quanto riguarda Fillide Melandroni sono considerati come acclarati rapporti stretti con Merisi che, in realtà, dalla documentazione nota non si evincono, essendo basati esclusivamente sul ritratto che Caravaggio eseguì della cortigiana (disperso, già Kaiser Friedrich Museum di Berlino, Fig. 3).
Ma ciò che appare anche più grave è che l’autore – sebbene si premuri di avvertire il lettore che qualora i documenti a sua disposizione fossero stati insufficienti o ambigui per convalidare la sua tesi egli lo abbia sempre dichiarato utilizzando «quei forse di cui lo storico fortunatamente dispone»19 Ibidem – ha invece deliberatamente omesso di rendere esplicito nel testo di aver dovuto eliminare dalla deposizione della Antognetti del 1605 l’interpolazione del nome di Caravaggio20 L’ammissione compare solo nella nota 216, p. 352 dell’Appendice documentaria. , senza il quale era venuto a cadere l’unico vero legame tra la prostituta e Merisi.
Tuttavia Bassani, sebbene non possa più contare su questo falso pilastro, appare comunque determinato a dare corpo all’identificazione di Lena con la prostituta Maddalena Antognetti e, scomodando anche Manzoni, dichiara di aver utilizzato un diverso approccio metodologico ai fatti, per «coglierne l’insieme e i mille particolari»21 Bassani 2021, p. 14 . Un approccio che nelle intenzioni sembrerebbe quello del cosiddetto «paradigma indiziario» teorizzato da Carlo Ginzburg22 Ginzburg 2015 , in base al quale lo storico dovrebbe adottare rispetto ai documenti «un metodo interpretativo imperniato sugli scarti, sui dati marginali, considerati come rivelatori» che emergono dall’esame delle fonti, per individuare i nessi significativi e stabilire una trama convergente di dati sulla quale fondare delle ipotesi che successivamente dovrà confrontare tra loro, cercando di stabilirne la fondatezza e la maggiore o minore probabilità. Va sottolineato che tale metodo storiografico si basa su dati documentari che siano certi e comprovati e si fonda sull’onestà intellettuale di chi li studia e li mette in relazione tra loro proponendone un’interpretazione che, appunto, è tale e non può essere spacciata per la verità incontrovertibile dei fatti e degli accadimenti.
Dal documento all’interpretazione: Laura Della Vecchia e Isabella
Ripercorriamo lo svolgersi della tesi che Bassani vuole dimostrare. Nella Parte prima del volume l’autore riprende in esame un episodio accaduto nella seconda metà di luglio 1605, poco prima dell’aggressione al Pasqualoni da parte di Caravaggio, di cui le carte giudiziarie riportano poche e frammentarie notizie (e qui l’autore insinua in modo del tutto gratuito che l’assenza di altri documenti relativi all’episodio si possa riferire a una «volontaria espunzione», una «rescissio actorum» che «non sembra essere né la prima né l’unica nella vita del Caravaggio»23 Ibidem, p. 43 ): la vicenda della porta di Laura Della Vecchia e Isabella che Caravaggio aveva deturpato, reato per il quale il 19 luglio 1605 veniva scarcerato24Ibidem, pp. 19-50, in part. pp. 39-50. Sull’episodio della deturpazione della porta, cfr. Bertolotti 1881, II, p. 71; Bassani, Bellini 1994, p. 210, n. 24; Corradini 1993, p. 58, n. 43; Macioce 2010, p. 184; Cesarini 2011, p. 261. .
I documenti disponibili che attestano l’episodio non consentono di conoscere il movente dell’azione compiuta da Caravaggio né di individuare con certezza l’identità delle due donne e il luogo dove si fosse svolto il fatto, così Bassani suppone, in modo del tutto plausibile, che si fosse trattato di una vendetta del pittore per un torto ricevuto; contemporaneamente avanza l’ipotesi che tale vicenda sia da collegarsi alla discussione avuta al Corso tra Merisi e il notaio Pasqualoni «per causa di Lena» (e riferita dal notaio stesso nella sua denuncia) alcune sere prima della nota aggressione del 29 luglio 1605 in piazza Navona, di cui le due donne sarebbero state testimoni, riferendone poi i contenuti al vicinato in modo sfavorevole a Caravaggio. Secondo l’autore tra i vicini di Laura e Isabella si annoveravano anche alcuni parenti della prostituta, che, pur essendo cresciuta in quel quartiere, si era trasferita in Borgo con il suo amante notaio dal 1603 almeno fino alla fine di giugno 1605, per poi, a detta di Bassani, rifugiarsi a palazzo Orsini in piazza Navona a causa dello sfregio infertole dall’Albertini. Quest’ultimo soggiorno, assolutamente privo di qualsiasi appiglio documentario, serve all’autore per giustificare la presenza della Antognetti in piazza Navona, dove Pasqualoni, nella sua denuncia, sostiene abitasse la «Lena, donna del Caravaggio».
Per dare consistenza all’ipotesi del collegamento tra la questione di Laura Della Vecchia e l’alterco tra il pittore e il notaio avvenuto al Corso, Bassani rintraccia negli stati d’anime di S. Lorenzo in Lucina del 1607 la presenza in via del Corso di una Laura de Vecchi (cognome non corrispondente, in realtà, a «Della Vecchia», attestato invece frequentemente a Roma anche nella versione «Della Vetera»25 Non si possono, infatti, considerare omologhi, ad esempio, i cognomi dei pittori Giovanni De Vecchi e Pietro Della Vecchia. ) e di una Isabetta Cosivi, vicine di casa di Ascanio Antonietti che egli identifica come fratello di Paolo, padre di Maddalena, sulla base dell’interrogatorio di un teste che afferma «Magdalena che mi pare si dicesse delli Rossi che era figliola d’uno delli doi fratelli che erano mercanti di Ripetta che si chiamano uno Paulo et l’altro Ascanio»26 Bassani 2021, p. 341 .
Lo zio di Maddalena Antognetti, Ascanio, dunque, informato dalle chiacchiere diffuse dalle due donne, avrebbe riportato alla nipote la discussione avvenuta al Corso «per causa di Lena» tra Pasqualoni e Caravaggio prima della famosa aggressione del 29 luglio27 Ibidem, p. 49 .
Discussione che Pasqualoni afferma essere avvenuta «a queste sere passate» e dunque è lecito pensare alcuni giorni prima; se seguiamo il ragionamento dell’autore doveva essere avvenuta almeno intorno al 10 di luglio se dopo lo scontro Caravaggio si vendica deturpando la porta, viene poi incarcerato e il 19 luglio scarcerato su cauzione, e sotto garanzia registrata il 20 luglio, di Cherubino Alberti, Girolamo Crocicchia, Prospero Orsi e Ottaviano Gabrielli i quali garantiscono che egli non avrebbe molestato Laura, i figli di questa e Isabella.
Ma quale sarebbe stato il motivo dello scontro verbale tra i due secondo Bassani? Non un motivo di gelosia, visto che in nessuno dei documenti raccolti dall’autore sul conto di Maddalena Antognetti e pubblicati nel volume, Pasqualoni ha mai a che fare con la giovane prostituta, e tanto meno Caravaggio compare mai né insieme alla Antognetti né insieme alle sue parenti e neppure tra le sue amicizie.
L’autore è convinto che il movente dello scontro sia di principio e di carattere potremmo dire ideologico: Pasqualoni, in quanto notaio degli uffici del Vicario, organismo preposto al controllo delle immagini nelle chiese, si sarebbe sentito in dovere di difendere la pubblica morale e i decreti emanati dal Vicario e avrebbe affrontato il pittore al Corso (non conoscendolo direttamente a quel che risulta dai documenti) per aver osato dipingere nei panni della Madonna una scandalosa prostituta elevandola agli onori degli altari. Prima di esporre diffusamente la sua tesi e le prove su cui essa si fonderebbe, l’autore ricostruisce in diversi capitoli la vita, la rete di conoscenze e le travagliate vicende attraversate da Maddalena fino a quel fatidico luglio 1605.
Il cardinale Alessandro Peretti Montalto e il signor Alessandro Peredo
Nella Parte seconda. Identificazione di Lena, il capitolo La Roscina del cardinale desta più di qualche perplessità28 Ibidem, pp. 95-113 . In esso si presenta come certa ed acclarata la relazione tra il cardinale Alessandro Peretti Montalto e la Antognetti29Per una seria e attendibile ricostruzione della figura e della committenza del cardinale Alessandro Peretti Montalto, cfr. Granata 2012. . Nello specifico l’elemento su cui si basa la ricostruzione di questa frequentazione, dalla quale sarebbe nata anche una figlia di nome Flavia, è ancora una volta una dichiarazione resa dalla donna davanti al giudice il 4 giugno 1599, in cui Maddalena Antognetti afferma di essere già stata precedentemente in prigione «per conto che il signor Alessandro Peretto fece questione»30 Bassani 2021, pp. 101 e 253, doc. 15. . Secondo Bassani, questo personaggio è da identificare con il cardinal Montalto, sebbene lui stesso si renda conto che il notaio non avrebbe mai indicato uno dei porporati più potenti della Chiesa semplicemente con l’appellativo di «signor», omettendo gli aggettivi «illustrissimo e reverendissimo» e il sostantivo «cardinale» che sempre negli atti ufficiali precedevano il nome di queste alte cariche ecclesiastiche. Tuttavia, invece di chiedersi se ci siano elementi sufficienti per avanzare una simile proposta e porsi il dubbio se ci si possa trovare di fronte ad un caso di omonimia, risolve l’evidente discrepanza sostenendo che il notaio o il cancelliere abbia deciso di riportare il nome in questo modo per non creare imbarazzo al cardinale.
Un controllo sul documento in questione ha permesso di accertare che il cognome dell’uomo di cui parla Lena non è «Peretto» ma «Peredo»31ASR, Tribunale criminale del Governatore, reg. 295, cc. 200r-201r, cfr. Bassani 2021, pp. 100-101, 251-253, doc. 15. (Fig. 4).
Tale precisazione mette perlomeno in dubbio la narrazione dell’autore riguardo l’effettiva esistenza di rapporti tra il cardinale e la prostituta, e ci spinge piuttosto a ritenere che l’amante della Antognetti possa essere in realtà tale «Alessandro Peredo», non altrimenti noto, e che il notaio, senza arrovellarci su complicate trame peraltro non dimostrabili, abbia semplicemente verbalizzato ciò che aveva sentito. Anche in questo caso, quindi, gli elementi di cui dispone Bassani non risultano basati su documentazione correttamente riportata, per cui tutte le ipotesi che scaturiscono sulla vicenda della presunta relazione, compresa quella riguardante la figlia che la donna avrebbe avuto dal cardinale, sono inficiate ab origine e non possono considerarsi attendibili. Se non credessimo alla buona fede dell’autore, più volte ribadita nella prefazione, sorgerebbe il sospetto che egli non sia incappato, nonostante l’evidente dimestichezza che egli dimostra con le scritture seicentesche, in una lettura errata del cognome del personaggio ma che abbia volutamente forzato la documentazione per avvalorare la tesi narrativa di una Maddalena, prostituta d’alto bordo, in rapporto con le più potenti gerarchie ecclesiastiche e vicina agli ambienti frequentati da Caravaggio.
Fra’ Ainolfo de’ Bardi, cavaliere di Malta
Sospetto che ci appare invece più che fondato nel capitolo seguente che tratta di un’altra presunta relazione tra Maddalena e il cavaliere di Malta, Ainolfo de’ Bardi (noto agli studiosi di Caravaggio per aver presentato, a conclusione del famoso processo del 1603, la garanzia che il pittore non avrebbe più molestato né Giovanni Baglione né Tommaso Salini32 Corradini 1993, p. 29; Bassani, Bellini 1994, p. 169; Corradini 1996, p. 72, n. 8; Macioce 2010, p. 159. ), relazione anch’essa, a detta di Bassani, allietata dalla nascita di un altro figlio, Paolo33 Bassani 2021, pp. 119-134.
L’autore scrive che a giugno del 1601 aveva cominciato a frequentare la casa di Amabilia, sorella della Antognetti, il cavalier Bardi, introdottovi da due amici di vecchia data della donna, Marcantonio Castelli e Camillo Nardi, di professione cavalleggeri e sottoposti del Bardi che all’epoca era Capitano della Guardia dei cavalleggeri di Clemente VIII. La notizia, come suggerisce la nota di riferimento messa nel testo, sarebbe riportata nei docc. 44-48 dell’appendice documentaria 34 Ibidem, pp. 277-289 ; soltanto che tali documenti si riferiscono ad un processo intentato da una prostituta, tale Settimia Luchetti, contro Pietro Cinai e i predetti Marcantonio Castelli e Camillo Nardi accusati di aver più volte cercato di entrare con la forza in casa della donna e in quella di altre cortigiane, tra cui una certa Giulia Marenghi romana, abitante in «strada Vittoria»35 Ibidem, p. 283, doc. 46 . Quest’ultima riferisce che qualche sera prima Cinai e Castelli fecero irruzione a casa sua insieme ad altri uomini e, alla sua richiesta, di sapere dai medesimi Cinai e Castelli chi fossero quelle persone che, insieme a loro, le erano entrati nell’abitazione, Castelli le avrebbe risposto che si trattava del «cavaliero Bardi e altri cavallerizzi»36 Ibidem, p. 284, doc. 46 , ma la donna riferisce al giudice di non aver creduto che fosse vero ma che egli lo avrebbe affermato affinché lei «non havesse a cercar altro»37 Ibidem . Sottoposto a interrogatorio, anche Pietro Cinai ammette di aver detto a Giulia che Bardi era andato a casa sua solo «per coglionare quella puttana»38 Ibidem, p. 283, doc. 45 e che in realtà si trattava di una «baia»39 Ibidem , cioè di uno scherzo, mentre, l’altro imputato, Nardi afferma di non aver più frequentato nessuna prostituta da quando era andata in prigione tempo prima Amabilia, nella cui casa «posta al giardino del signor Cicherino […] vicino […] una certa Giulietta ascolana»40Ibidem, p. 288, doc. 48. , si recava regolarmente.
Ora quello che si può dedurre da queste deposizioni è soltanto che i cavalleggeri Castelli e Cinai abbiano fatto il nome del loro superiore, che era un uomo di un certo peso nell’amministrazione pontificia, per incutere paura alla donna allo scopo di scoraggiarla dallo sporgere denuncia contro di loro. Ma anche fosse vero che quella sera Bardi violò l’uscio della povera Giulia, non si capisce cosa questo fatto abbia a che fare con le sorelle Antognetti, che nel processo non sono mai nominate se non in relazione alla frequentazione da parte di Nardi di Amabilia, che però al momento dei fatti era in prigione. Con uno sforzo di fantasia veramente notevole, Bassani non solo riesce a dare per certa una frequentazione assolutamente non documentata tra Amabilia e Ainolfo de’ Bardi ma addirittura ad ipotizzare che Giulia fosse gelosa di questa conoscenza altolocata della sua vicina di casa (vicinanza tutta da dimostrare visto che Giulia Marenghi è detta romana mentre la «Giulietta» di cui parla Nardi sembrerebbe originaria di Ascoli) e che avesse cercato su suggerimento di Ovidio Marchetti, bargello del Governatore nonché convivente di Amabilia, di «far scoppiare uno scandalo per coinvolgere un uomo strettamente legato alla Curia pontificia e agli ambiente più esclusivi di Roma»41 Ibidem, p. 130 allo scopo di «mettere fuori gioco il capitano dei cavalleggeri»42 Ibidem , suo rivale in amore.
Non pago l’autore si spinge ad immaginare che il figlio Paolo, che Maddalena diede alla luce il 15 dicembre del 1602, il cui padre nell’atto di battesimo risulta essere tale Giulio Mastini anch’egli cavalleggero, fosse in realtà stato concepito con Ainolfo de’ Bardi, il quale, essendo tenuto in quanto cavaliere di Malta al voto di castità, avrebbe chiesto a Mastini di assumersene la paternità. Secondo Bassani gli indizi a sostegno di questa teoria si troverebbero in una a dir poco contorta serie di circostanze: Paolo ebbe come madrina una certa Caterina Carlini, vicina di casa della Antognetti, la quale prese a balia il bambino e circa tre anni dopo mise al mondo anche lei una bambina, che fu tenuta a battesimo da un cavaliere di Malta di nome Mariano de’ Bernabeis e da Virginia de Rossi, moglie di Giovanni Battista Pusterla insignito del cavalierato giovannita.
Per l’autore l’organizzazione di una simile comparaggio non può che essere dovuto a Bardi, che Caterina volle ringraziare mettendo alla neonata il nome della sorella del capitano, Isabella, detta anche Lucrezia Bardi, moglie di Amerigo Capponi43 tIbidem, pp. 136-139 . La notizia della parentela di questa Isabella con Ainolfo sarebbe segnalata in un testo scritto da B. Biagioli, Scritture di donne nei fondi di origine privata dall’Archivio di Stato di Firenze44 Biagioli s. d., p.31 .
Tuttavia alla pagina indicata da Bassani compare solo l’informazione relativa ad una certa Lucrezia de’ Bardi ed al suo matrimonio con Capponi dal quale sarebbe nata una figlia di nome Maddalena, ma non si fa cenno né al fatto che la nobildonna fosse la sorella del cavaliere di Malta Ainolfo de’ Bardi né tantomeno che si chiamasse Isabella; sappiamo invece, grazie alla divisione patrimoniale avvenuta alla morte della madre di Ainolfo, Lucrezia Salviati, che i figli che questa ebbe con Giovanni de’ Bardi erano quattro, tre maschi, di cui Ainolfo era l’ultimo, e una femmina di nome Argentina45 Russo 2011, p. 563 .
La delegittimazione del racconto di Giovanni Battista Passeri
Per far collimare l’identificazione di Maddalena Antognetti con la «Lena, donna del Caravaggio» era necessario inoltre smontare e decomporre, fino a svuotarla completamente di contenuto, un’altra fonte, quella di Giovan Battista Passeri, responsabile di aver riportato il racconto dell’aggressione di Caravaggio a Pasqualoni arricchito di parecchie informazioni che vanno nel senso contrario a quello vagheggiato da Bassani e Bellini fin dal 1994 e cioè che la donna del pittore e modella della Madonna dei pellegrini e della Madonna dei palafrenieri (Roma, Galleria Borghese) sia proprio Maddalena Antognetti. Che guarda caso mai viene chiamata Lena in tutti e 116 documenti in appendice, neanche dalla sorella Amabilia, detta Pilla in moltissimi interrogatori, né dalle amiche, né dalle vicine né dai suoi numerosi amanti; che Lena possa essere un nome a sé stante o il diminutivo di Elena oltre che di Maddalena e che la donna possa essere una giovane di buona reputazione, come proposto da Maurizio Marini a seguito di un confronto con Corradini46 Marini 2009, pp. 140-143. Addirittura Bassani accusa Alessandra Masu (p. 8) di aver creato un personaggio antistorico soltanto perché in un suo libro del 2013 (Masu 2013) l’autrice aveva riportato le ipotesi di Marini in merito alla possibile identificazione di Lena con una ragazza di origine povera, ma non cortigiana di professione. , è un quesito che gli autori non si sono mai posti.
Tornando a Passeri, che alla fine del Seicento narra come Caravaggio avesse scelto l’avvenente giovane figlia di una vedova, bisognosa di denaro, per modella e come essa avesse rifiutato le avançes del Pasqualoni, che tuttavia «non perdeva mai di traccia quella sua diletta», alimentando lo scontro con il pittore del quale Lena era «la donna», come afferma proprio Pasqualoni stesso ferito davanti al magistrato, Bassani ritiene che il racconto del biografo sarebbe «il risultato di una realtà contraffatta che… è sembrata più comoda della cruda realtà dei fatti [la radicata convinzione che Lena fosse una prostituta] che forse, proprio per questo, nessuno fin qui ha cercato»47 Bassani 2021, p. 52 ; non solo, l’autore sostiene che il brano del Passeri, pur contenendo «grumi di falso» e «flebili… tracce di realtà»48 Ibidem 2021, p. 179 è stato preso per buono dagli studiosi senza sottoporlo a vaglio critico per capire «fin dove Passeri si fosse spinto per mischiare le carte…[e] avvalorare la stima negativa…sul conto del maestro lombardo»49 Ibidem, pp. 51-52 .
A questo punto viene introdotto dall’autore un vero e proprio ribaltamento del significato evidente del racconto e dell’interpretazione data da generazioni di storici e critici d’arte all’episodio dell’aggressione «per causa di Lena», che sarebbe avvenuta non per motivi di gelosia tra il pittore e il notaio, come dice esplicitamente Passeri («Questo giovane [notaro]…punto da gelosia e sommamente adirato»50Hess 1932, p. 42 ) ma perché Pasqualoni, in qualità di notaio del Vicario, accortosi che Caravaggio aveva immortalato sugli altari la prostituta Antognetti, avrebbe affrontato Caravaggio sul Corso accusando il pittore di aver trasgredito al decreto del cardinal Vicario contro gli «altari sconci» e le pitture non approvate. Tale motivo, annunciato dall’autore già all’inizio del volume, non trova altra prova che il collegamento, stabilito sulla base della cronologia e della logica, tra la deturpatio della porta di Laura e Isabella, vicine di casa abitanti al Corso, avvenuto presumibilmente nei primi giorni di luglio, e il diverbio tra Pasqualoni e Caravaggio svoltosi pure al Corso qualche sera prima dell’aggressione del 29 luglio, cui le due donne avrebbero assistito diffondendo la notizia delle accuse di Pasqualoni al pittore presso i vicini, motivo per cui Caravaggio avrebbe loro deturpato la porta51 Bassani 2021, pp. 54-55 .
Da questo punto l’autore crea un nesso a dir poco azzardato e che a ben guardare appare inconsistente: siccome Laura e Isabella abitavano al Corso vicino alla casa dello zio di Maddalena, Ascanio Antonietti, la donna per la quale il notaio e il pittore avevano discusso sarebbe automaticamente Maddalena Antognetti.
Esisteva però un ostacolo che andava aggirato per corroborare l’identificazione di Lena nella Antognetti e cioè il motivo della gelosia suggerito dal racconto del Passeri e ancor più esplicitamente dalla querela del Pasqualoni che davanti al notaio dice «per causa di Lena (…) che è donna del Caravaggio»: poiché nessun documento attesta una frequentazione e neppure una conoscenza diretta o indiretta tra l’Antognetti e Caravaggio e tra Pasqualoni e l’Antognetti, non restava che cercare un altro motivo per lo scontro tra il pittore e il notaio.
Dunque la frase «per causa di Lena che è donna di Michelangelo» assumerebbe così un significato calzante con la tesi che la modella che impersonò la Vergine sarebbe stata proprio l’Antognetti e non la giovane «povera ma onorata» che veniva «amoreggiata da un giovane di professione notaro» come racconta Passeri.
La riscrittura della storia raggiunge il culmine nel capitolo finale (intitolato appunto La fine della storia52 Ibidem, pp. 179-197 ) in cui prima di tutto si demoliscono gli ultimi brandelli rimasti intatti del racconto di Passeri e delle coincidenze di questa fonte con il documento di querela del Pasqualoni: Bassani deve «sgomberare il campo sull’identità del notaio legato alla giovane scelta da Caravaggio quale modella»53Ibidem, p. 179 e per conseguire tale scopo afferma che «prove inconfutabili ci dicono che si trattava di Gaspare Albertini», il notaio che aveva sfregiato Maddalena Antognetti a fine giugno 1605, e non di Mariano Pasqualoni come emerge dal documento di querela. Passeri, giustificato dall’autore «per aver fatto di due notai uno solo»54 Ibidem , sarebbe così ricorso a un «artificio» per «occultare il passaggio più tragico della storia, addirittura quello chiave, lo sfregio a Maddalena»55Ibidem addossando tutta la responsabilità dei fatti a Caravaggio.
Ci si domanda a questo punto quali siano le “prove inconfutabili” su cui l’autore poggia le sue affermazioni. Le “prove” consistono a ben guardare in una serie di supposizioni che, in virtù di continui e ripetuti salti logici e dell’intrico di complicate trame che Bassani tesse e insegue disorientando il povero lettore costretto a districarsi tra nessi di fantasia e i sempre più rari agganci alla documentazione, rasentano l’inverosimile: si parte dal dare per scontata la conoscenza e perfino la frequentazione tra Albertini e Pasqualoni in quanto entrambi notai, benché di differenti tribunali, che si sarebbero addirittura tenuti mano, Pasqualoni coprendo l’adulterio dell’Albertini con la moglie del superiore di quest’ultimo, in cambio del favore che il collega gli avrebbe fatto rivelandogli che la propria amante, Maddalena Antognetti, «la cortigiana scandalosa a tutti nota», era stata scelta dal Merisi per impersonare la Madonna, infrangendo così le prescrizioni dell’autorità preposta al controllo delle immagini sacre, cioè il Vicario presso il quale Pasqualoni lavorava come notaio56 Ibidem, pp. 180-181 . Non risulta però che i notai del Vicario fossero incaricati di reprimere gli abusi perseguiti dal tribunale presso il quale prestavano la propria opera come cancellieri e inoltre Pasqualoni non era certo un irreprensibile difensore della morale pubblica se proprio Bassani ci informa «come Pasqualoni non si preoccupasse di violare le stesse regole che in virtù del suo ruolo avrebbe dovuto far rispettare e frequentasse tranquillamente le case delle cortigiane»57 Ibidem, p. 26 .
Sono supposizioni che Bassani presenta come fossero verità accertate. E comunque rimane da spiegare in quale senso si dovrebbe intendere la definizione data da Pasqualoni di Lena come «donna del Caravaggio» se in tutta la ricostruzione messa in piedi dall’autore non si accenna mai a una relazione tra l’Antognetti e Caravaggio, il quale non è mai nominato né tra le numerose frequentazioni maschili di Maddalena e neppure in nessuno dei 116 documenti editi nel volume, a parte quelli relativi al pittore già conosciuti e pubblicati. Così come sarebbe necessario spiegare come avrebbe fatto la Antognetti, che da settembre 1603 a fine giugno 1605 visse in Borgo con il notaio Albertini che la controllava a vista, ad andare a posare a casa di Caravaggio in Campo Marzio, ben lontana quindi dalla sua abitazione, senza che questi se ne accorgesse e perché nella querela sporta per lo sfregio la giovane non parli affatto di quello che sarebbe stato il motivo della gelosia dell’Albertini, ossia le sedute di posa in casa del Merisi, ma riferisca soltanto dell’odio che Montorio Filippone istillava nell’Albertini contro di lei fino a istigarlo allo sfregio che il notaio le fece al volto la vigilia di SS. Pietro e Paolo58 Ibidem, p. 155 .
La postilla manciniana
Secondo l’autore, la conferma della correttezza di tali ipotesi starebbe in una postilla inserita a margine della carta 60v del manoscritto intitolato le Considerazioni della pittura del medico senese Giulio Mancini conservato presso la Biblioteca Marciana di Venezia, che avrebbe il valore di «inconfutabile prova»59 Ibidem, p. 185 . Si tratta di una delle numerose postille che Mancini appose alla redazione della vita di Merisi – purtroppo di difficile decifrazione perché in forma estremamente stenografica – ed in particolare della famosa nota in cui si fa riferimento ad un fatto violento che vide coinvolto Caravaggio a Milano, anche se sul luogo effettivo dell’avvenimento non tutti gli studiosi sono concordi.
Il passo fu trascritto nell’edizione commentata delle Considerazioni della pittura a cura di Adriana Marucchi e Luigi Salerno (Roma, 1956-1957) in questo modo: «Fece delitto. Puttana scherzo (?) et gentilhuomo scherzo (?) ferì il gentiluomo et la puttana sfregia sbirri ammazzati volevan saper che i compagni; fu prigion un anno et lo volser veder vender il suo […] a Milano fu prigion, non confessa, vien a Roma nè volse […] Fu provocato, andò a casa raccattare a tradimento si misse nel servitio per rispetto suo»60 Mancini 1617-1621[1956-1957], I, p. 227. .
Bassani ritiene che la glossa non c’entri nulla con quanto narrato nel testo nel punto in cui è inserita e che si riferisca allo sfregio subito dalla Antognetti («puttana sfregia») e all’aggressione da parte di Caravaggio del notaio Pasqualoni («ferì il gentiluomo»). Per tale motivo, gli «sbirri» sarebbero da individuare in Gaspare Albertini e nel suo amico e ispiratore dello sfregio a Maddalena, Montorio Filippone, in quanto «figli dei comandanti dei custodi delle carceri», mentre il verbo «ammazzano» il cui soggetto sono sempre gli «sbirri» sarebbe da riferire a un tentativo di omicidio perpetrato dagli stessi ai danni di Caravaggio, in cui egli riportò una ferita al collo, come risulta dagli atti della serie Visite dei notai, dai quali emerge che il pittore, giacente a letto in casa del suo amico Andrea Ruffetti ad ottobre 1605, rispose in maniera reticente al notaio che lo interrogava riguardo la ferita, dichiarando di essersi fatto male cadendo sulla sua stessa spada61 Bertolotti 1881, II, pp. 74-75; Corradini 1993, p. 67, n 67; Bassani, Bellini 1994, pp. 226, 231, 233-234; Macioce 2010, pp. 195; Cesarini 2011, p. 266. . In quella circostanza, a parere di Bassani, il notaio avrebbe chiesto conto al Merisi dei suoi complici62 In realtà il notaio chiede a Caravaggio secondo la prassi seguita negli interrogatori dove, quando, da chi e per quale motivo («ubi, quando, a quo seuquibus, qua de causa») era stato ferito, cfr. Cesarini 2011, p. 224, doc. 66. («volevano saper che i compagni»), mentre il divieto impostogli dall’ufficiale di non uscire dalla casa di Ruffetti sarebbe da intendersi come un provvedimento di disposizione di arresti domiciliari a cui rimanderebbero le frasi «fu prigion un anno» e «fu prigion e non confessa». Inoltre la locuzione «et lo volser veder vendere il suo» alluderebbe alla difficile situazione finanziaria in cui si trovò Caravaggio al ritorno da Genova, essendogli stati sequestrati dall’autorità giudiziaria, su richiesta della padrona di casa del pittore, Prudenzia Bruni, tutti i mobili che aveva nell’appartamento63 Bellini 1992; Bassani, Bellini 1993, pp. 70-75; Corradini1993, pp. 62-64; Marini, Corradini 1993, p. 162; Bassani, Bellini 1994, pp. 69-70; Macioce 2010, p. 188-189; Cesarini 2011, p. 256.; a questa frase, inoltre, si accosterebbe la parola «perdono» che riguarderebbe la clemenza che Caravaggio avrebbe chiesto al papa.
Per finire l’autore sostiene di aver identificato in un’altra locuzione posta in alto a sinistra nel margine interno della carta 61r, finora mai trascritta, le parole «Sempre Ranuccio», che, a suo dire, chiuderebbero il cerchio dell’intera vicenda perché si andrebbero ad integrare con la frase «fece delitto» con cui inizia la postilla. Esse testimonierebbero di un’implicazione di Ranuccio Tomassoni nei fatti dell’estate del 1605 che Bassani suggerisce possano essere stati all’origine anche del duello in via della Pallacorda avvenuto a causa dell’ostinazione di Caravaggio di volere ritrarre «Lena» «sua donna» nella pala per S. Agostino64 Sull’ipotesi dell’autore in merito alla postilla, cfr. Bassani 2021, pp. 185-194. .
Non è questa la sede per trattare un argomento complesso come le postille manciniane, tuttavia, poiché chi scrive ne sta curando una nuova edizione di prossima pubblicazione, ci limitiamo ad affermare che l’operazione di scomposizione e scardinamento di ogni frase della postilla, che viene così decontestualizzata e inserita in momenti temporali diversi per accordarsi alla narrazione dei fatti proposta dall’autore, non può essere un metodo filologicamente corretto per analizzare fonti di questo tipo.
Innanzitutto perché si parte da una premessa, secondo noi, errata e cioè la convinzione che la postilla non abbia nulla a che fare con quanto narrato nel testo a fianco, in secondo luogo perché riteniamo che alcune parole della glossa non siano state correttamente trascritte, dando adito negli anni alle più svariate interpretazioni. La nota, infatti, è inserita a margine della narrazione di un episodio che dovette colpire molto Mancini perché indicativo del carattere «stravagantissimo» del pittore: la richiesta inoltrata al cardinal Del Monte da parte di Giovan Battista Merisi, il fratello prete di Michelangelo, in visita a Roma, di poter incontrare l’artista allora abitante in casa del prelato, a cui seguì la risposta data da Merisi al porporato in cui affermava di non avere fratelli e il successivo incontro tra i due congiunti, durante il quale Caravaggio rimase impassibile di fronte alle parole affettuose e amorevoli pronunciate dal fratello.
A nostro avviso, con quella glossa il medico senese voleva riportare un altro episodio della vita del pittore che desse conto del suo carattere e dei pessimi rapporti con il fratello Giovanni Battista. Il suo intento, cioè, non era tanto quello di aggiungere nuovi dettagli alla giovinezza di Caravaggio quanto piuttosto di mettere in evidenza l’eccentricità e l’iracondia del suo comportamento che egli tenne più di una volta nei confronti del sacerdote. Senza entrare nei dettagli della diversa trascrizione che abbiamo dato della postilla, proponiamo di leggere la frase «et lo volser veder vender il suo […] a Milano», come «né lo volse veder; vende il suo, va a Milano», in cui quel «né lo volse veder» è da intendersi come riferito a Giovanni Battista Merisi, ed è una locuzione usata da Mancini per spiegare come anche in quella circostanza non volle avere a che fare con il fratello.
Abbiamo, inoltre, riscontrato che non vi è traccia nella glossa della parola «perdono», mentre per quanto riguarda la locuzione «sempre Ranuccio», l’analisi della nota non permette di accertare con sicurezza la correttezza della trascrizione, tuttavia va segnalato che né Ranuccio Tomassoni né l’episodio del suo omicidio sono mai esplicitamente citati da Mancini nella biografia del pittore.
Una brillante invenzione
A fronte degli innumerevoli dubbi suscitati dalla lettura del libro che vuole proporsi come saggio storico fondato sulla ricerca documentaria e sull’interpretazione delle fonti, dobbiamo riconoscere il talento di narratore dell’autore nell’imbastire trame e costruire collegamenti in cui la fantasia riempie i vuoti e le lacune presenti nella sua tesi che le fonti non possono colmare, riuscendo forse a convincere della correttezza della sua versione dei fatti qualche lettore sprovveduto oppure affascinato dalla dietrologia, ma rimanendo certamente estraneo alla ricerca storica seria e rigorosa. Viene il sospetto che Bassani sia rimasto talmente soggiogato dall’idea che la giovane prostituta romana avesse prestato il volto e le fattezze alle celebri Madonne dipinte da Merisi da rimanerne intrappolato e che, grazie alle sue notevoli capacità di affabulatore, voglia convincerci di aver raggiunto la verità dei fatti laddove invece tale verità appare ancora molto lontana.
* Tutte le osservazioni contenute in questa recensione sono state dibattute e condivise con don Sandro Corradini che ringraziamo per la gentilezza, la disponibilità e il proficuo scambio di idee. Siamo grate, inoltre, a Massimo Moretti, Alessandro Zuccari e Belinda Granata per l’aiuto e gli utili confronti.
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