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Le parole di Luca Serianni per i diritti di tutti

Antonella Sbrilli

Scritto da:

Redazione

Pochi giorni prima dell’incidente che lo ha portato alla morte, Luca Serianni (1947-2022), insigne linguista, professore emerito della Sapienza, Accademico dei Lincei, aveva partecipato a un incontro sul tema dei diritti umani e della loro concreta applicazione.
L’incontro faceva parte delle iniziative collegate alla mostra DIS/INTEGRATION, che sta portando in varie sedi le opere degli artisti con disabilità dei Laboratori d’arte della Comunità di Sant’Egidio. Si è svolto il 12 luglio 2022, con la partecipazione del Presidente della Comunità Marco Impagliazzo e di Cristina Cannelli dei Laboratori d’arte, nel Teatro Nino Manfredi di Ostia, il quartiere romano dove Serianni viveva.
Nel visitare la mostra nella sede di Ostia, Luca Serianni aveva mostrato particolare interesse per l’opera collettiva Diritti (non) dati, da cui prende le mosse il suo intervento, che riportiamo integralmente1 Nell’opera collettiva Diritti (non) dati le persone con disabilità dei Laboratori d’arte di Roma hanno scelto e trascritto a mano alcuni degli articoli della Dichiarazione Universale dei diritti umani, cercando nell’attuali dati aggiornati sull’effettiva applicazione dei principi espressi.

Diritti non dati

LUCA SERIANNI

Il primo fascicolo è costituito da una serie di articoli della Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo, licenziata dall’ONU nel 1948, con una serie di commenti. La prima cosa da osservare è che i commenti sono scritti da varie mani, cioè da vari scriventi, e rivelano un rapporto con la scrittura non immediato. Alcuni sono scritti in carattere stampatello. Avviene anche in ragazzi che frequentano regolarmente le scuole, invece il corsivo è importante, ma chiudo la parentesi. E poi le lettere sono approcciate una ad una, come di chi acquisisca con difficoltà l’uso della scrittura. Proprio questo è importante: si acquisisce.

Voglio ricordare che questa Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo non fu firmata da tutti gli Stati nel 1948. Alcuni stati non pensarono di sottoscriverla per varie riserve legate all’interferenza di stati diversi. Invece, la seconda parte, quella formata da fatti di vita vissuta e, aggiungo subito, da storie non finite tutte bene, è tratta, prende spunto, da una serie di articoli della nostra Costituzione.
Si tratta, naturalmente, di documenti in gran parte convergenti. I lavori della Dichiarazione Universale sono, direi, tutti ripresi dalla nostra Costituzione e anche dalle Costituzioni di vari paesi dell’Europa Occidentale. In alcuni casi sono ispirati addirittura dal codice di Napoleone, quindi dall’800.
Questi documenti della Dichiarazione ONU sono considerati da alcuni giuristi, da alcuni studiosi di diritto internazionale come vincolanti. Qui, in realtà, è difficile pronunciarsi su questo, li dobbiamo considerare come dei lavori, degli auspici che tuttavia non hanno reale effettività nelle scelte dei singoli stati.
Ma partiamo da alcuni esempi.

Dettaglio dell’opera “Diritti (non) dati – mostra DIS/INTEGRATION, 2022


L’articolo 1 dice: Tutti gli esseri umani nascono liberi e uguali.
Difficile non essere d’accordo, si tratta di una constatazione. Aggiungo che non c’è nessuna costituzione, nessun regolamento al mondo che lo nega. Tutti affermano che gli esseri umani sono uguali. Eppure, notiamo nel commento a margine, reso anche graficamente in modo piuttosto efficace, c’è un fondo nero e il nero indica qualcosa di negativo rispetto al bianco. E infatti c’è una specie di commento, frutto di un lavoro comune dei vari estensori, che ci dice che le cose non stanno esattamente così.
In Africa un bambino su 10 muore prima del quinto compleanno, in Europa è uno su 196. Allora non è vero che tutti gli esseri umani sono uguali! Anche un diritto fondamentale come quello della vita è diverso a seconda dei casi.
Lo stesso vale per la donna – cito – dell’Africa sub-sahariana per la quale il rischio di morire durante la gravidanza è pari a 1 su 37, in Europa 1 su 6.500. nei secoli scorsi anche in Europa la mortalità in questi casi era molto alta, per il semplice motivo che non si praticavano le indispensabili misure igieniche. Oggi nel resto del mondo, tranne appunto l’Africa sub-sahariana, questo problema è stato in gran parte affrontato.
L’articolo 4 dice: Nessuno potrà essere tenuto in schiavitù.
La tratta nega questo principio, ma vorrei ricordare come anche in paesi molto civilizzati, penso agli Stati Uniti d’America, forme di segregazione razziale sono state tollerate fino a metà del secolo scorso. Stiamo parlando degli Stati Uniti, la più grande democrazia del mondo, anche se può essere un primato conteso dall’India quanto a popolazione. Eppure, c’erano discriminazioni di questo tipo, nel senso che persone afroamericane non potevano sedersi su un autobus e dovevano dare comunque la precedenza ai bianchi semplicemente per questo elemento del colore della pelle. Per leggere un commento: Nel 2016 le persone vittime di schiavitù moderna erano 40 milioni. Non poco anche se gli abitanti della terra sono 10 miliardi, sempre troppo. E una vittima su 4 della schiavitù moderna era un bambino, mentre le donne rappresentano il 71% del totale generale. È la seconda volta che vediamo questo abbinamento, bambini da un lato e donne che fra coloro che soffrono una limitazione dei propri diritti sono le punte più esposte.
Andiamo all’articolo 5: Nessuno sarà sottoposto a tortura né a pene o trattamenti degradanti.
Qui il discorso è un po’ più complesso. Intanto dobbiamo ricordare, qualche volta si può anche parlare bene dell’Italia, che l’Italia storicamente ha una primazia rispetto agli altri paesi. Pensiamo non soltanto al trattato di Cesare Beccaria “Dei delitti e delle pene” del 1764, in cui Beccaria sosteneva non solo il danno rappresentato dalla pena di morte legata alla irrevocabilità della pena, quando il sistema giudiziario si fonda sul principio della fallibilità dei giudici e quindi della possibilità di riformare la sentenza in eventuali successivi appelli fino alla decisione finale della Cassazione. Ma Beccaria sosteneva anche l’inutilità, anche dal punto di vista degli inquirenti, della tortura in base a una considerazione molto limpida: alla tortura chi è particolarmente resistente può resistere non confessando. Viceversa, chi è molto debole può confessare qualcosa che non ha commesso. Quindi, è uno strumento che, anche limitandosi al punto divista dell’accertamento della verità, non funziona. Naturalmente, la tortura può essere applicata in forme non necessariamente violente, ma sottoporre un individuo a una luce accecante è certamente una forma di coartazione e quindi può essere adeguato il termine di tortura. Anche qui si dice in un commento che nel mondo un bel numero di persone disabili sono rinchiuse in gabbie e capanne, legate agli alberi, costrette a mangiare e dormire in uno stesso posto, a volte per anni.
Andiamo all’articolo 6: Nessuno può essere arbitrariamente arrestato, detenuto in modo arbitrario.
Principio fondante del diritto, ma dice il commento che oggi la tortura è ancora presente in molti paesi del mondo. In Messico la Commissione sui diritti umani ha ricevuto oltre 7mila denunce contro ufficiali federali. Così in Siria. Come vedete si tratta di paesi situati in varie parti del mondo.
L’articolo 14 dice: Di fronte alla persecuzione ogni persona ha diritto di cercare asilo.
Ogni persona ha diritto di cercare asilo, questo principio è fatto nostro anche da un articolo della Costituzione, il 10, che appartiene al primo segmento, 12 articoli, intitolato “Principi fondamentali”. Quindi, sono alla base di tutti gli altri.
E ci dice proprio questo: Uno straniero quando sia impedito nel suo paese delle libertà democratiche. Basterebbe questo. Quindi, è difficile non vedere in questa ottica la drammatica vicenda di tanti migranti. Qualcuno disse a suo tempo: pazzi del mare! Tutt’altro che pazzi del mare, si tratta di una realtà molto drammatica, che poi non sia un singolo paese a doversene far carico è un altro discorso, però si tratta di persone che si trovano in paesi in cui l’esercizio effettivo. La Costituzione insiste molto su questo principio della effettività, l’uguaglianza, per esempio, non è un diritto teorico ma è un diritto che deve essere effettivo, reale.
Qui il numero è molto alto, più di 82milioni di persone sono fuggite a causa di conflitti, violenze, violazione dei diritti umani alla fine del 2020. 82milioni.
L’articolo 22 dice: Ogni persona in quanto membro della società ha diritto alla sicurezza sociale.
Anche qui arriviamo a cifre molto allarmanti di persone che non sono coperte da protezione sociale. Per protezione sociale si intende quella di servizi più evidenti, per esempio la sanità. Anche qui è abbastanza facile lamentarsi di tutti gli aspetti della sanità pubblica in Italia che non funzionano. Però, io inviterei anche a vedere l’altra faccia della medaglia.
Nei casi di rischio molto forte, come una minaccia di infarto o un incidente automobilistico, il pronto soccorso immediatamente interviene, attraverso un sistema che io non conosco, con dei codici a seconda dalla gravità di chi viene portato in ospedale. Il codice rosso rappresenta la priorità su tutti gli altri. Anche questo è una declinazione del principio di uguaglianza, non conta altro in ospedale se non la gravità del malato.
Questo è uno dei modelli, ma ci sono altri aspetti della protezione sociale. Penso per esempio ad una educazione e ad un nucleo familiare che sia in grado di allevare, di educare, di mandare a scuola e ci sono assistenti sociali che si impegnano in questo. Eppure, 4miliardi di persone nel mondo non sono coperti da protezione sociale.
L’articolo 25: Ogni persona ha diritto all’educazione, essa deve essere gratuita almeno per quanto riguarda l’insegnamento elementare e primario.
Ma le cifre di bambini e adolescenti non scolarizzati nel mondo sono molto alte. 258milioni, pari al 17% del totale in età scolare, nel mondo sono fuori dal percorso scolastico. Si tratta soprattutto di bambini e ancora una volta, in questa quadro di disuguaglianza, si tratta di genere femminile.
Quanto all’articolo 29, l’ultimo che leggo di questo primo fascicolo, individua dei doveri nei confronti della comunità nella quale è possibile vivere il pieno sviluppo della propria personalità.

Ecco, il concetto di dovere è un concetto fondamentale, non a caso la parte centrale della costituzione parla di questo. Ci sono i diritti naturalmente, ma ci sono i doveri che il singolo ha nei confronti della comunità. La nostra costituzione garantisce, com’è ovvio, il diritto alla proprietà ma in qualche modo lo aggancia alla utilità sociale.
Ogni individuo, dice infatti il commento, ha la responsabilità personale e sociale verso la comunità. Questa comunità non è solo quella nazionale, ma sono vari tipi di comunità che ci fanno pensare a uno spazio che disegna cerchi policentrici. L’umanità nel suo insieme rappresenta una comunità. Poi ci sono comunità ristrette che sono quelle nelle quali ciascun cittadino si trova ad agire, si trova ad operare.
E qui abbiamo il dato molto rilevante per il quale 2 o 300mila lavoratori non italiani, operai, badanti, muratori, commercianti nel 2020 hanno dichiarato un reddito di più di 30miliardi di euro. Queste persone hanno versato circa 4milioni di euro di IRPEF e contribuiscono a più del 5% del Prodotto Interno Lordo.
Quindi sono persone che contribuiscono in modo notevole al reddito comunitario, allora di queste persone un certo numero non è interessato ad avere la cittadinanza italiana, però per coloro che la desiderano è difficile negarla. Negli Stati Uniti, per esempio, non ci può essere una tassazione senza che questo si traduca nel diritto ad eleggere. È un principio sicuramente naturale: se io pago le tasse, quindi contribuisco al reddito dello stato, ho diritto ad essere un cittadino a tutti gli effetti.

La seconda parte, Testimonianze dei laboratori d’arte, è legata agli articoli della Costituzione ed è rappresentata da una serie di storie e mi fa piacere chiudere questo mio intervento leggendo alcune di queste storie.

Partiamo dalla numero 4, quella che ribadisce il diritto al lavoro e si ferma ancora una volta sulla effettività. Non basta, cioè, enunciare questo diritto in termini teorici ma occorre che sia realizzato.
Abbiamo la storia di un cameriere che arriva a questo lavoro dopo un percorso travagliato, questa è la condizione comune a tutte queste persone di cui si parla. Il lavoro dà dignità e ti fa sentire utile, guardiamo il lavoro anche da questo punto di vista. Certamente il lavoro determina la sussistenza, che non è poco, di ciascuno di noi ma ha anche questo valore aggiunto relativo alla dignità. Per chi esercita un qualsiasi lavoro, il rischio di perderlo, soprattutto nell’età di mezzo in cui è difficilissimo trovare un altro lavoro, è naturalmente legato alla condizione economica ma è legato anche a questa perdita di dignità.
Oppure un altro caso, di un’altra persona con una difficile storia alle spalle che dopo una serie di iniziative della Comunità di Sant’Egidio, pur essendo astemio si trasforma in un sommelier, naturalmente non assaggiando i vini ma registrando con particolare cura, con particolare attenzione i commenti dei clienti. Questa è una trasformazione abbastanza clamorosa, è particolarmente difficile pensare che si possa diventare da astemi esperti di vini senza assaggiarli!
Costituzione 34, quello relativo alla scuola, in cui si dice che tutti hanno diritto a raggiungere gradi più alti degli studi, qualora naturalmente si impegnino a farlo. Qui il problema è tutelare particolarmente gli alunni che abbiano qualche tipo di disabilità. Dobbiamo ricordare che l’Italia è stato il primo paese d’Europa a prevedere per legge l’inclusione dei disabili. Qualche esperto di scuola sa che esistono insegnanti di sostegno pagati dallo stato, cioè da tutti noi, anche per seguire uno solo degli studenti che presenti una qualche difficoltà di apprendimento certificata.
L’articolo 29 è quello che tutela la famiglia. E qui c’è una storia particolarmente commovente. Quella di Patrizia che non riesce a parlare, ha difficoltà quindi a esprimersi anche verbalmente, e che dopo una serie di vicende particolarmente tristi, che comprendono anche una vita molto difficile a Nuova Ostia, riesce a trovare una conclusione alla vita patita fino a quel momento, conclusione felice, si sposa con Vincenzo che ha una disabilità lieve, si sposa a Santa Maria in Trastevere e da allora solo passati 20 anni che i due coniugi hanno vissuto come qualsiasi altra coppia, hanno vissuto una vita normale.
Dicevo prima il dramma della perdita del lavoro si esprime anche, un caso drammatico in tempo di Covid, attraverso la storia di uno che era proprietario di un bar e che con la pandemia è costretto a chiudere ed è costretto a cercare un lavoro, fino al momento in cui riesce a trovarlo. Sappiamo cosa può succedere per chi si trovava in una posizione sufficientemente solida dal punto di vista economico e, non più giovanissimo, si trova invece in una condizione di assoluta indigenza.
È interessante anche la storia di Pamela, down straniera, che ottiene la cittadinanza italiana nel 2019, anche qui attraverso una serie di traversie. Oppure di un bambino, Roberto, che nell’orfanotrofio dove viveva non aveva neanche il diritto a un nome, finché non lo recupera quando torna a casa.
Qui vi è anche il riferimento ad una norma che non rientra né nei diritti universali dell’uomo né nella costituzione, ed è nota come legge Basaglia. Basaglia è stato uno psichiatra molto avanzato per quei tempi, che riuscì a far sì che nel 1978, lui faceva lo psichiatra a Trieste, il parlamento in quella che è passata come legge Basaglia chiudesse i manicomi. All’epoca questa legge fu fortemente avversata, proprio perché era molto diffusa l’idea che i pazzi dovessero essere chiusi in manicomio. Senza tenere in conto il fatto che anche i cosiddetti pazzi sono persone, e che le particolari condizioni in cui venivano tenuti, per esempio la contenzione, essere legati nel letto per intere giornate, era sentita come non rilevante dalla popolazione “sana”, interessata soprattutto a far si che i pazzi restassero in manicomio.
Basaglia poté illustrare, grazie alla sua competenza specifica di psichiatra, che anche i pazzi – dico pazzo per comodità, poiché ci sono vari stadi di disagio vero e proprio, di malattia psichiatrica – possono essere curati attraverso l’inserimento, in diversa misura e in diverse modalità, del singolo malato in comunità.

Ritorna ancora un’altra volta questa parola comunità. Non a caso siamo in una manifestazione organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio. Grazie.

Grazie a lei, caro professor Serianni.

Fotografie di Paolo Mancinelli.

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