La Sala dei Tarocchi nel castello Orsini-Odescalchi di Bracciano: un inedito fregio quattrocentesco restaurato a fine Ottocento
Nel 1892 il principe Baldassarre Odescalchi, impegnato a recuperare l’aspetto originario del castello di Bracciano, con queste parole progettava i restauri pittorici da realizzare nelle sale dell’ala nord : «Nel piano superiore vi sono tre camere da restaurare. La prima dalla parte del gran salone ha un fregio bellissimo con figure rappresentanti le scienze, che fanno pandant alla Camera delle Forze d’Ercole, già ristaurato»[1]. Il restauro delle decorazioni pittoriche quattro-cinquecentesche delle sale era allora tra gli interessi primari del principe Odescalchi, il quale dagli anni Settanta del XIX secolo si era impegnato a rimuovere controsoffitti e tramezzi costruiti nel corso dei secoli per recuperare i soffitti lignei e i fregi pittorici originari rimasti nascosti nelle intercapedini o imbiancati[2]. A questi interventi seguirono rifacimenti in stile dell’architettura e delle decorazioni pittoriche delle numerose sale del castello realizzati tra il 1890 e il 1896 da Raffaele Ojetti, architetto romano attivo a Roma e nel Lazio tra la seconda metà dell’Ottocento e il primo Novecento.
Il ‘fregio bellissimo’ che l’illustre principe si apprestava a restaurare, era ubicato nella sala al secondo piano dell’ala settentrionale dell’edificio, che da pochi decenni era stata riscoperta dopo essere rimasta per secoli murata[3]. A causa della sua inaccessibilità non subisce gli interventi che hanno occultato e in parte guastato le decorazioni pittoriche di altri ambienti del castello, ma è soggetta all’abbandono e ai danni degli agenti atmosferici.
A distanza di oltre un secolo dai restauri realizzati dall’Odescalchi che ha restituito al ciclo la sua integrità, il visitatore che oggi si affaccia nella sala o lo studioso incuriosito dal suo complesso programma allegorico, hanno la sensazione di trovarsi di fronte ad un falso moderno ‘in stile’ quattrocentesco: le trentaquattro figure che si affacciano sulle quattro pareti della sala entro archi tra pilastri che creano l’illusione di un loggiato aperto su paesaggi collinari – alcune con attributi di vario tipo, altre suonando strumenti musicali – sono completamente ridipinte su un nuovo strato di intonaco, anche se qua e là affiora qualche parte di intonaco originale[4] (Fig. 1).
Non esiste documentazione del restauro realizzato a fine Ottocento, come del resto non rimangono testimonianze dei numerosi interventi nelle altre sale del castello. Tuttavia la linea nera di contorno che delimita quasi tutte le figure accomuna le immagini restaurate di questa sala a quelle della sala delle Donne e della sala di Ercole, dove indagini condotte nel 1981 hanno accertato trattarsi di un intervento per uniformare le parti rifatte a quelle originali[5]. Qui il restauro è risultato più pesante rispetto alle altre sale, con atteggiamenti, abiti e fisionomie che richiamano un certo gusto grafico e illustrativo di fine Ottocento.
Eppure il ciclo riveste una grande importanza iconografica, poiché presenta una ripresa quasi completa su scala monumentale delle celebri incisioni quattrocentesche che vanno sotto il nome di Tarocchi del Mantegna[6].
E’ possibile ancorare su alcuni dati certi l’autenticità del fregio e la sua datazione alla fine del Quattrocento, all’epoca di Gentil Virginio e del figlio Gian Giordano, quando nel castello sono in corso importanti lavori di decorazione sotto la direzione del pittore Antoniazzo Romano. Si tratta delle testimonianze di studiosi e eruditi che nella seconda metà dell’Ottocento visitano il castello e descrivono il fregio, seppure malridotto, prima dei restauri e, con l’aiuto di alcuni tituli ancora esistenti, riconoscono alcune figure e ne individuano il tema.
Se già Gnoli riconosceva «i pianeti, le scienze e le arti» come soggetti delle pitture[7], una più estesa descrizione della sala spetta a Luigi Borsari il quale nel corso dei suoi sopralluoghi negli anni Novanta dell’Ottocento nelle sale del castello alla ricerca di brani di pitture originali, pur avvertendo la scarsa leggibilità delle figure di alcune pareti, riconosce le Arti del Trivio e del Quadrivio e i Pianeti[8]. A collegare le immagini del ciclo alla tradizione dei Tarocchi sarà Paolo D’Ancona nel suo studio sulle Arti Liberali dal Medioevo al Rinascimento, che tuttavia amaramente vede: «qualche figura sbiadita, qualche lembo di veste, qualche iscrizione mutila tra le sgretolature dei muri»[9]. In seguito solo dalla metà del Novecento il ciclo appare ricordato negli studi sul Rinascimento: André Chastel ne fa cenno in una nota del suo Arte e umanesimo a Firenze[10], Vincenzo Golzio e Giuseppe Zander vi ritrovano stile e tematica dei castelli del settentrione[11], e nel 2006 Giordano Berti segnala la scarsa conoscenza di questo importante caso di ripresa dei Tarocchi, nonostante le pesanti ridipinture che tuttavia hanno lasciato intatte alcune figure[12]. A proseguire nella conoscenza del fregio è stata poi Elena Felluca che ha fornito l’ identificazione delle figure in collegamento con la serie dei Tarocchi[13].
Se le descrizioni di Luigi Borsari e di Paolo D’Ancona a seguito dei loro sopralluoghi nel castello ci rendono certi dell’esistenza del ciclo prima del restauro di fine Ottocento, il confronto con le incisioni quattrocentesche dei Tarocchi dimostra che buona parte delle immagini erano ancora riconoscibili in modo di consentire una restituzione intera del fregio. Le pareti dei lati corti corrispondenti al cortile e al lago, soggette a infiltrazioni di umidità e agenti atmosferici sono completamente ridipinte e vi si trovano più frequenti incomprensioni dei modelli originali. Le pareti dei lati lunghi presentano rifacimenti evidenti ma non eclatanti incomprensioni. Il restauratore rispettò le iconografie e gli attributi, modificando soltanto laddove le figure erano completamente compromesse.
Il pittore di Bracciano disponeva di un taccuino con le cinquanta incisioni dei Tarocchi dalle quali selezionò trentaquattro immagini congeniali al tema che si voleva dare alla sala e in base anche allo spazio a disposizione. La lettura del ciclo inizia dalla parete orientale corrispondente all’ingresso dove si trovano da destra verso sinistra, la serie intera delle dieci Arti Liberali riprodotte con la stessa sequenza dei Tarocchi, Grammatica, Logica, Retorica, Geometria, Aritmetica, Musica, Astronomia, Poesia, Filosofia, Teologia (Fig. 2).
La ripresa delle incisioni quattrocentesche è del tutto fedele, e le poche differenze confermano che il restauro si limitò a riprendere le figure e a inventare laddove mancava il testo originale (Figg. 3, 4, 5). Lo dimostra la Grammatica rappresentata come una donna anziana che tiene nella mano sinistra un vasetto contenente il medicinale per correggere la pronuncia dei bambini, ma nella mano destra, anziché il suo attributo caratteristico della lima, stringe un bastone, aggiunto arbitrariamente dal restauratore.
Sulla parete settentrionale che affaccia verso il cortile sono rappresentati i Principi Cosmici, ossia Iliaco, Cronico, Cosmico, che mostrano pesanti rifacimenti di fine Ottocento (Fig. 6). Sulla stessa parete, inizia la serie delle nove Muse, che seguono al contrario la sequenza dei Tarocchi, e che proseguono nella successiva parete lunga.
Proprio nella serie delle Muse disposte nella parete verso il cortile che maggiormente ha sofferto per l’esposizione verso l’esterno, e poi nelle prime figure della successiva, vi sono interpretazioni e modifiche in stile neomedievale. Un’evidente incomprensione da parte del restauratore si osserva nella figura di Erato, che nella posizione delle gambe con il piede sinistro a terra e il destro sollevato in un passo di danza che genera il movimento del panneggio della veste, corrisponde alla musa dei Tarocchi, ma al posto del tradizionale tamburello, evidentemente perduto e male interpretato dal restauro tiene di fronte a sé uno specchio (Figg. 7-8). Stravaganti acconciature e abiti in stile art nouveau mostrano poi Polimnia con il capo ornato da una corona di fiori e, nella parete seguente, Tersicore che indossa un abito che le lascia scoperto un seno, Urania con lunghi capelli sciolti da cui si dipartono nastri, e l’abito con scollo quadrato e la manica destra arricciata, Calliope fornita di ali che indossa una lunga tunica.
Segue la serie dei Pianeti con le raffigurazioni di Luna, Mercurio, Venere, Sole (Figg. 9-10) serie che doveva concludersi sulla parete meridionale verso il lago; quest’ultima si presenta fortemente compromessa[14] e fu ridipinta con figure che non fanno parte dei Tarocchi o che ne forniscono interpretazioni sommarie: significativo è il caso della figura con la corona e il mantello seduta in una mandorla identificabile con Giove attraverso il confronto con la medesima figura dei Tarocchi, con le braccia atteggiate allo stesso modo, ma con la mano destra che, anziché impugnare la freccia, è ridicolmente atteggiata in una posizione di saluto (Figg. 11-12). Le altre figure rappresentano Diana, Apollo, Giustizia in modo diverso dai Tarocchi.
Le modifiche nella posizione del corpo, nelle torsioni del capo, nel trattamento di abiti e copricapi, nel modo di tenere gli attributi o nel paesaggio, soprattutto sulle pareti più danneggiate, riguardano incomprensioni da parte del restauratore ottocentesco che evidentemente non aveva conoscenza diretta dei Tarocchi e interpretò a suo modo le figure non più leggibili.
Se a favore dell’autenticità del ciclo intervengono, come si è visto, le testimonianze di studiosi e visitatori che parzialmente descrivono le figure prima del restauro ottocentesco, e i confronti con le incisioni quattrocentesche dei Tarocchi, che attestano incomprensioni e varianti solo dove le figure erano andate perdute, qualche saggio su alcune figure che sembrano conservare parti originali, come per esempio il Mercurio nella parete del camino, potrà confermare la piena autenticità del ciclo pittorico e risalire al suo autore. Su questa prima base di certezze, tuttavia, è già possibile procedere all’indagine scientifica del ciclo e del suo significato in rapporto alle decorazioni coeve del castello, risalenti all’epoca del signore di Bracciano, Gentil Virginio Orsini; nonché indagare sulle scelte iconografiche operate dal pittore quattrocentesco, nell’ambito di una tradizione così importante come quella della fortuna dei Tarocchi in Italia, raramente ripresi in una serie quasi completa come nel caso di Bracciano.
Bibliografia
Berti 2006
G. Berti, I cosiddetti Tarocchi di Mantegna, in A casa di Andrea Mantegna. Cultura artistica a Mantova nel Quattrocento, catalogo della mostra, Mantova, Casa del Mantegna, 26 febbraio-4 giugno 2006, a cura di R. Signorini con la collaborazione di D. Sogliani, Cinisello Balsamo (Mi) 2006, pp. 298-307.
Borsari 1890
L. Borsari, Il castello di Bracciano ed i recenti restauri, in “Arte e Storia”, 13, 1890, pp. 102-103.
Borsari, Ojetti 2014 [1895]
L. Borsari, R. Ojetti, Il castello di Bracciano. Guida storico-artistica, Roma 1895, edizione critica a cura di E. Felluca e E. Ramella, Bracciano 2014.
Conti 1981
C. Conti, Ragguaglio tecnico sui dipinti presi in esame nel castello di Bracciano, in Bracciano e gli Orsini nel ‘400. Tramonto di un progetto feudale, catalogo della mostra, Bracciano, Castello Odescalchi, 27 giugno-27 agosto 1981, a cura di A. Cavallaro, A. Mignosi Tantillo, R. Siligato, Roma 1981, pp. 54-56.
Chastel 1964 [1959]
A. Chastel, Arte e umanesimo a Firenze al tempo di Lorenzo il Magnifico. Studi sul Rinascimento e sull’umanesimo platonico, Torino 1964 [ed. orig. 1959]
Crifò 2004
S.Crifò, Raffaele Ojetti architetto nei primi cinquant’anni di Roma capitale, Firenze 2004.
D’Ancona 1902
P. D’Ancona, La rappresentazione delle Arti Liberali nel Medioevo e nel Rinascimento, in “L’Arte” 5, 1902, pp. 370-385.
Erculei 1896
R. Erculei, La Rocca di Bracciano, in “Arte italiana Decorativa e Industriale”, 5,1896, pp. 72-74.
Felluca 2014
E. Felluca (trascrizione a cura di), Istruzioni sui restauri del castello di Bracciano, fine XIX secolo, http:// www.lagosabatino.com/2014.
Gnaccolini 2018
L. P. Gnaccolini, I Tarocchi del Mantegna, in L’uomo divino. Ludovico Lazzarelli tra il mazzo Sola Busca e i “Tarocchi del Mantegna”, con una proposta per Lazzaro Bastiani, catalogo della mostra, Milano, Pinacoteca Ambrosiana, 17 aprile-1 luglio 2018, a cura di L. P. Gnaccolini, Milano 2018, pp. 139-161.
Gnoli 1870
D. Gnoli, Vittoria Accoramboni: storia del secolo XV narrata da Domenico Gnoli e corredata di note e documenti, Firenze 1870.
Golzio, Zander 1968
V. Golzio, G. Zander, L’arte a Roma nel XV secolo, Bologna 1968.
Siligato 1981
R. Siligato, Due cicli di affreschi nel castello di Bracciano: ciclo delle figure femminili. Ciclo di Ercole, con nota introduttiva di M. Calvesi, in Bracciano e gli Orsini nel ‘400. Tramonto di un progetto feudale, catalogo della mostra, Bracciano, Castello Odescalchi, 27 giugno-27 agosto 1981, a cura di A. Cavallaro, A. Mignosi Tantillo, R. Siligato, Roma 1981, pp. 71-115.
[1] Dalla relazione dattiloscritta del 1892 Istruzioni sui restauri del castello. Elenco dei preventivi. Bracciano 1892,in Archivio di Stato di Roma, Fondo Odescalchi,busta12 G4bis, n. 6, si veda Crifò 2004, p. 98 e Felluca 2014.
[2] La letteratura ottocentesca accenna, seppure in termini generici, allo stato di abbandono del castello, e elogia l’intervento di ripristino del principe Odescalchi: Gnoli 1870, p. 182; Borsari 1890, pp. 102-103; Borsari, Ojetti 2014 [1895], p. 118; Erculei 1896, p. 74.
[3] Gnoli 1870, pp. 180-181. La ragione di tale inaccessibilità stava in una sorta di damnatio memoriae subita dall’ambiente considerato ancora nel XIX secolo luogo di prigione e di sepoltura dei nemici degli Orsini.
[4] Queste considerazioni sono state espresse da Luisa Caporossi, Claudio Seccaroni, Giorgio Capriotti, che qui ringrazio, sulla base delle fotografie digitali realizzate nel mese di febbraio 2022 a cura della Fondazione Odescalchi, che hanno consentito di analizzare per la prima volta l’inedito fregio pittorico.
[5] Quella dei rifacimenti ottocenteschi ‘in stile’ è una problematica che investe altre sale del castello dove indagini condotte nel 1981 hanno accertato l’autenticità di alcuni cicli pittorici ancora esistenti, vedi Conti 1981, p. 54, Siligato 1981.
[6] I cosiddetti “Tarocchi del Mantegna” sono cinquanta incisioni divise in cinque gruppi che rappresentano, in un percorso ascendente, le Condizioni dell’uomo, Apollo e le Muse, le Arti Liberali, i Principi Cosmici e le Virtù, e infine i Pianeti. Queste allegorie furono realizzate intorno al 1465 nell’ambiente dell’umanesimo padano-ferrarese. Vastissima la bibliografia sull’argomento, da ultimo vd. Gnaccolini 2018, pp. 139-161.
[7] Gnoli 1870, pp. 180-181.
[8] Luigi Borsari vede la sala all’inizio degli anni Novanta del XIX secolo e la descrive parzialmente nella sua Guida al castello di Bracciano edita nel 1895, vd. Borsari, Ojetti 2014 [1895], p. 114.
[9] D’Ancona 1902, p. 374. Nonostante affermi in chiusura «Abbandoniamo la trista sala, oggi squallida e quasi in rovina» c’è l’impressione che non abbia visto la sala ma si sia limitato a parafrasare Borsari.
[10] Chastel 1964 [1959], p. 264 nota 1.
[11] Golzio, Zander 1968, p. 422.
[12] Berti 2006, p. 306 nota 3.
[13] Felluca in Borsari, Ojetti 2014 [1895], pp. 146-147.
[14] Questa parete era stata già dichiarata perduta e non leggibile da Luigi Borsari nel 1895: «Nel quarto lato della sala il fregio manca quasi del tutto, e quel poco che avanza non è sufficiente per tentarne la interpretazione», Borsari, Ojetti 2014 [1895], p. 114.