Due Vasari dimenticati a San Gimignano e una nota sull’incisore Alessandro Gandini
Una pura casualità, come capita a volte mentre si è in cerca di tutt’altro, mi ha portata qualche anno fa a imbattermi nelle immagini in bianco e nero di due tele centinate, rispettivamente rappresentanti una Resurrezione di Cristo (olio su tela, 177×107,5 cm; fig. 1) e un Trasporto di Cristo al sepolcro (olio su tela, 182 x 114 cm; fig. 2), censite nella sagrestia della Chiesa di Santa Maria Assunta in Barbiano, frazione di San Gimignano, e recanti un vago riferimento ad ‘anonimo artista fiorentino del XVI secolo’1.
Una di queste, la Resurrezione, mi aveva colpita in particolare perché replicava il soggetto di una stampa a me già nota, attribuita al misconosciuto incisore bolognese Alessandro Gandini (fig. 3)2, la cui porzione inferiore era riproposta in un disegno conservato al Louvre (fig. 4)3.
A primo impatto i due quadri rimandavano inoltre, sul piano stilistico, a quel misto di Parmigianino e di Michelangelo che aveva contraddistinto l’attività di Giorgio Vasari (1511-1574) a ridosso del soggiorno a Bologna del 1539-40 e le verifiche condotte in tal senso mi hanno in effetti permesso di rinvenire, nelle Ricordanze vasariane dell’anno 1540, la seguente annotazione:
“Ricordo come questo dì detto alli 12 di marzo 1540 il Reverendo Padre Fra’ Miniato Pictti moderno abate di Santa Maria di Barbiano da San Giumigniano di Valdelsa mi alloga a dipigniere duo tavolette in tela colorite a olio per mettersi nel tramezzo della chiesa sudetta a dua altari in una volse Nostro Signor Gesù Cristo quando lo portano alla sepoltura e che le Marie lo piangono et inella altra volse la Resurrezione del Nostro Signor Gesù Cristo e per prezzo e pagamento di dette volse ch’io mi contentassi di scudi 25 e così fui contento ci[o]è scudi 25”4.
Si trattava così di due tele documentate ma considerate disperse (pur essendo in realtà sempre rimaste nel luogo di collocazione originaria), eseguite da Vasari, presumibilmente a Bologna, per quello stesso Miniato Pitti che, proprio nel 1539, lo aveva segnalato a Filippo Serragli, abate fiorentino di San Michele in Bosco, affinché gli allogasse la decorazione del nuovo refettorio del complesso felsineo5. A un’osservazione attenta, esse mostrano tuttavia un tenore esecutivo diverso dalle altre opere vasariane del periodo, più approssimativo nella resa pittorica e spento nei toni, il che, insieme allo stato materico depauperato, ne giustifica forse il mancato collegamento autoriale. In particolare, i volti dei soldati nella Resurrezione, quasi delle caricature e delineati attraverso grossolani tocchi di colore, sembrano indizi di un’esecuzione frettolosa e sommaria, se non addirittura spie del possibile intervento di un collaboratore. Quanto al prezzo pagato all’artista, seppur contenuto in rapporto alla lavorazione di due opere distinte, appare comunque in linea con gli altri compensi registrati in quegli anni, leggermente più alti solo in caso di supporti in tavola6.
Il recupero dei due dipinti al catalogo vasariano permette di aggiungere un interessante tassello alla riflessione sulla prima attività dell’aretino e sulle componenti stilistiche che ne caratterizzarono l’operato; a tal riguardo, si anticipa brevemente in questa sede una più ampia serie di considerazioni sull’esperienza bolognese del pittore e sull’avvio del suo rapporto con il di poco maggiore collega locale Prospero Fontana (1509-1597), oggetto di un saggio di prossima pubblicazione7. Chiaro appare innanzitutto, nelle due tele, il rimando al Michelangelo fiorentino delle Cappelle Medicee, illustre modello casalingo studiato dal vivo da Vasari al principio degli anni trenta nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo8. Tale recupero si estrinseca in questo caso nella puntuale citazione, nel soldato in primo piano di spalle nella Resurrezione, della figura del Giorno (1526-31 ca.) destinata al monumento a Giuliano de’ Medici (fig. 5), riecheggiata anche nella posa del giovane uomo che sorregge le gambe di Cristo nel Trasporto.
La nerboruta schiena del prototipo plastico, con il suo andamento serpentinato, si tramutò anzi in un motivo ricorrente nella coeva produzione vasariana, ricomparendo ad esempio nel personaggio centrale di spalle nella Cena di san Gregorio per San Michele in Bosco (1540; fig. 6)9, o, con maggiore vicinanza alla figura maschile del Trasporto, nel Cristo in casa di Marta e Maria eseguito per il medesimo monastero felsineo (1540; fig. 7)10.
Al di là dell’ovvia ripresa dei modelli della sua formazione toscana, il soggiorno a Bologna determinò per Vasari un vistoso aggiornamento stilistico, che lo condusse, tra gli anni trenta e quaranta, a una graduale virata soprattutto in chiave parmigianinesca, con ogni probabilità anche grazie alla mediazione di Fontana, a quelle date artista dalla carriera già avviata in città che, a differenza di altri maestri locali, gli si avvicinò senza mostrarsi ostile, divenendo suo amico. Grande impatto ebbe ad esempio sull’aretino la Madonna di Santa Margherita, dipinta intorno al 1530 dal Mazzola per le monache dell’omonima chiesa conventuale e oggi alla Pinacoteca Nazionale di Bologna (fig. 8)11.
In particolare, l’iconica santa adorante (Margherita di Antiochia), fulcro emotivo e visivo del quadro, con le sue forme allungate e sinuose e il naso dritto e appuntito in profilo, dovette colpire molto l’immaginario del giovane artista, che non solo ne ripropose le fattezze nelle due tele di Barbiano – come si vede nei volti del soldato con cimiero piumato accovacciato sulla destra della Resurrezione e in quelli del Cristo morto e della donna in piedi con una mano al petto sul margine destro del Trasporto – ma anche in altre esecuzioni coeve, tra cui la Maddalena inginocchiata al centro della già ricordata tavola con Cristo in casa di Marta e Maria per San Michele in Bosco (fig. 9), il cui disegno preparatorio (Parigi, Louvre, inv. RF 92) non mostra invece ancora traccia del rimando iconografico.
Non priva di qualche rilievo è infine la traduzione della Resurrezione vasariana nella stampa attribuita al citato Gandini, matematico e incisore amatoriale specializzato nella tecnica a chiaroscuro, che fu forse a sua volta in contatto con l’entourage fontaniano a Bologna12. Stando alla ricostruzione del suo profilo biografico invalsa finora, le prime notizie sul suo conto datano a partire dalla seconda metà degli anni quaranta13, ma se fu lui l’autore dell’incisione la cronologia della sua attività andrebbe ora per coerenza arretrata almeno di qualche anno. Questo oscuro personaggio è però quasi certamente da identificare con l’Alessandro Gandini maestro di scuola impiccato in piazza e poi arso sul rogo nel 1583, a ottantaquattro anni, in quanto eretico luterano14, a conclusione di una serie di processi nei cui atti egli veniva in realtà definito “Parmensis”, seppur da sempre dimorante in Bologna15. L’incrocio di questi dati consentirebbe così non solo di confermare l’ipotesi che proprio Gandini, nato a questo punto intorno al 1499 e dunque nel 1540 già ampiamente operativo, possa aver realizzato la stampa connessa al quadro vasariano (attribuitagli, del resto, sulla base del confronto stilistico e tipologico con altre incisioni firmate), ma anche di strutturare meglio, in rapporto alla sua originaria provenienza, le ragioni della ricorrente ripresa di prototipi di gusto parmigianinesco nelle sue realizzazioni note.
Allo stato attuale delle conoscenze non è possibile spingersi oltre. Sicuramente, sul finire degli anni trenta l’eco dei lavori lasciati da Parmigianino in città e la circolazione di disegni e stampe tratti dalle sue creazioni ebbero un forte impatto sugli artisti locali, compreso lo stesso Fontana, che nel 1540 firmò uno Sposalizio mistico di santa Caterina tra i santi Agostino, Paolo e Giovannino per il Monastero di San Giovanni Battista delle Monache (oggi a Berlino, Gemäldegalerie, inv. 336; fig. 10), dove il profilo della santa protagonista torna a riecheggiare quello della Margherita mazzoliana.
Di qui gli studi hanno a lungo ipotizzato che fosse stato addirittura Vasari a fornire al collega – recepito alla stregua di un suo sprovveduto subalterno e considerato anche minore d’età – il disegno preparatorio per la pala (Firenze, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, inv. 628F), ritenuta la prima opera pubblica del bolognese, fatto poi smentito dai documenti. Sebbene la questione rimanga tuttora delicata e complessa, si auspica che la recente rivalutazione della figura di Fontana16 possa almeno concorrere a rimettere in discussione la lettura finora data del rapporto tra i due pittori, tenendo nel debito conto il ruolo tutt’altro che marginale ricoperto dal maestro felsineo non solo nei primi anni di Vasari a Bologna, ma più in generale nelle dinamiche artistiche e culturali del capoluogo emiliano, dentro e fuori dalle mura cittadine.
Giulia Daniele
NOTE
1) Le inedite foto a colori dei due quadri che qui si presentano mi furono fornite dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le Province di Siena, Grosseto e Arezzo, insieme alla notizia del loro recente restauro e spostamento nel Museo d’Arte Sacra di San Gimignano, dove attualmente recano rimando a Giorgio Vasari ma datazione al 1570 circa. Ringrazio in particolare la dott.ssa Letizia Nesi per le informazioni e l’aiuto.
2) Due esemplari dell’incisione, che, come anche altre prove di Gandini, non risulta in controparte rispetto alla tela, si conservano a Londra, British Museum, invv. W,4.14; 1860,0414.182. Sulla figura di Alessandro Gandini si rimanda a J. Johnson, Alessandro Gandini: Uncovering the Identity of a Chiaroscuro Woodcutter, «Print Quarterly», XXX, 2013, 1, pp. 3-13.
3) Il foglio (140×198 mm; inv. 8726) era all’epoca riferito alla cerchia di Francesco Primaticcio, mentre di recente è stato accostato proprio ad Alessandro Gandini da Laura Angelucci e Dominique Cordellier, come si legge nella scheda dell’opera disponibile online sul sito del Louvre (https://collections.louvre.fr/ark:/53355/cl020005752).
4) Il libro delle Ricordanze di Giorgio Vasari, a cura di A. Del Vita, Roma 1938, p. 32.
5) Per questa commissione, che avrebbe previsto la messa in opera di tre quadri e di un ciclo di affreschi, cfr. Il libro delle Ricordanze 1938, p. 31; per la menzione di una delle due tele, considerata perduta, si veda F. Härb, The Drawings of Giorgio Vasari, Roma 2015, p. 181.
6) Per un’idea generale dei coevi compensi dell’aretino si veda Il libro delle Ricordanze 1938, pp. 18-35.
7) G. Daniele, Prospero Fontana and Giorgio Vasari: Friendly Enemies, in Friends with Benefits: Italian Artists and Friendships in Early Modernity,a cura di I. Andreoli e K. Di Dio, Turnhout 2023, in c.d.s.
8) Giorgio Vasari, Le Vite de’ più eccellenti pittori scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, a cura di Rosanna Bettarini e Paola Barocchi, 11 voll., Firenze 1966–1987, vol. 6, 1987, p. 372: “Tornato dunque ai miei soliti studii, ebbi comodo, per mezzo di detto signore, d’entrare a mia posta nella Sagrestia Nuova di San Lorenzo, dove sono l’opere di Michelagnolo, essendo egli di quei giorni andato a Roma; e così le studiai per alcun tempo con molta diligenza così come erano in terra”.
9) Olio su tavola, 403 x 255 cm; Bologna, Pinacoteca Nazionale, inv. 534.
10) Olio su tavola, 404 x 250,6 cm; Bologna, Pinacoteca Nazionale, inv. 7058. Il volto di Cristo in questo quadro appare peraltro piuttosto simile, tipologicamente, a quello della Resurrezione di San Gimignano.
11) Olio su tavola, 204 x 149 cm, inv. 588. Così Vasari descriveva il dipinto nell’edizione Torrentiniana delle Vite (1550): “Fece [Parmigianino] alle monache di Santa Margherita in Bologna una tavola di Nostra Donna con Santa Margherita, San Petronio, San Girolamo e San Michele, che molto in prezzo è tenuta in Bologna; la quale con gran pratica e bella destrezza è lavorata, e le arie delle sue teste son tante belle, di dolcezza e di lineamenti, che fa stupire ogni persona dell’arte” (cfr. Vasari 1966-1987, vol. 4, 1976, p. 541).
12) Si veda G. Daniele, Prospero Fontana and the Impact in Bologna of Perino’s Christ Healing the Lame at the Pool of Bethesda, «Master Drawings», 58, 2020, 3, pp. 291-306, in part. p. 306, nota 34. I riferimenti iconografici di Gandini furono quelli più prossimi anche al primo Fontana bolognese, da Girolamo da Treviso, a Parmigianino e Vasari.
13) Cfr. supra, nota 2.
14) A. Bianchi-Giovini, Storia dei Papi da San Pietro a Pio IX, 10 voll., Milano 1864-1877, vol. 8, 1873, p. 46
15) G. Dall’Olio, Eretici e inquisitori nella Bologna del Cinquecento, Bologna 1999, pp. 118-119, nota 22.
16) Si veda in particolare a G. Daniele, Prospero Fontana ‘Pictor Bononiensis’ (1509-1597). Catalogo ragionato dei dipinti, Roma 2022.
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