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SU UNA NUOVA “CACCIATA DEI MERCANTI” DI GIOVANNI BATTISTA NALDINI*


* Giunge alla redazione la segnalazione che la datazione e l’attribuzione a Giovanni Battista Naldini della Cacciata dei mercanti dal tempio, oggetto del presente articolo, è stata già depositata dal prof. Giovanni Perdicchia e dal dott. Stefano Tanisi presso il Comune di Specchia in data 27/12/2023.

Recentemente, il Comune di Specchia, in provincia di Lecce, [1] ha acquisito due pregevoli dipinti provenienti dalle collezioni del conte Risolo, precedentemente ospitati nella pinacoteca del palazzo marchesale della città[2]. Entrambe le opere sono state segnalate da Marcello Gaballo, Stefano Tanisi e Giovanni Perdicchia su alcune testate giornalistiche locali, senza riferimento a date e autori[3]. Si tratta di un Ritorno degli Esploratori dalle terre di Canaan [4] e di una Cacciata dei mercanti dal tempio [5], di cui gli articoli suddetti anticipano le riproduzioni fotografiche sulle quali si basano alcune osservazioni che qui proponiamo, non essendo stato possibile esaminare le opere direttamente. Il primo dipinto è un’opera di ambito giordanesco, ma la presenza oscurante della vecchia vernice suggerisce di sospendere ogni giudizio in attesa dell’opportuno restauro.
La riproduzione fotografica del secondo dipinto, per la quale rimandiamo al sito Fondazione Terra d’Otranto, (Fig. 1), consente invece di avanzare con sicurezza l’attribuzione dell’opera al pittore fiorentino Giovanni Battista Naldini [6].

Cristo avanza tra la folla, con passo quasi danzante, alza il braccio destro per prendere forza e scagliare la corda contro i mercanti[7]. Gli uomini e le donne fuggono dal tempio in modo scomposto: alcuni cadono per terra, altri scappano con il bestiame tra le braccia, mentre altri ancora, in secondo piano, sono già di ritorno a casa, con i banchi sulle spalle. Al fragore della scena si contrappone il delicato tono dei colori e un dolce sfumato che ammanta le carni delle figure. È tipica del pittore una tavolozza composta da colori tenui e toni molto bassi, come il rosa infuso di cangiantismi e un azzurro più intenso ma non discordante, riscontrabile anche nell‘Apollo e le nove muse[8], del Museo Francesco Borgogna a Vercelli (fig.2), databile tra gli anni settanta e ottanta del Cinquecento.

La prova dell’autografia naldiniana dell’opera è la figura di Cristo, paragonabile con la medesima del Compianto sul Cristo Morto[9] presente nella Pinacoteca di Siena, (fig.3) datato al 1578: ha lo stesso piccolo naso, così come lo sono anche le orecchie, incorniciate dalle mosse ciocche rosse e la presenza di gote leggermente rossastre tipiche del pittore. Nell’opera salentina la figura femminile a destra di Cristo che scaccia i mercanti, presenta notevoli somiglianze con la donna in primo piano che tiene una palma nella tela senese, ripetendosi anche nella figura di Maria Maddalena nel Compianto su Cristo morto[10] della Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro (fig.4). Lo stesso viso può essere confrontato con quelli delle figure femminili nella Betsabea al bagno[11] (fig.5), sempre del pittore fiorentino, realizzata intorno al 1570 ed esposta al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo. In particolare, l’acconciatura con i capelli raccolti in treccioline che contornano il capo e i visi dalle gote rosse, in netto contrasto con le pelli nivee dei personaggi, diventano elementi distintivi del pittore. Componenti simili nelle vesti, che si increspano in piccole pieghe tubolari e si spezzano seguendo forme geometriche, si osservano anche in altri dipinti come la Deposizione di Cristo dalla croce[12], conservata nella Chiesa di Santa Maria Novella (fig.6), databile intorno al 1572. Si noti, inoltre, la vicinanza stilistica tra il dolce volto del Cristo fiorentino e quello della tela salentina, che, anche in un contesto in cui la narrazione non lo richiede, si mostra placido e aggraziato.

Infine, la figura a sinistra dei piedi di Cristo del dipinto finora esaminato fa esplicito riferimento al personaggio in primo piano disteso per terra, visto di scorcio, nel disegno del Martirio di Santa Caterina d’Alessandria e Trinità[13] di Naldini (fig. 7), conservato a Firenze presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe della Galleria degli Uffizi. Lo stesso personaggio è ritrovabile anche nella pala pistoiese del Miracolo della ruota di Santa Caterina d’Alessandria della chiesa di Santa Maria delle Grazie (fig. 8). Questo dettaglio è così forte che diventa probante per riferire con sicurezza l’opera alla mano di Naldini. Il dipinto salentino potrebbe essere identificabile con un’opera citata da Raffaello Borghini nel suo libro Il riposo, scritto nel 1584. Il letterato fiorentino cita un’opera di Naldini a Roma, rappresentante “Cristo, che scaccia i Farisei del Tempio” di proprietà di Antonio da Gallese (1500-1568)[14]. Antonio, detto da Gallese, poiché proveniva dalla cittadina viterbese dalla quale prendeva il suo nome, fu un rinomato giurista ecclesiastico che pubblicò importanti scritti – Tractatus de exceptionibus, De excercitatione iurisperitorum e Ad formulam Cameralis obligationis liber – e fu collaboratore di papa Paolo IV. Se si accettasse l’identificazione dell’opera con quella posseduta da Gallese, la morte del giurista, pertanto, potrebbe essere presa come possibile ante quem per la realizzazione dell’opera e supporre che Borghini a Firenze non sapesse dell’avvenuta scomparsa del giurista.

La prima fonte conosciuta che menziona il dipinto di Naldini nella pinacoteca di Palazzo Risolo è quella del professore Cosimo De Giorgi, che nei suoi Bozzetti di viaggio del 1884 descrisse la quadreria: “E giacché siamo in questo palazzo, volgiamo lo sguardo alla pinacoteca che decora le pareti delle sue vaste sale. Tu osserverai, fra gli altri quadri, uno rappresentante Cristo alla colonna di Annibale Carracci, ed un altro che raffigura Gesù che scaccia i venditori dal Tempio, giudicato del Vasari; poi la Terra Promessa di Luca Giordano, un altro bozzetto dello stesso autore, rappresentante La Deposizione della Croce. Una Sacra Famiglia è pure dello stesso autore ad imitazione di Paolo Veronese. Quattro grandi quadri di battaglie, due di Aniello Falcone ricche di slancio e di fuoco e due di Cristiano Bader. Una tela dello Schedone raffigura Agar e l’Angelo; poi S. Anna del Solimena ed una Vergine col Bambino del nostro Paolo De Matteis. Tralascio altri quadri minori […]”[15]. La tela che De Giorgi riferiva a Vasari è quella attribuibile a Naldini, dato che non sarebbe stato difficile per un occhio non esperto confondere la mano dell’allievo con quella del suo maestro. Come il conte Risolo sia arrivato in possesso della tela oggigiorno non è possibile saperlo, data la mancanza di un inventario (come segnalato da Marcello Gaballo e Giovanni Perdicchia) e la scarsità dei documenti, che ci impediscono di conoscere con precisione i passaggi collezionistici della tela.


 

Fig. 2 – Giovanni Battista Naldini, Apollo e le nove muse, dettaglio, Vercelli, Museo Francesco Borgogna.

Fig. 3 – Giovanni Battista Naldini, Compianto su Cristo morto, Siena, Pinacoteca Nazionale.

Fig. 4 – Giovanni Battista Naldini, Compianto su Cristo Morto, Pesaro, Fondazione Cassa di Risparmio

Fig. 5 – Giovanni Battista Naldini, Betsabea al bagno, San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage.

Fig. 6 – Giovanni Battista Naldini, Deposizione di Cristo, dettaglio, Firenze, Santa Maria Novella.

             Fig. 7 – Giovanni Battista Naldini, Martirio di Santa Caterina d’Alessandria e Trinità, Firenze, GDSU.

Fig. 8 – Giovanni Battista Naldini, Miracolo della ruota di Santa Caterina d’Alessandria, chiesa di Santa Maria delle Grazie, Pistoia.

NOTE

Ringrazio Paolo Benassai con il quale mi sono confrontato per l’attribuzione del dipinto.

[1] L’acquisizione dei due dipinti è stata possibile grazie alla mediazione di Giovanni Perdicchia e di Stefano Tanisi (“La Gazzetta del Mezzogiorno”), mentre il primo articolo pubblicato sui dipinti è di Marcello Gaballo e Giovanni Perdicchia e risale al 23/12/2023. Si veda M. Gaballo e G. Perdicchia, “Due preziosi antichi dipinti per il patrimonio di Specchia, in Fondazioneterradotranto, 2023.

[2] C. De Giorgi, La provincia di Lecce, Bozzetti di viaggio, Lecce 1884, pp. 60-61. Si veda anche C. de Giorgi, “Pinacoteche e musei nella provincia di Lecce”, in Arte e Storia 1892, pp. 204-205. Per un resoconto aggiornato su Palazzo Risolo si veda A. Penna, Chiese e palazzi di Specchia, Bari 2014, pp. 297-311.

[3] M. Gaballo e G. Perdicchia, “Due preziosi antichi dipinti per il patrimonio di Specchia”, in Fondazioneterradotranto, 2023.

[4] Olio su tela 145×196 cm.

[5] Olio su tela 227×168 cm.

[6] Su Giovanni Battista Naldini si veda P. Barocchi, Itinerario di Giovanni Battista Naldini, Firenze 1965; Giorgio Vasari – tra decorazione ambientale e storiografia artistica. Convegno di studi (Arezzo, 8 – 10 ottobre 1981) a cura di G. C. Garfagnini, Firenze 1985; C. Thiem, Das römische Reiseskizzenbuch des Florentiners Giovanni Battista Naldini 1560/61, Monaco, 2002, nonché, P. Carofano, Un bozzetto di Giovambattista Naldini nella Galleria Nazionale dell’Umbria in “Valori Tattili” 2022, (gennaio-giugno 2022), pp. 18-33 e bibliografia precedente.

[7] La posa di Cristo sembra ricordare l’ultima composizione di grande respiro alla quale Michelangelo Buonarroti si dedicò negli anni finali della vita, la Cacciata dei mercanti dal Tempio. Dell’opera, che non fu mai realizzato un originale pittorico da parte del maestro, ma solo un cartone, ci rimangono dei disegni preparatori (British Museum n. 1860,0616.2.3) e una traduzione dell’idea di Michelangelo da parte di Marcello Venusti, nel piccolo dipinto della medesima scena conservato nella National Gallery di Londra. Stessa idea, questa, che sembra essere ripresa, successivamente, anche dal dipinto del medesimo soggetto di Giovanni Stradano. Per la Cacciata dei Mercanti di Michelangelo si veda M. Marongiu, Michelangelo: amici, allievi, collaboratori. Il caso di Marcello Venusti, in “Predella”, 54, 2023, pp. 9-32.

[8] Olio su rame 32×24 cm. Si veda P. Barocchi, Itinerario di Giovanni Battista Naldini, Firenze 1965, p. 24. E per una scheda aggiornata E. Capretti in Il Cinquecento a Firenze. “Maniera moderna” e controriforma, catalogo della mostra a cura di C. Falciani e A. Natali, Firenze, Palazzo Strozzi, 21 settembre 2017-21 gennaio 2018, Firenze 2017, pp. 226-227.

[9] Tavola 318×231 cm.

[10] Tavola 95×74 cm.

[11] Olio su tela 182×150 cm.

[12] Olio su tavola 407×259 cm.

[13] Penna e inchiostro su carta bianca, GDSU inv. 7475F. Il disegno inizialmente fu inventariato da Ferri come Naldini, in accordo con l’antica scritta che compare sul verso. Successivamente invece, nel 1966, fu spostato dubitativamente a Jacopo Zucchi da A. Forlani Tempesti in accordo con il parere di P. Barocchi. Poi nel 1986 fu riportato a Naldini da A. Petrioli Tofani e infine considerato del periodo giovanile di Naldini da A. Cecchi il 03/05/1988. Si veda A. Petrioli Tofani, L’inventario settecentesco dei disegni degli Uffizi di Giuseppe Pelli Bencivenni, 2014, parte I voll. 3-4, p. 525.

[14] R. Borghini, Il riposo, Firenze 1584, p. 617.

[15] C. De Giorgi, La provincia di Lecce, Bozzetti di viaggio, Lecce 1884, pagg. 60-61.

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