Per una cartografia femminista della fotografia italiana. Un convegno a Roma
Nei giorni del 26 e 27 settembre 2024, il Dipartimento SARAS – Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo dell’Università Sapienza di Roma ha ospitato il convegno intitolato Mostrare, promuovere, conservare. I luoghi della fotografia femminista in Italia, a cura di Lara Conte, Raffaella Perna e Claudio Zambianchi. Con il comitato organizzativo – composto da Elisa Genovesi e Martina Rossi, in collaborazione con Ingrid Ranalli e Giulia Ricozzi – sono state costruite due giornate di scambio sulle ricerche condotte nell’ambito del PRIN 2020 – La fotografia femminista italiana. Politiche identitarie e strategie di genere dalle unità di ricerca delle Università di Bologna, Parma e Roma.
Si ripercorrono qui alcuni momenti di queste due giornate, con particolare attenzione alle esperienze che riguardano la conservazione e la valorizzazione critica dei documenti.
Nel riesaminare la storia della fotografia in Italia dagli esordi al 1980, il progetto di ricerca vuole restituire visibilità al ruolo, spesso censurato, delle molteplici fotografe donne che hanno operato in Italia in modalità e contesti culturali diversi, ma che hanno in comune la capacità di scardinare il paradigma dello sguardo maschile, pervasivo della storia di questo medium. Riconoscendo nel lavoro di queste autrici un posizionamento femminista, talvolta esplicito e militante, più spesso espresso in potenza nella loro produzione, si intende rivivificare la loro attività al fine di fornire strumenti per nuove ricerche che colmeranno questa lacuna storiografica.
Il tema focale del convegno sono stati i luoghi della fotografia femminista italiana: passati, presenti e auspicabilmente quelli futuri.
Sono stati oggetto di studio i luoghi fisici, come musei, fondazioni, archivi e collezioni che hanno nel tempo salvaguardato scatti e documentazione relativi all’attività delle fotografe e che oggi ne implementano lo studio e la valorizzazione; ma anche spazi “mobili”, come quelli delle pubblicazioni che ne hanno accolto la ricerca visiva e ne hanno permesso la circolazione. Auspicando il prosieguo di questa linea di studi, sono stati presentati gli spazi digitali che accoglieranno la ricognizione portata avanti dal gruppo di ricerca: il Caveau Digitale La fotografia femminista italiana (FFI), presentato per la prima volta nella sua interfaccia da Elisa Genovesi – assegnista di ricerca dell’Università Sapienza di Roma -ospiterà e renderà fruibili al pubblico i dati raccolti, attraverso schede dettagliate e strumenti di ricerca incrociata che ne faciliteranno la consultazione (Fig. 1).
Introdotto da Federica Muzzarelli, Principal Investigator del progetto e da Raffaella Perna, la prima mattina di lavori è stata occasione per ascoltare le rappresentanti di istituzioni che con dedizione si stanno occupando di creare nuove opportunità di riscoperta, studio e divulgazione dei fondi fotografici di autrici donne presenti nelle proprie raccolte o dell’organizzazione di mostre che pongano il lavoro delle fotografe al centro di una nuova narrazione.
Attraverso le esperienze del Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo, della Fondazione Alinari per la fotografia, della Fondazione Camera di Torino, di Archivia, fondo archivistico di storia e pratica femminista della Casa Internazionale delle Donne di Roma, e del Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell’Università di Parma, sono emersi alcuni punti chiave del processo di ricognizione avviato. La mappatura dei fondi di interesse è affiancata da una attività strutturata di catalogazione e ripristino delle condizioni conservative della documentazione presente. Rendere accessibile e fruibile quel materiale fotografico è difatti il presupposto fondamentale per la diffusione e valorizzazione delle esperienze conservate nelle raccolte suddette.
Durante il pomeriggio, due sessioni sono state poi dedicate alla presentazione delle ricerche condotte nell’ambito del progetto dalle unità di Bologna, Parma e Roma, mentre la seconda giornata è stata riservata alla restituzione delle ricerche emerse dalla Call for Papers lanciata la scorsa primavera e dedicata a giovani studiosi e studiose, in cui si invitava a confrontarsi con il tema dei luoghi generativi della fotografia femminista italiana.
L’applicazione di uno sguardo femminista alla storia della fotografia informa capillarmente l’analisi sviluppata, che per la prima volta in Italia affronta in maniera sistematica l’assenza di una narrazione condivisa sulle esperienze delle numerose fotografe donne che hanno operato nel nostro Paese. In quest’ottica, ripartire dai luoghi che ne hanno conservato la traccia appare estremamente puntuale.
Per ridisegnare le geografie di questo sapere specifico, studiose e studiosi hanno contribuito a recuperare l’importanza degli spazi di espressione delle istanze di emancipazione femminile e femminista, già rivendicati al tempo da parte delle autrici stesse e che oggi è necessario riportare al centro del discorso. Porre in atto questa riconfigurazione risulta più agevole nei casi in cui l’opera di fotografe della seconda metà dello scorso secolo incarna totalmente l’intersezione fra pratica fotografica e militanza femminista attiva sul territorio. È il caso, ad esempio, dell’esperienza di Milli Gandini, i cui scatti, ricchi di rimandi espliciti alle lotte femministe della metà degli anni Settanta, documentano il suo contributo alla lotta per il salario al lavoro domestico e la propria partecipazione a uno dei primi gruppi militanti di artiste donne in Italia, il Gruppo Immagine di Varese. Maria Teresa Ferrara – dottoranda del Dipartimento di Studi Umanistici di Roma Tre – illustrandone la ricerca, ha sottolineato come fotografando sé stessa e le proprie compagne, in particolare all’interno della casa, Gandini trasformasse uno spazio di costrizione e oppressione in spazio di denuncia e militanza attiva.
Analogamente, Marina Guerra, la cui ricerca visiva è stata presentata da Benedetta Susi – dottoranda in Arti, Storia, Società presso l’Università di Bologna e componente del gruppo di ricerca del Prin 2020 La fotografia femminista in Italia – alla fine degli anni Settanta produce un corpus fotografico crudo e diretto, che converge nel fotolibro Noi, altre. Immagini e storie di donne. Nel volume si incontrano le esperienze della lotta di classe e lo sguardo della fotografa, capace in modo non dichiaratamente femminista eppure chiaramente posizionato, di offrire uno spazio di narrazione co-costruita alle lavoratrici che decide di ritrarre (Fig. 2).
Tuttavia, adottare uno sguardo di genere può voler dire anche recuperare il valore anticipatorio delle istanze di emancipazione in esperienze in cui la fotografia è strumento prediletto per la liberazione e l’esplorazione della propria identità soggettiva. Senza sovradeterminare le intenzioni delle autrici, possiamo osservare ciò che la loro produzione fotografica ci racconta oggi. Così l’esperienza raccontata da Emanuele Carlenzi – dottorando alla Scuola IMT Alti Studi di Lucca – ripercorre l’utilizzo della rappresentazione fotografica da parte di Fiore De Henriquez come un percorso di affermazione identitaria. La scultrice triestina assume il ruolo di orchestratrice di ritratti fotografici di autori terzi che la vedono sola o con le proprie opere, talvolta al fianco di chi le aveva commissionate, e costituiscono pretesti di rappresentazione della propria identità, da lei stessa definita “ermafrodita”. Attraverso la fotografia l’artista legittima la propria auto-narrazione, narrando la propria intersessualità e facendosi portavoce di istanze di complessità di genere che anticipano le rivendicazioni odierne della comunità LGBTQIA+.
La fotografia in chiave femminista, dunque, è intesa come strumento di militanza, di esplorazione del sé, ma anche come possibilità di sguardo sulle convergenze tra i mondi artistici: la fotografia di scena praticata da Luisa Di Gaetano e presentata da Martina Rossi – assegnista di ricerca dell’Università Sapienza di Roma – ci racconta bene la possibilità incarnata di spaziare attraverso ambiti artistici differenti, sintetizzando (in questo caso) la natura visiva del teatro sperimentale romano e di quello dei burattini (TSBM), restituiti al contempo come attori e oggetti di scena. Lo scardinamento delle gerarchie culturali fra i linguaggi artistici è centrale e incanala l’impegno sociale e femminista che ha caratterizzato a fondo la ricerca di Di Gaetano.
E poiché la storia si integra anche attraverso le parole, non sono mancati neanche resoconti volti a recuperare le esperienze dove l’immagine fotografica ha incontrato la parola scritta e affermante, fabbricando preziosi spazi di auto-narrazione, come nel caso dell’ampio utilizzo della fotografia nelle riviste dei collettivi femministi milanesi di fine anni Settanta, ricerca presentata da Giulia Colombo e Giulia Zompa – dottorande dell’Università degli Studi di Milano.
Riscrivere la storia della fotografia, scardinando l’egemonia di una narrazione maschile, significa decentrare tale narrazione, annullarne la linearità e recuperare invece un’articolazione snodata e polifonica, riscoprendo tutte le ricerche spesso condotte – e sicuramente poi costrette – al margine di questo campo. Gli studi presentati costituiscono l’avvio di quello che si auspica essere un processo ancora più ampio di riscoperta profonda, per il quale è necessario uno sforzo collettivo da parte della comunità scientifica a livello nazionale: per questo motivo è stata lanciata una Call to Action pubblica, volta a incentivare la segnalazione di materiale, al fine di arricchire ancora il contenuto del Caveau Digitale FFI.
Nel 2025 è atteso a Bologna un secondo momento di incontro, con l’organizzazione di un convegno internazionale dedicato alla fotografia femminista italiana, che ci mostrerà gli sviluppi ulteriori di questa ricerca.
Astu Pavesi
Convegno «Mostrare, promuovere, conservare. I luoghi della fotografia femminista in Italia»
A cura di Lara Conte, Raffaela Perna, Claudio Zambianchi
26-27 settembre 2024 – Sapienza Università di Roma