Giuseppe Melchiorri a Villa Farnesina. Novità documentarie e un nuovo ciclo di pitture
I restauri coordinati negli ultimi anni dall’Accademia Nazionale dei Lincei nella cinquecentesca Loggia di Galatea in Villa Farnesina, la concomitanza di nuovi affondi di ricerca e il generoso contributo del Linceo Prof. Natalino Irti, a cui si è aggiunto il finanziamento dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia per il restauro e la valorizzazione dell’ex locale biglietteria al pianterreno dell’edificio (sede del rinvenimento da parte del Conservatore della Villa, Virginia Lapenta, di un nuovo ciclo di pitture), hanno fornito le basi per avviare un più ampio progetto di studio condiviso, sostenuto anche dall’Associazione Amici dell’Accademia dei Lincei, che grazie all’unione di distinte competenze si è rivelato fondamentale per focalizzare meglio alcuni aspetti della storia della palazzina chigiana tra il XVII e il XVIII secolo. Se i primi risultati dei lavori ancora in corso sono stati presentati in occasione di un convegno linceo coordinato da Alessandro Zuccari e organizzato da Virginia Lapenta in collaborazione con l’École française de Rome e il Parco Archeologico del Colosseo, che si è svolto a Palazzo Corsini il 5 novembre 2024 e a cui si è unita anche una mostra dal titolo “Il Seicento in Villa Farnesina”, si approfitta in questa sede per anticipare alcune delle novità più rilevanti emerse sul fronte storico-artistico1.
In un denso contributo del 2020 Carla Benocci rendeva noto in trascrizione quasi integrale l’inventario post mortem dell’abate Giuseppe Melchiorri2, compilato nell’ottobre 1718 per disposizione del fratello ed unico erede testamentario del defunto, Girolamo, proprio nella Villa Farnesina alla Lungara, che il canonico aveva preso in affitto dall’agente del Duca di Parma, Francesco Felini, il 23 agosto 1698, stabilendovi continuativa dimora fino alla morte3. Nato a Trento e ministro dell’elettore di Magonza a Roma, Melchiorri si era impegnato da contratto a «tenere in buona cura, e custodia, e custodire diligentemente, con imporre anche il simile à servi di casa, tutte le pitture, e in particolare quelle della Galleria di Raffaele»4 e a segnalare ai proprietari Farnese qualunque, anche minimo, danno o principio di degrado su di esse, obbligandosi inoltre a non compiere modifiche di alcun genere all’edificio senza autorizzazione. Nell’inventario si faceva tuttavia chiaro riferimento all’esistenza nella dimora trasteverina del prelato di una «galleria nova dipinta a spese liberali del defonto [sic] abbate Melchiorri»5, che la studiosa, ripercorrendo la sequenza di ambienti elencati nel documento a partire dal moderno ingresso sul retro della Villa anziché dal lato della Loggia di Amore e Psiche – monumentale accesso rimasto in vigore fino all’Ottocento e da qualche anno riabilitato –, concludeva di poter collocare all’interno della stessa Loggia raffaellesca, immaginandola «evidentemente rinnovata dalla pittura»6, senza però specificare in che termini. Com’è noto, quest’ultima era infatti stata appena restaurata e completata da un’équipe di maestranze coordinate da Carlo Maratti tra il 1693 e il 16957 e veniva considerata alla stregua di un luogo sacro, motivo per cui risulta del tutto improbabile che Melchiorri, vincolato a non apportare migliorie di sorta e a vegliare sui preziosi affreschi del Sanzio, potesse avervi fatto eseguire un intero ciclo di pitture, menzionato nell’inventario e poi scomparso senza lasciare traccia, avendo l’ambiente tuttora mantenuto l’assetto assunto dopo i lavori maratteschi (fig. 1).
Ripercorrendo invece la serie di stanze a partire dal fronte principale e identificando la prima sala dell’appartamento terreno con la propaggine nord-est dell’edificio (fig. 2), verosimilmente dotata di una scala di accesso ancora visibile nelle rappresentazioni ottocentesche della Villa (fig. 3), l’inventario accenna, a seguire, alla «Galleria della Galatea di Raffaello», e subito dopo alla «Galleria nuova».
Questa era stata fatta decorare da Melchiorri con le «Glorie di Paolo III che fu il primo che intimò il Concilio di Trento»8, un tema che omaggiava quindi sia il casato farnesiano, tramite il ricordo dell’avo pontefice (1534-1549), sia la città natale dell’abate, sede delle prime sessioni conciliari. Proseguendo nell’elenco, il percorso si chiudeva proprio nella «Galleria di Raffaelle [sic]», cioè nella Loggia di Amore e Psiche, menzionata separatamente e anche per questo difficile da far combaciare con la nuova galleria dipinta. Quest’ultima è invece inoppugnabilmente circoscrivibile nel vano già adibito a moderna biglietteria – dove appunto Benocci situava l’ingresso –, il cui spazio originario appare oggi alterato dalla presenza di un tramezzo e dai vari interventi strutturali che ne hanno modificato l’antica pianta ad aula unica (fig. 4).
Proprio lì, dunque, Melchiorri fece eseguire le sue pitture, che sono senz’altro da riconoscere negli ampi lacerti appena riscoperti: in alto, al centro della volta, campeggiava lo stemma farnesiano sorretto nel cielo da putti svolazzanti (fig. 5) attorniati da cherubini, mentre nei pennacchi si alternavano altri putti dal significato allegorico-celebrativo (fig. 6) e lunette con paesi (fig. 7).
Una descrizione della Villa compilata nell’agosto 1775 da Gaetano Centomani, agente romano del Re delle Due Sicilie, menziona questa sala come «dozzinalmente dipinta nelli muri circondari e nella volta, in mezzo della quale vi è l’arma della Illustrissima casa Farnese»9, attestando quindi, se ben capiamo, che le decorazioni coprivano probabilmente anche le pareti. Le ricerche al riguardo sono, come si diceva, ancora in corso, ma tali pitture, eseguite a secco come le aggiunte di epoca marattesca nella Loggia di Amore e Psiche, opera di Domenico Paradisi e Domenico Belletti10, e come i paesaggi di grande formato nell’adiacente Loggia di Galatea11, sembrano intanto da riferire, almeno nelle porzioni figurate, al prolifico pittore sabino Girolamo Troppa (1636-1711)12, favorito di Melchiorri. Risultano però distinguibili livelli qualitativi diversi, in linea con una tendenza, comunque, piuttosto comune nella produzione di questo artista: più alto nella volta (fig. 8) e più corrivo, invece, nei pennacchi e nei paesi.
Questi ultimi aprono, peraltro, un nuovo spaccato sul rapporto del recuperato ciclo pittorico con i numerosi inserti di paesaggio nella contigua Loggia di Galatea, a lungo ritenuti pertinenti alla metà del Seicento e solo di recente spostati verso la fine del secolo e variamente riferiti al decoratore specialista di paesi François Simonot (1660-1731)13 e allo stesso Troppa14. Senza volersi qui addentrare nel dibattito attributivo, basti solo aggiungere che un inedito documento reperito dalla scrivente presso l’Archivio di Stato di Napoli15 attesta che proprio in occasione dell’arrivo dell’abate in Farnesina questo ambiente, rimasto fino a quel momento aperto sul giardino circostante e quindi non chiuso, come si pensava, intorno al 1650 insieme alla Loggia di Amore e Psiche16, fu definitivamente murato e dotato di finestre; di conseguenza, almeno i paesi che si trovano sulla parete del loggiato andranno senza più dubbi datati a partire da quel momento (fig. 9).
Rispetto a questi ultimi, i riquadri a parete sono caratterizzati da toni più chiari e concezione più ariosa, e a un’attenta osservazione successiva ai restauri palesano nel complesso una qualità più alta rispetto a quelli del loggiato, che appaiono in ogni caso coerenti a un medesimo intervento decorativo, a questo punto da porre per intero a ridosso del 169817. Se così fosse, sebbene il tamponamento della Loggia risulti eseguito dai Farnese, potremmo essere di fronte a un intervento pittorico su ampia scala patrocinato da Melchiorri, che potrebbe essersi affidato almeno in parte ai lavoranti già attivi nei restauri farnesiani appena conclusi, così come aver assoldato, tra gli altri, proprio Girolamo Troppa, di cui possedeva moltissimi quadri e al quale i suoi carteggi privati dedicano spesso menzioni di elogio18. Se tuttavia il coinvolgimento di Troppa nella volta con putti non sembra sollevare grossi dubbi interpretativi, meno chiaro appare invece l’eventuale ruolo dell’artista in relazione ai paesaggi della Galatea, che Francesco Gatta – all’oscuro delle novità sulla chiusura della Loggia e non conoscendo ancora le nuove pitture – ha proposto di assegnare proprio a lui, ancora in seno ai lavori maratteschi (1695-1696), senza disporre, a mio parere, di evidenze sufficienti a motivare la presenza del pittore in cantiere prima dell’arrivo alla Lungara del canonico trentino e per giunta nella veste inconsueta di paesaggista totale19. Di certo, le lunette con paesi che si alternano ai pennacchi con putti nella nuova galleria sono caratterizzate da tratti rapidi e sommari, che forse meglio si attaglierebbero all’intervento di un decoratore e che poco sembrano avere a che fare con quanto si vede nella Loggia di Galatea, in particolare per quanto riguarda i dipinti di formato maggiore (fig. 10): sarebbe del resto assolutamente normale, visto il contesto e vista soprattutto l’estensione delle superfici dipinte, che più persone siano state all’opera sui ponteggi.
Il 20 ottobre 169820, a pochi mesi dalla firma dei patti contrattuali per la locazione della Farnesina e in corrispondenza con il decorrere del contratto stesso21, Giuseppe Melchiorri pagò 291 scudi e 25 baiocchi al maestro di casa farnesiano Domenico Salvi, lo stesso che aveva disposto per lui la chiusura della Loggia di Galatea. Non trattandosi del canone di locazione della Villa, fissato in 300 scudi annui, la cifra ragguardevole indurrebbe a pensare a un rimborso per lavori: magari quelli necessari al tamponamento del loggiato, oppure proprio quelli connessi all’esecuzione del ciclo di pitture, che se messo in opera simultaneamente all’arrivo dell’abate ben si allineerebbe anche alla clausola impostagli di non compiere poi altre modifiche nell’edificio.
Per il momento, i dubbi e le questioni aperte dovranno purtroppo rimanere in sospeso, in attesa, si spera, di raggiungere presto nuove certezze.
Giulia Daniele
NOTE
[1] Gli esiti integrali di tutte le ricerche attive confluiranno presto in un volume di atti.
[2] C. Benocci, Il gusto di un eminente trentino ‘imperiale’ del Settecento: Giuseppe Melchiorri alla Villa Farnesina, ritratto da Andrea Pozzo, e la predilezione per Girolamo Troppa e altri pittori, «Studi Romani», 2, 2020, 1, pp. 113-155.
[3] Il contratto di locazione, che ho potuto riverificare in originale (cfr. infra, nota 4), era già stato segnalato da G. Michel, Vie quotidienne au Palais Farnèse (XVIIe-XVIIIe siècle), in Le Palais Farnèse. École française de Rome, 2 voll., Roma 1981, vol. I.2, pp. 509-565, in part. pp. 541-542. Il Duca di Parma era, dal dicembre 1694, Francesco Farnese (1678-1727).
[4] Roma, Archivio di Stato [=ASR], 30 notai capitolini, uff. 25, vol. 453, cc. 321r/v, 328r/v, in part. c. 321v.
[5] Benocci 2020, p. 131.
[6] Eadem, p. 114.
[7] Per una puntuale ricostruzione documentaria di questi lavori si rimanda a L. Testa, Le vicende storiche della loggia attraverso le ricerche documentarie, in Raffaello. La loggia di Amore e Psiche alla Farnesina, a cura di R. Varoli-Piazza, Cinisello Balsamo 2002, pp. 418-431, con bibliografia precedente.
[8] Benocci 2020, p. 131.
[9] Napoli, Archivio di Stato, Ministero degli Affari Esteri, b. 1228, fasc. 13.
[10] Si approfitta per segnalare che il Monsù Paradiso menzionato tra gli autori di quadri presenti nell’inventario di Melchiorri non è, come vorrebbe Benocci 2020, p. 125, il Domenico Paradisi che prese parte con Domenico Belletti ai restauri di Villa Farnesina, ed è invece identificabile con il pittore fiorista olandese Esaias Terwesten (cfr. G. Serafinelli, Echi e predominanze fiamminghe nella formazione e produzione di Luigi Garzi. Nuovi documenti biografici e artistici, in Luigi Garzi, 1638-1721: pittore romano, a cura di F. Grisolia, G. Serafinelli, Milano 2018, pp. 13-55, 273-277, in part. p. 26, con bibliografia).
[11] I paesaggi minori disposti sulla parete del loggiato sono invece eseguiti a mezzo fresco, probabilmente a causa della necessità di stendere una prima base di intonaco sui mattoni del tamponamento. Si tratta anche in questo caso di un aspetto ancora al vaglio.
[12] Per l’artista, di cui singolarmente io stessa ho tracciato anni fa un breve profilo per il Dizionario Biografico degli Italiani (https://www.treccani.it/enciclopedia/girolamo-troppa_(Dizionario-Biografico)/), si rimanda al recente volume Girolamo Troppa: un protagonista del Barocco romano, a cura di F. Petrucci, Todi 2021, con bibliografia precedente.
[13] G. Daniele, Nuove ipotesi per i paesaggi secenteschi della Loggia di Galatea in Villa Farnesina alla Lungara, in Natura e artificio nell’Europa del Seicento e Settecento: artisti, conoscitori e scienziati tra osservazione, invenzione e diffusione del sapere, a cura di M. di Macco, Firenze 2023, pp. 23-43.
[14] F. Gatta, Precisazioni e novità su tre paesaggisti del Barocco romano: Francesco Cozza, Adriaen van der Cabel e Girolamo Troppa, intervento presentato al convegno Le arti a Roma nel secondo Seicento (Roma, Istituto Austriaco di Studi Storici, 27-29 settembre 2023), a cura di S. Albl, E. Martini, i cui atti sono attualmente in corso di pubblicazione.
[15] Se ne darà puntuale conto e trascrizione negli atti della giornata di studi del 5 novembre.
[16] Di questa idea C.L. Frommel, Die Farnesina und Peruzzis architektonisches Frühwerk, Berlino 1961, p. 19; Idem in La Villa Farnesina a Roma, a cura di C.L. Frommel, 2 voll., Modena 2003, vol. I, p. 61, seguito dagli studi successivi.
[17] Chiaramente, non si può neppure escludere, allo stato attuale delle conoscenze, che il ciclo vada datato a qualche anno dopo, e anzi le ricerche in essere punteranno, tra le varie cose, anche a definire meglio le cronologie.
[18] Cfr. Quellen zur Geschichte des Barocks in Franken unter dem Einfluß des Hauses Schönborn – Die Zeit des Erzbischofs Lothar Franz und des Bischofs Johann Philipp Franz von Schönborn 1693-1729, a cura di P.H. Hantsch, A. Scherf, 2 voll., Augsburg 1931-1955, vol. 1, 1931, pp. 116-118. Per la collezione di quadri si rimanda ancora a Benocci 2020.
[19] Cfr. supra, nota 14.
[20] Roma, Archivio Storico della Banca d’Italia, Banco di Santo Spirito, 1698, f. 1229. Il foglio è in più punti reso illeggibile dalla presenza di estese lacune sui margini e non è dunque chiarissima la specifica del mese, che è però certamente successivo ad agosto.
[21] Nel contratto dell’agosto 1698 si legge infatti che la locazione sarebbe stata valida «per triennium proximum incipiendum à die prima octobris proximi» (ASR, 30 notai capitolini, uff. 25, vol. 453, c. 321r).