La Galleria Corsini di Roma da collezione privata a museo pubblico
FEDERICA MARIA PAPI
Oggi fa parte delle Gallerie Nazionali Barberini Corsini di Roma ma fino al 1883 ha costituito una delle più imponenti raccolte principesche fedecommissarie di Roma.
Parliamo della Collezione Corsini la cui storia secolare trova finalmente il suo primo studio completo nei due ponderosi volumi pubblicati da Enzo Borsellino nel dicembre del 2017 per le Edizioni Efesto, ma che problemi burocratici-editoriali, prolungati dallo scoppio della pandemia nel 2020, ne hanno impedito la promozione e la distribuzione fino al 2021. La presentazione del monumentale lavoro si è tenuta il 9 marzo 2022 presso l’Accademia dei Lincei con interventi di Maria Barbara Guerrieri Borsoi, Paolo Carpentieri, Salvatore Settis e Alessandro Zuccari.
Noto studioso di storia del collezionismo, già docente di museologia all’Università degli Studi Roma Tre, Borsellino, nelle 1556 pagine che compongono i suoi due tomi, illustra, nella prima parte, le vicende che hanno portato alla formazione della preziosa raccolta d’arte a partire dal XVII secolo, ai suoi sviluppi nei secoli successivi fino alla donazione allo Stato italiano nel 1883, dedicando un ultimo capitolo, il settimo, anche ad alcuni episodi museografici e museologici che hanno riguardato la collezione e il suo allestimento nel 2009. Il secondo volume contiene invece l’eccezionale corpus documentario frutto di quarant’anni di ricerche archivistiche per lo più svolte presso l’archivio privato della famiglia Corsini a Firenze. Si tratta di corrispondenze epistolari, conti, ricevute di pagamento, atti notarili, registri diversi e ben 58 inventari dei dipinti e delle sculture per lo più inediti, documenti che, come dichiara l’autore, forniscono non solo il sostegno filologico e metodologicamente corretto alla ricostruzione storica della raccolta, ma offrono anche numerosi spunti per nuove ricerche e per i quali ci si augura l’immissione in un database che li renda open, ovvero accessibili agli studiosi di tutto il mondo sulla linea degli Archival Inventories della Fondazione Getty di Los Angeles oppure dell’Archivio del collezionismo romano ideato dal compianto Luigi Spezzaferro.
Il primo capitolo si apre con una interessante panoramica degli studi moderni: da quelli intrapresi dai primi responsabili della Galleria già all’indomani dell’acquisizione dello Stato, quando la collezione Corsini fu fusa con altre provenienti dal Monte di Pietà, dai Torlonia e dagli Odescalchi, a quelli fondamentali usciti negli anni ’80 del Novecento di mano dei funzionari che si sono avvicendati alla sua direzione, in particolare le ricerche documentali di Giuseppina Magnanimi e di Sivigliano Alloisi indirizzate al recupero della consistenza originale della raccolta, fino ai più recenti contributi sull’argomento tra i quali si segnalano gli atti del convegno tenutosi nel 2015 sulla storia del palazzo e della collezione nell’Ottocento (Storie di Palazzo Corsini. Protagonisti e vicende nell’Ottocento, a cura di A. Cosma e S. Pedone, Roma 2017). Si viene successivamente introdotti alla famiglia fiorentina e ai membri che diedero origine al primo ramo romano dei Corsini: Neri (1577-1622), Filippo (1578-1636) e Ottavio (1588-1641). Furono loro a stabilire importanti rapporti, anche di amicizia, con i Barberini testimoniati peraltro dal dono della celebre tela di Guido Reni raffigurante Sant’Andrea Corsini a Urbano VIII, papa che di quel processo di canonizzazione fu l’artefice.
Il busto ritratto di monsignore Ottavio Corsini scolpito dall’Algardi per il monumento funebre del prelato nella Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini apre infatti il ricco apparato illustrativo che correda il primo volume. Ottavio fu tra i membri della Casata vissuti nel XVII secolo il primo a rivelare un significativo interesse per le opere d’arte. Tuttavia, fu dalla discendenza di suo fratello Filippo che nacquero Neri senior (1624-1678) e Bartolomeo II che, pur tornato a Firenze, fu il padre di quel Lorenzo Corsini (1652-1740) che nel 1730, all’età di settantotto anni, divenne papa con il nome di Clemente XII. Seppure già Neri Corsini senior aveva messo insieme una rilevante collezione di pittura che vantava, tra l’altro, il suo sublime ritratto dipinto da Gaulli (Fig. 1), fu con Lorenzo e Neri Maria Corsini junior (1685-1770), nipote del pontefice, che la raccolta di quadri, sculture, di libri, di disegni e stampe, raggiunse il massimo splendore.
Lo rivelano gli inventari analizzati da Borsellino redatti tra il 1740 e gli anni ’70 del Settecento nel palazzo alla Lungara, quel Palazzo Riario che nel 1736 fu acquistato da Neri Maria e Bartolomeo Corsini e affidato alle cure dell’architetto Ferdinando Fuga che lo trasformò nel sontuoso gioiello architettonico che si dipana dalle pendici del Gianicolo fino alle sponde del Tevere e le cui vicende costruttive sono state oggetto di una prima importante monografia dello stesso Borsellino edita nel 1988.
Ai Corsini collezionisti del XVIII secolo è dedicato l’intero secondo capitolo. La loro appartenenza al clima erudito del tempo, come spiega lo studioso, ben si ricava dalle liste inventariali della raccolta che, in diversi casi, si sono rivelate utilissime perché contengono rare informazioni sulle modalità di acquisizioni dei pezzi, sui soggetti, sulle attribuzioni, sulla disposizione dei quadri nel palazzo riportando, a volte, anche il valore di mercato. D’altro canto, è ormai ben noto quanto i Corsini abbiano contribuito alla diffusione del gusto archeologico e letterario nella prima metà del Settecento. Molte pagine del secondo capitolo sono infatti riservate alla descrizione della figura di Neri Maria Corsini come mecenate, committente e collezionista, al suo attorniarsi di intellettuali e studiosi del calibro di Giovanni Gaetano Bottari e Pier Francesco Foggini e dei migliori artisti su piazza del tempo. Ne viene giustamente sottolineato il ruolo di ispiratore di quella politica di tutela che ebbe l’episodio più illuminato nell’acquisizione in blocco della collezione di statuaria antica del cardinale Albani salvandola dalla sicura dispersione. La destinazione di quella raccolta alla “pubblica vista” fu il vanto del papato Corsini cui si lega la fondazione a Roma del primo museo pubblico: il Museo Capitolino, inaugurato nel 1734, la cui impostazione settecentesca dell’allestimento ideato dal marchese Alessandro Gregorio Capponi nel Palazzo Nuovo del Campidoglio si apprezza ancora oggi a quasi 300 anni di distanza, come ha messo bene in luce la recente mostra: Winckelmann e il Museo Capitolino nella Roma del Settecento. Il Tesoro di Antichità, a cura di E. Dodero, C. Parisi Presicce, Roma 2017. Peraltro, il prezioso catalogo del Museo che fu allora concepito da Bottari e Foggini e illustrato dai disegni tradotti in incisione del lucchese Giovanni Domenico Campiglia è stato oggetto di un nuovo studio dello stesso Borsellino edito nel 2019.
Ricostruendo attraverso gli inventari la fitta rete dei mercanti, antiquari, collezionisti, pittori e intermediari che gravitarono intorno alla figura di Neri Maria, Borsellino richiama l’attenzione anche sul notaio camerale Giovanni Battista Costantini, figura finora quasi totalmente sfuggita agli studi sul collezionismo romano del Settecento. Fu lui, possessore di una notevole raccolta di oltre 5000 opere, ad offrire in vendita nel 1736 a Clemente XII per 30.000 scudi un consistente numero di quadri di sua proprietà esposti in quell’anno nella annuale mostra organizzata dalla confraternita fiorentina di San Giovanni Battista nella chiesa di San Giovanni Decollato a Roma, suggerendo al pontefice di affiancare al neo istituito Museo di Antichità del Campidoglio anche una raccolta pubblica di quadri da esporre “nell’altro braccio di Campidoglio”. Come sappiamo non se ne fece nulla e la ricca collezione, di cui si attende con interesse la pubblicazione degli inventari, andò dispersa alla morte del collezionista. Nell’inventario Corsini del 1750, tra i quadri comprati fino ad allora da Neri Maria, otto provengono proprio dal Costantini. Ma il cardinale, spiega lo studioso, attinse a molteplici fonti del mercato per i suoi acquisti avvalendosi spesso della consulenza di alcuni dei più celebri pittori del tempo: Giovanni Paolo Panini, il pittore francese Nicolas Vleughels, dalla cui vedova arrivò l’Autoritratto di Rembrandt (fig. 2) oggi al Rijksmuseum di Amsterdam, Gaspar van Wittel e Giacomo Zoboli, solo per citarne alcuni. Quest’ultimo peraltro svolse per Neri Maria anche un prezioso ruolo di consigliere artistico senza ricevere compensi e donò al cardinale diversi quadri ancora oggi in Galleria.
Già perché molti dei dipinti, circa duecento, entrarono nella raccolta Corsini attraverso donazioni e legati testamentari al papa e al nipote offerti da personaggi in vista della società civile e curiale romana. Tra i doni più noti ci sono naturalmente le cinque grandi tele raffiguranti beati e santi canonizzati da Clemente XII: l’Estasi della Beata Caterina de’ Ricci del Masucci, la Predica di San Vincenzo de’ Paoli dello Zoboli, il San Francesco de Regis comunica gli appestati di Domenico Maria Muratori, la Morte di Santa Giuliana Falconieri di Pierleone Ghezzi e la Visione di Santa Caterina Fieschi Adorno di Marco Benefial, in origine tutte esposte nelle prime due anticamere della Galleria Corsini. Ma Borsellino ci svela anche molte altre provenienze collegate a doni giunti come ringraziamento per nomine ricevute: da Monsignor Girolamo Bardi sarebbe arrivato, insieme alla famosa Erodiade di Guido Reni (Fig. 3) e la Madonna con Bambino, Santa Caterina e angeli di Maratti terminata da Benefial, anche il trittico dell’Angelico; da Manuel Pereira de Sampaio la Madonna col Bambino, San Giovannino e angeli di Carlo Maratti, dal cardinale Spinelli, “gran protettore” di Winckelmann, il Sacrificio di Noè, già ritenuto originale di Poussin (oggi a Tatton Park, UK), e la Disputa di Gesù al tempio di Luca Giordano ancora in Galleria, e, ripartendo dagli studi di Maria Barbara Guerrieri Borsoi, incrociando nuovi dati, suppone che anche il grande ritratto di Clemente XII e di Neri Maria Corsini, tradotto in mosaico da Pietro Paolo Cristofari, non su modello del Masucci ma più verosimilmente su cartone preparatorio di Giacomo Zoboli , sia arrivato in omaggio. Diverse pagine raccontano proprio questa intricata vicenda che vede emergere la figura di monsignor Luigi Altoviti, cognato di Bartolomeo III Corsini fratello del cardinale Neri Maria, come il probabile committente-donatore del grande mosaico. Al Masucci spetta comunque certamente la versione del ritratto della collezione Camuccini, opera firmata e datata 1730, verosimilmente offerta dal pittore al nuovo pontefice con l’auspicio di qualche incarico che, infatti, non tarderà ad arrivare. Due anni dopo a Masucci sarà infatti commissionata la copia del Sant’Andrea Corsini di Guido Reni da tradurre nel mosaico destinato a decorare l’altare della nuova cappella di famiglia eretta in San Giovanni in Laterano, tema illustrato nella recente mostra: Guido Reni, i Barberini e i Corsini. Storia e fortuna di un capolavoro, a cura di S. Pierguidi, Milano 2018.
Con dovizia di particolari viene anche descritto quel drammatico biennio vissuto dalla Galleria durante l’occupazione francese di Roma del 1798-99. I debiti contratti dalla famiglia, rifugiatasi nel frattempo a Palermo, nonostante l’affitto del secondo piano del palazzo alla Lungara al fratello di Napoleone, Giuseppe Bonaparte, costrinsero i loro agenti romani ad alienare alcune delle migliori opere esposte al piano nobile. La causa intentata dai principi Neri e Tommaso Corsini al termine della Repubblica Romana nei confronti del mercante Luigi Mirri, acquirente dei quadri, nel tentativo di far revocare quella vendita si risolse negativamente. Dei venticinque dipinti ceduti solo nove tornarono in Galleria al prezzo ‘scontato’ di 2100 scudi. Tra questi anche la Madonna col Bambino del sivigliano Murillo (Fig. 9) sulla quale si vedano il recente contributo di Alessandro Cosma sulle novità tecniche e documentarie emerse dal restauro, La Madonna del latte di Murillo alla Galleria Corsini. Storia e restauro, a cura di A. Cosma, Venezia 2021, e le precisazioni di E. Borsellino su “Lazio ieri e oggi”, n. LVII, 7-9 (634), luglio settembre 2021, pp. 178-184. Gli altri sedici finiti nelle mani di William Young Ottley, celebre collezionista e mercante inglese, furono messi all’incanto giungendo oltremanica, come l’Autoritratto come San Paolo di Rembrandt, firmato e datato 1661, venduto a Londra il 24 maggio 1808. La vicenda di questa dispersione è stata oggetto di una interessante mostra curata da Alessandro Cosma nel 2020 nella quale è stato esposto il dipinto di Rembrandt tornato per la prima volta in Galleria grazie ad un accordo con il Rijksmuseum (Rembrandt alla Galleria Corsini. L’autoritratto come San Paolo, a cura di A. Cosma, Torino 2020).
Nonostante le gravi perdite della parentesi francese, già nel primo decennio dell’Ottocento la Galleria registrava nuovi ampliamenti: le sale erano aumentate da sette a otto e i dipinti del primo piano erano passati dai 399 catalogati nel 1784 ai 419 elencati nell’inventario del 1806. Una serie di documenti e liste inventariali, alcune delle quali rese qui note da Borsellino per la prima volta, documentano l’evolversi della raccolta nel XIX secolo sotto l’egida colta del principe Tommaso Corsini senior. Diverse lettere risalenti al 1810-1811 riferiscono della volontà del principe di migliorare la sistemazione alla quadreria, compito che venne affidato al pittore Gaspare Landi e al pittore restauratore Pietro Palmaroli. Quest’ultimo intervenne in quegli anni su alcune delle opere più celebri della raccolta, tra le quali il San Giovanni Battista di Caravaggio (Fig. 4). Il dipinto era presente certamente in Galleria almeno dal 1784, come si ricava dall’utilissimo inventario ragionato di tutte le opere Corsini di pertinenza delle Gallerie Nazionali d’Arte Antica Barberini Corsini, inclusi gli oggetti d’arte conservati nel Palazzo Corsini e nell’ex giardino annesso, che Borsellino a posto a chiusura del primo volume, redatto con la preziosa collaborazione di Monica Minati che ha curato anche l’aggiornata bibliografia.
Nell’illustrare l’estensione della raccolta nel XIX secolo, Borsellino richiama l’attenzione anche sull’arrivo al palazzo della Lungara di diversi quadri che fino ad allora avevano arredato altre proprietà della famiglia: la villa di San Pancrazio e quelle di Porto d’Anzio. La gran parte di questi dipinti, alcuni dei quali transitarono brevemente anche in Campidoglio quando nel 1818 Tommaso Corsini fu nominato Senatore capitolino, trovarono posto al secondo piano del palazzo per rimpiazzare quei quadri che, a seguito di restauri e nuove valutazioni di mercato, avevano conquistato un posto in Galleria. Ma a rivelare la grande attenzione che Tommaso senior riservò al patrimonio artistico della sua Casata fu l’aver sottoposto a vincolo fedecommissario la collezione d’arte e la biblioteca del palazzo romano, preservandone così l’integrità e l’inalienabilità, e donandola il 4 maggio 1829 al figlio primogenito Andrea. Nonostante il passaggio di proprietà, il principe continuò a occuparsi direttamente della raccolta promuovendo nuove importanti campagne di restauro affidate alla direzione di Tommaso Minardi e aprendo al pubblico la Galleria che, ai sensi delle leggi pontificie allora vigenti, dopo l’accurato esame della Commissione Generale Consultiva di Belle Arti, era dal 1827 annoverata tra “le raccolte di pregio della città di Roma”.
D’altronde la fama raggiunta dalla Galleria nell’Ottocento è documentata non solo dalle numerose richieste di ingresso degli artisti desiderosi di copiare i capolavori che vi erano conservati, ma anche dall’ammirazione espressa nei resoconti dei viaggiatori, studiosi e turisti che la visitarono tra Sette e Ottocento e che dal 1838 circa potevano anche avvalersi degli elenchi a stampa delle opere esposte. L’analisi di queste tabelle, una sorta di primi cataloghi, redatte nelle due lingue italiano e francese, messe a disposizione dei visitatori in ogni sala, ha permesso allo studioso di ricavare altre interessanti informazioni sulle modifiche degli allestimenti operati in Galleria almeno fino al 1867.
Alla fortuna critica della raccolta a partire dal XVIII secolo è riservato il quinto capitolo del primo volume nel quale sono esaminate le testimonianze scritte: dalla periegetica romana del XVIII e XIX secolo, alle descrizioni di Roma di famosi viaggiatori stranieri, ai testi pubblicati in forma di lettere – i Voyage en Italie -, ai primi progetti editoriali riguardanti le Gallerie pubbliche d’Europa nella quale fu inserita la Galleria Corsini, come quello edito dal raffinato critico d’arte francese Jean- Germaine-Désiré Armengaud nel 1856, fino alle revisioni attribuzionistiche del celebre conoscitore e collezionista bergamasco Giovanni Morelli.
Molte di queste descrizioni menzionano anche la celebre Biblioteca Corsini e illustrano insieme ai dipinti anche le sculture collocate nei vari ambienti. Se nel volume, come premette lo stesso Borsellino, la storia del ricco fondo Corsini di disegni e stampe strettamente legata alle vicende della Biblioteca e alla nascita del Gabinetto Nazionale delle Stampe non trova posto, esistendovi già recenti e avvertiti studi, una particolare attenzione è invece rivolta alla formazione della collezione di sculture, a cui è dedicato l’intero quarto capitolo. Confluiscono in queste pagine ricerche già rese note dallo studioso nel 2005, in occasione del convegno internazionale su I Corsini tra Firenze e Roma (E. Borsellino, Le sculture della Galleria Corsini di Roma, collezionismo e arredo, in I Corsini tra Firenze e Roma. Aspetti della politica culturale di una famiglia papale tra Sei e Settecento, Roma, Palazzo Poli, 27-28 gennaio 2005, Milano 2013, pp. 107-125), e nuove scoperte ricavate da ulteriori acquisizioni documentarie, oltre che dall’analisi puntuale degli apparati inventariali.
Tra i documenti più rilevanti relativi alle sculture c’è l’inedito conto dei lavori affidati a Carlo Antonio Napolioni, il “celebre ristauratore di cose antiche” al servizio dei Musei Capitolini (F.P. Arata, Carlo Antonio Napolioni (1675-1742) “celebre restauratore di cose antiche”. Uno scultore romano al servizio del Museo Capitolino, in “Bullettino della Commissione archeologica Comunale di Roma”, XCIX, 1998, pp. 153-232). Fu quest’ultimo ad intervenire sul pezzo senz’altro più famoso della raccolta di sculture: la cosiddetta sedia o Trono Corsini (Fig. 11), opera del II-I secolo a.C., rinvenuta nel 1732 durante gli scavi per l’erezione della Cappella Corsini in San Giovanni in Laterano e ancora oggi, fortunatamente, in Galleria. Fu questa un’acquisizione fortuita, così come quella del Kantharos ritrovato ad Anzio tanto ammirato da Winckelmann. Ed è proprio la casualità, come afferma lo studioso, a caratterizzare l’arrivo nel palazzo alla Lungara di gran parte delle sculture sia antiche che moderne. Esempi illuminanti in tal senso sono il caso della bella statua di Cleopatra scolpita da Pietro Paolo Olivieri nel 1574 (Fig. 12), le cui vicende sono state ricomposte dallo stesso Borsellino già nel 1989, e quello dei busti provenienti dal Casino dei Quattro Venti, oggi nell’androne del Palazzo, da riferire non ad Ercole Ferrata bensì a Giovanni Baratta (Fig. 13).
Al lettore che ha avuto la costanza di leggere tutte le dense pagine del primo volume e nel secondo volume i documenti di riferimento non potrà a questo punto sfuggire la percezione dell’enorme ricchezza artistica che ancora nella seconda metà del XIX secolo era racchiusa nel Palazzo alla Lungara. Una fotografia della consistenza di quel patrimonio nel 1877 si evince dall’inventario redatto quell’anno dalla Commissione Conservatrice che, in ottemperanza al decreto Bonghi del 5 marzo 1876, fu incaricata di catalogare tutti gli oggetti d’arte esistenti nell’edificio. Pubblicato per la prima volta e integralmente da Borsellino nel secondo volume, l’inventario del 1877, che registra 928 quadri (compresi quelli in mosaico e quelli dei cosiddetti “Primitivi” acquistati da Tommaso junior nel 1868 dalla principessa Luisa Corsini Scotto) e 259 oggetti tra sculture, bronzi e oggetti vari, costituì la base per la compilazione dell’elenco degli oggetti che i Corsini donarono allo Stato italiano nell’atto di compravendita stipulato il 19 maggio del 1883. Al passaggio da Galleria privata a Galleria pubblica Borsellino riserva l’intero sesto capitolo nel quale sono riportate i presupposti della trattativa, le parti coinvolte, e le varie fasi della complessa operazione che, com’è noto, comportò la modifica dell’articolo 4 della legge del 28 giugno 1871 (n. 286) che fino ad allora impediva l’alienazione di collezioni fedecommissarie anche se fatte a favore dello Stato o di altri enti morali e laici. Non tutti gli oggetti furono però ceduti allo Stato italiano: come spiega l’autore, dalla donazione furono esclusi alcuni pezzi “riservati”, in quanto simbolicamente legati ai fasti dell’antica famiglia, che ancora oggi sono conservati nella Collezione Corsini a Firenze. Così alla fine della transazione, insieme alla Galleria, divennero proprietà statale 605 quadri e 141 tra sculture e oggetti vari distribuiti nelle nove sale del piano nobile e nel Gabinetto di Luisa Scotto. Cristallizzata dall’inventario del 1883 e dalle belle fotografie scattate in quello stesso anno da Ludovico Tuminello su commissione di Tommaso junior, la Galleria Corsini iniziò così la sua nuova storia di istituzione pubblica, inizialmente caratterizzata dai lavori di adattamento degli spazi del palazzo alle nuove funzioni, dall’inventariazione degli oggetti ma anche dal progressivo allontanamento di alcuni di loro destinati ad andare ad arredare non solo altri ambienti del palazzo ma anche uffici governativi di rappresentanza sia in Italia che all’estero (in proposito si vedano le ultime pagine del VI capitolo). Nel 1895 con l’istituzione della Galleria Nazionale d’Arte Antica, di cui la Galleria Corsini fu unica sede fino all’acquisto nel 1949 di Palazzo Barberini, la collezione perse anche la sua originale identità fondendosi con opere provenienti da altre raccolte che lo Stato italiano andava man mano acquistando. Bisognerà aspettare gli anni ’80 del Novecento per vedere avviare importanti lavori di recupero della sua originale fisionomia.
La storia della gestione pubblica della Galleria Corsini esula dal periodo trattato da Borsellino, tuttavia, un settimo capitolo è riservato al dibattito che si sviluppò nel 2006 intorno all’annuncio dato dalla stampa di un progetto di chiusura della Galleria Corsini nel Palazzo alla Lungara e del suo trasferimento a Palazzo Barberini. Per scongiurare quel proposito, nato nel contesto della nascita del Polo Museale di Roma e motivato dalla carenza di personale e dallo scarso numero dei visitatori della Galleria, fu proprio Borsellino, con il sostegno del Dipartimento di Studi Storico-Artstici, Archeologici e sulla Conservazione dell’Università degli Studi Roma Tre, a organizzare alla fine del 2007 una Giornata di Studi chiamando ad esprimersi sulla faccenda studiosi, professori, esperti dell’argomento, ma anche i promotori del progetto e i responsabili istituzionali del Ministero per i Beni e le Attività culturali. In un’ipotetica ‘contesa’ tra l’idea di costituire a Roma un “Museo centralistico” di stampo illuminista e gli assertori del decentramento e della salvaguardia dei contesti storici cosiddetti ‘chiusi’, alla fine prevalsero le ragioni di quest’ultimi. Il progetto di trasbordare le opere Corsini a Palazzo Barberini in realtà morì prima ancora di nascere, ma c’è comunque da domandarsi cosa sarebbe successo se non ci fosse stata quella ‘chiamata alle armi’. Così la raccolta non solo rimase nel luogo dove era nata e cresciuta ma, a seguito della mozione elaborata proprio alla fine di quella Giornata, se ne progettò perfino un piano strategico di rilancio con nuovi fondi, nuovo personale e un nuovo allestimento che fu inaugurato due anni dopo (Figg. 6-7). Il criterio filologico, che determinò quell’allestimento (2009), orientato a ripristinare lo status settecentesco della quadreria e delle sale che la ospitavano e che prendeva a riferimento gli inventari del 1771 e del 1784, è oggetto di una particolare analisi da parte di Borsellino. Lo studioso ne evidenzia le contraddizioni e le ragioni dell’inopportunità di quella soluzione, prima su tutte la costatazione che il ripristino di quell’assetto settecentesco cancellava di colpo un secolo di storia della raccolta. Effettivamente, scorrendo l’intero volume e seguendo la capillare ricostruzione delle vicende appare evidente che la scelta più corretta, e anche più facile da documentare, sarebbe stata quella di ricomporre l’allestimento che la caratterizzava nel 1883, quando i Corsini consegnavano la loro Galleria alla Nazione trasformandola in un bene pubblico. Ma salvaguardare queste storie di storia dell’arte, di contesti, di collezionismo, di evoluzione e cambiamento del gusto non è mai facile e davvero molte sono le dinamiche che intervengono in certi processi di trasformazione. L’idea di avere nella capitale d’Italia una Galleria Nazionale d’Arte Antica al pari di quelle di altre capitali europee, un museo come il Louvre, il Prado o il British, in fondo non si è mai sopita e torna spesso a galla, come testimonia la recente proposta di unificazione dei musei romani avanzata da Carlo Calenda in nome della modernità nella sua campagna elettorale per l’elezione del primo cittadino di Roma. In un mondo tecnologico come quello in cui viviamo, nel quale i siti web e le applicazioni multimediali sui beni culturali sono ormai diventati un valido supporto per la didattica e per la comunicazione del racconto museale, tutto questo in fondo è ormai possibile, ma virtualmente, senza dover spostare le opere dalle loro ‘case’ o contesti. Alle proposte tecnologiche già avanzate da Borsellino nel 2013 per la “Rinascita della Galleria Corsini” oggi, a nove anni di distanza, se ne sono aggiunte molte altre largamente applicate nei musei, come le video guide, i virtual tour, i videomapping, e le tecnologie NFC o QR Code e si pensi inoltre a tutti i canali social con i quali i musei divulgano le loro iniziative, mostre, ricerche e attività didattiche. Naturalmente studi approfonditi, rigorosi e scientifici rimangono sempre lo strumento indispensabile da cui attingere per i contenuti da immettere in quelle applicazioni, per la corretta conoscenza della storia degli oggetti d’arte, per le scelte conservative e per la loro valorizzazione e oggi, per quanto riguarda la Collezione Corsini di Roma, ci si può avvalere anche di questo eccellente lavoro di Enzo Borsellino.