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Maddalena Antognetti e Caravaggio: una storia da accettare

Riccardo Bassani

Scritto da:

Riccardo Bassani

Per diritto di replica, si pubblica l’intervento di Riccardo Bassani.

Ai primi di marzo del 2022 sulla rivista “Storia dell’Arte” in tempo reale è apparsa una recensione al mio libro La donna del Caravaggio1 a firma di Francesca Curti storica dell’arte e di Orietta Verdi archivista2. Prima di trattare del libro le autrici hanno voluto dedicare una cinquantina di righe a un altro mio volume, Caravaggio assassino,firmato insieme a Fiora Bellini,pubblicato quasi trent’anni or sono3 e basato, come correttamente rilevano, «su una mole di nuovi documenti rintracciati nelle carte giudiziarie e parrocchiali degli archivi romani»4. «Un romanzo in veste di saggio storico» così lo definiscono (ma più corretto sarebbe dire un saggio storico in forma di racconto) in cui, sullo «sfondo delle vicende storiche e politiche della capitale durante il pontificato di Clemente VIII, si tratteggiava fra storie che diventano storia5 la fitta rete delle relazioni quotidiane del pittore […] oltre a fornire dettagli inediti sui rapporti con la committenza, con i mecenati e i protettori dell’artista, e in ultimo sulla data della sua prima presenza in città, risalente secondo gli autori al 1593»6. Il volume – continuano le autrici – «che aveva il pregio di una scrittura scorrevole e di una narrazione coinvolgente, riscosse immediatamente un grande successo di pubblico e non solo in Italia, ma a una prima verifica su alcuni documenti […] vennero alla luce una serie infinita di interpolazioni7 […] a cominciare dalla presenza a Roma del pittore nel 1593 che si rivelò subito un clamoroso falso storico»8. In effetti quel libro prendeva inizio da un gruppo di documenti che raccontavano di tredici giovani in banda, capeggiati da Onorio Longhi e suo fratello Decio, presi a far le baie e cantare canzoni scurrili a sera sotto le finestre di una giovane sposa ed io affermavo per bocca di un testimone che fra i presenti vi era anche Michelangelo Merisi da Caravaggio9. Una spacconata da idiota che non poteva passare inosservata10 e sulla quale ancora oggi inutilmente mi interrogo. Ovviamente sarebbe bastato scrivere era assai probabile che quella sera, fra i giovani in banda, ci fosse anche Michelangelo Merisi, già amico del suo conterraneo Onorio Longhi e da appena un anno approdato a Roma dove era giunto con ogni probabilità nell’estate del 1592, viaggiando al seguito della sua Signora e padrona Costanza Sforza Colonna marchesa di Caravaggio come nel 2005, e di nuovo in tempi più recenti, ha ipotizzato e ben argomentato Giacomo Berra11. E l’arrivo di Michelangelo nell’Urbe potrebbe essere stato preparato – come supposto da Lothar Sickel – dallo zio Ludovico Merisi, prete e già suo tutore, che a Roma aveva soggiornato qualche tempo prima giungendovi al seguito dell’arcivescovo di Milano Gaspare Visconti di cui era un “familiare” e che nell’Urbe era entrato in relazione con monsignor Pandolfo Pucci, presso il quale il pittore caravaggino trovò un primo alloggio per diretta raccomandazione, come tutto lascia pensare, dello zio12.
Insomma, per abbassare i toni della riprovazione per quell’imperdonabile (che tale resta sia chiaro) «clamoroso falso storico», ci si potrebbe anche chiedere se quella scorretta prefigurazione dell’arrivo a Roma al 1592 – 93 del Caravaggio, non abbia in qualche modo aperto la strada prima alle fondamentali ricerche sul campo di Berra, e poi all’esauriente studio di Sickel. E se così fosse, quella falsa notizia si potrebbe considerare più che il portato di un disegno criminale o di aprioristiche convinzioni il precipitato dell’intuizione, o se volete la simulazione, di uno storico in fase di ricerca.
Superfluo dire che sull’arrivo del Merisi a Roma Curti e Verdi la pensano assai diversamente, avendo fin dal 2011 sostenuto, nel catalogo della mostra Caravaggio a Roma. Una vita dal vero organizzata all’Archivio di Stato, che il Merisi arrivò nell’Urbe nel 1595, o forse nei primi mesi del ‘9613. E ciò sulla base della testimonianza di un giovane barbiere che asserì di aver conosciuto Michelangelo durante la Quaresima di quell’anno, nella bottega del pittore siciliano Lorenzo Carli14. Una notizia certamente utile in sé e tale da attestare che nella primavera del ‘96 il pittore già si trovava ben integrato in città, ma non per questo sufficiente ad escludere che l’arrivo a Roma del Merisi possa essere avvenuto tre o quattro anni prima; né d’altronde la totale mancanza di attestazioni documentarie precedenti al ‘96 può venire in soccorso, come invece si vorrebbe, per giustificare un approdo così tardivo. Oltretutto, come si possono buttare all’aria le concordi informazioni dei biografi del Caravaggio (e in particolare di quelli che lo avevano conosciuto di persona)15, così come la cronologia dei suoi esordi romani che si è andata man mano ricostruendo assieme alla sequenza logica dei suoi dipinti giovanili, se si riduce di oltre tre anni il tempo delle sue prime esperienze romane di lavoro e di vita, che invece trovano più consona e ragionevole cronologia a partire dal 1592? Domande che cominciano ad affiorare anche fra coloro che in passato si sono espressi in favore della ricostruzione che lo vorrebbe a Roma a partire del ‘95/9616.
Per parte mia, poiché continuo a sostenere la tesi dell’arrivo del Caravaggio nell’estate del ’92, colgo questa occasione per portare all’attenzione degli studiosi interessati e mettere a loro disposizione un gruppo di testimonianze – tutt’ora inedite – che in quegli anni ci fanno incontrare in città un Giovan Battista Merisi, con ogni probabilità il fratello minore di Michelangelo, che a Roma studiò presso i Gesuiti17.
Si tratta di un fascicolo conservato all’Archivio di Stato di Roma in cui sono raccolte le carte di un processo che si svolse fra il 1595 e il ’9718, avviato a seguito di una dettagliata lettera anonima, forse scritta da uno dei professori del Collegio Romano, con la quale si denunciava un nutrito gruppo di giovani che fin dal 1593 frequentavano chi la Sapienza, chi il Collegio e che si riunivano attorno ad alcune Accademie studentesche e ad un cenacolo promosso da Melchiorre Crescenzi e da Gaspare Salviani, accusati sia di dar scandalo nelle classi disturbando e interrompendo le lezioni, sia di pratiche sodomitiche che non vennero però dimostrate neppure sottoponendo a dura e ripetuta tortura colui che veniva considerato il capo della «chricca», il giureconsulto Francesco Arbasino. Fra i molti nomi, oltre a quello di Giovan Battista Merisi che come detto studiava al Collegio Romano, s’incontrano quelli dei tre fratelli Onorio, Decio e Antonio Longhi, nonché un nutrito gruppo di loro amici che ne praticavano pressoché quotidianamente la casa, fra i quali compaiono i commediografi Raffaele Riccioli e Carlo della Serva, il poeta Andrea Armenini, il galileiano Mario Guiducci e il futuro cardinale Stefano Pignatelli, poi favorito di Scipione Borghese. L’incartamento offre precise notizie su Giovan Battista Merisi che tra il 1593 ed il 1596 ebbe alloggio presso l’osteria e camera-locanda del Turchetto gestita da «Catarina Turchetta» nei pressi della Trinità dei Monti, entrò in amicizia con i fratelli Longhi essendo al Collegio Romano compagno di corso di Decio e frequentò insieme agli altri, nei pressi della Minerva, la scuola di un maestro di musica dove si praticava il canto e si imparava a suonare il liuto. Tutte notizie che danno conferma a quanto ipotizzato da Maurizio Calvesi nel 201119.

Credo insomma di poter dire che i documenti di questo fascicolo di Romana Vitij Nefandi, se studiati a fondo, possano offrire un valido e originale contributo utile ad arricchire le possibili frequentazioni del Caravaggio nei suoi primi tempi a Roma, oltre che rafforzare l’ipotesi del suo arrivo nell’Urbe fin dai mesi a cavallo tra il 1592 e il ‘93.
Prima di concludere questa parte iniziale incentrata di necessità su argomenti riconducibili a Caravaggio assassino, voglio riprendere la precitata asserzione di Curti e Verdi secondo cui in quel libro si trovano addirittura «una serie infinita di interpolazioni»20. E dunque chiarisco e torno a ripetere rinviando a La donna del Caravaggio21, laddove mi sono assunto la piena ed esclusiva responsabilità degli errori perpetrati a danno di alcuni documenti nelle citazioni riportate in Caravaggio assassino, ma insieme intendo porre un argine alla presunta infinitezza delle interpolazioni, vuoi rinviando nuovamente al mio libro22, vuoi informando che un dettagliato e completo elenco delle medesime può essere consultato nell’errata corrige posto ad epigrafe delle Avvertenze per il lettore del terzo millennio, scritte con la coautrice Fiora Bellini per la versione scaricabile del libro pubblicata il 3 settembre del 2022 sulle rispettive pagine della piattaforma Academia.edu23.
Non posso infine tralasciar di notare che l’irrealistica espressione «una serie infinita di interpolazioni» rivela – purtroppo fuori di ogni se non rispettosa almeno rispettabile critica – l’intenzione di screditare l’intero impianto documentario del libro e così delegittimare in toto, a distanza di oltre venticinque anni, ma nella coincidenza di un nuovo libro, la sostanza stessa di Caravaggio assassino. Dopo di che, avendo provveduto ad avvertire studiosi vecchi e giovani ed eventuali altri potenziali lettori su quanto accaduto in passato, le autrici passano finalmente a trattare de’ La Donna del Caravaggio avendo nel frattempo insinuato e nutrito il sospetto che potrebbe essere capitato di nuovo. Invece no.

1. «peretto» o «peredo»?

E tanto è vero che, per cominciare a mettere in discussione la mia ricerca d’archivio, si sono dovute accontentare di quella che definiscono «una lettura errata del cognome di un personaggio» altolocato attraverso la quale io avrei secondo loro «volutamente forzato la documentazione per avvalorare la tesi narrativa di una Maddalena, prostituta d’alto bordo, in rapporto con le più potenti gerarchie ecclesiastiche e vicina agli ambienti frequentati da Caravaggio»24.

Orbene, la questione attiene alla diversa lettura che loro e io diamo di una stessa parola all’interno di una frase di quattro, con la differenza che quella parola io l’ho letta nel suo contesto storico, mentre loro l’hanno letta fuori da qualsiasi contesto facendone un fatto di pura grafologia, anziché di opportuna paleografia. Fatta questa premessa e alla luce della riproduzione fotografica della parola (con l’originale ingrandito di un centinaio di volte) che le autrici esibiscono nella recensione, non ho particolari difficoltà ad accettare la loro lettura: «il Signor Alessandro peredo» che io invece in fase di ricerca ho trascritto come: «il Signor Alessandro peretto»25.

Ora tra «peretto» e «peredo» il passo è breve, ma la distanza potrebbe essere tanta. Se il primo infatti rinvia, anche in ragione del contesto, al cardinal Alessandro Peretti detto il Montalto, nipote di papa Sisto V26, l’identità del secondo resta ignota, al punto che le autrici stesse devono ammettere che trattasi di personaggio «altrimenti non noto»27. Ma se quel tal «peredo» non si sa chi fosse (e diciamo pure che forse proprio non esistette), perché il notaio, mentre trascriveva la deposizione di Maddalena Antognetti, avrebbe dovuto completare il nome del giovane e famoso principe della Chiesa in forma così artefatta e per giunta scrivendolo in minuscolo?

La risposta – sia all’estemporanea alterazione grafica del notaio, sia all’impulsiva lettura di chi ha trascritto il documento – sta nelle vicende in cui si trovava allora impelagata (siamo a giugno del 1599) la nostra cortigiana. Vicende da cui emergono una serie d’indizi concordi nel far riconoscere il peredo/peretto in questione nel cardinal Alessandro Peretti, comunemente detto Peretto,fra i protettori prima del padre e dello zio di Maddalena entrambi mercanti28, e poi anche suo e di sua sorella Amabilia, attraverso la stretta amicizia con il patrizio romano Fabio Alaleona29, la cui famiglia era legatissima ai Peretti, tanto che il cardinale Alessandro aveva voluto suo fratello Paolo come maestro di cerimonie alla corte dello zio papa30.
Ed è dunque possibile che Maddalena, interrogata in carcere e trovandosi in una situazione particolarmente delicata e forse rischiosa, sia giunta al punto di violare il basilare principio di discrezione che regolava il rapporto fra protetto e protettore. E poiché la bella cortigiana proprio non avrebbe dovuto rivelare così apertamente l’identità di quel personaggio a tutti noto, quando accadde, e altrettanto plausibile che il notaio incaricato della registrazione abbia avuto lo scrupolo di porre agli atti quel nome altisonante uscito dalla bocca di una donna pubblica scrivendolo sì, ma in minuscolo e in forma curiosamente alterata31. Visto che, per giunta, Maddalena non aveva esitato ad accompagnarlo alla sconcertante rivelazione: «Io so gravida di cinque mesi a quello»32.

2. Ainolfo de’ Bardi e Isabella sua sorella detta Lucrezia

Gli attacchi all’impianto documentario del libro proseguono concentrandosi su un altro argomento di peso, ma con un’obiezione al fondo irricevibile perché basata su una falsa notizia. Si dà il caso che attraverso un incartamento processuale, che non sembrerebbe avere diretta attinenza con le vicende della protagonista Maddalena Antognetti33, io abbia potuto ricavare che Ainolfo de’ Bardi (fiorentino strettamente imparentato con casa Medici, cavaliere di Malta, fedele alla casa di papa Aldobrandini, capitano dei cavalleggeri e, di lì a un anno, garante per la libertà del Caravaggio dopo il processo che aveva visto il pittore condannato per libello famoso a seguito della querela di Giovanni Baglione suo collega e nemico) fosse in rapporto strettissimo con Marcantonio Castelli e Camillo Nardi, amici assidui di Maddalena e Amabilia Antognetti ed entrambi cavalleggeri acquartierati nella compagnia comandata dallo stesso Bardi. Perdipiù Marcantonio, essendo di quella compagnia l’alfiere, si trovava nel ruolo strategico di ufficiale di collegamento fra il suo capitano e la truppa.

Non c’è bisogno di dire che quanto accadde in una notte di baie e di schiamazzi – di questo riferisce quell’incartamento processuale – da solo non basterebbe ad attestare la relazione di Ainolfo con le sorelle Antognetti. Tuttavia, per restare in tema di reti e di relazioni – che questo è, come noto, il metodo di ricerca che ho adottato e che Curti e Verdi sembrano non condividere o forse non comprendere –, va ricordato che Marcantonio Castelli, a lungo amico fisso di Amabilia34, era anche in più che amichevoli rapporti con i fratelli Melchiorre e Crescenzio Crescenzi (ai quali il Caravaggio aveva fatto il ritratto), entrambi amanti della bella vita e frequentatori di cortigiane35 così da non escludere che possa essere stato proprio il Castelli ad introdurli in casa delle due Antognetti36. Stessa cosa potrebbe aver fatto con il Bardi suo capitano che, fino al momento del suo ritorno a Firenze nell’autunno del 1605, dovette intrattenere con Amabilia e Maddalena una salda e duratura amicizia, ipotesi che documenti successivi vengono a rafforzare37.

Naturalmente non è questo il luogo per esporre di nuovo e in dettaglio indizi, circostanze e ipotesi che mi hanno indotto a delineare tempi e modi della relazione che legò la cortigiana Maddalena Antognetti al cavaliere Fra Ainolfo de’ Bardi38. Però non posso tralasciare di soffermarmi sulla contorta e irridente contestazione che le autrici della recensione fanno della concreta possibilità che al nobile fiorentino vada attribuita la paternità naturale di Paolo, il secondogenito di Maddalena, che il Bardi come cavaliere di giustizia dell’ordine di Malta era impossibilitato ad assumersi direttamente, in quanto formalmente tenuto al voto di castità. Motivo per cui, secondo la mia ricostruzione, chiamò Giulio Mastini dei conti di Cagli, uno dei suoi cavalleggeri, a fare da padre al bambino39.

Un robusto indizio a sostegno di questa ipotesi è emerso seguendo Caterina Carlini, madrina e balia del piccolo Paolo che ai primi di dicembre del 1605 partorì una bambina alla quale dette nome Isabella40 in omaggio, ritengo, a Isabella detta Lucrezia, una delle sorelle di Ainolfo de’ Bardi. Non solo. Per assicurare alla neonata protezione e futuro fu scelto un comparaggio a dire il vero degno più della prole di una coppia con quarti di nobiltà che della figlia di un’acconcia-teste e di un servitore41. Vide infatti impegnati come padrino Mariano de’ Bernabeis cavaliere di Malta, e come madrina la Signora Virginia de’ Rossi, moglie di Giovanni Battista Pusterla, nobile milanese che per ammogliarsi aveva rinunciato all’abito con la croce ottagona42. Insomma un battesimo che nella scelta del nome come dei compari rende manifesto e stringe il rapporto di riconoscenza e devozione fra il cavalier Bardi e la balia Caterina che in casa sua, per tre anni, aveva allattato e allevato Paolo, il figlio naturale del nobile fiorentino il quale, dopo aver rinunciato al comando dei cavalleggeri del papa, sul finire del 1605 si preparava a prendere commiato da Roma, dagli amici e dagli affetti più cari per fare ritorno a Firenze.

Ma Curti e Verdi per rifiutare in toto e in modo quasi aprioristico quella che loro chiamano la mia «tesi narrativa» – cioè le relazioni altolocate della cortigiana Maddalena Antognetti di cui era partecipe anche il Caravaggio –, dopo aver messo in discussione Flavia come presunta figlia del cardinal Montalto43, negano anche la «presunta relazione tra Maddalena e il cavaliere di Malta Ainolfo de’ Bardi relazione anch’essa, a detta di Bassani, allietata dalla nascita di un altro figlio, Paolo»44, provando a far passare per falsa la notizia secondo la quale Ainolfo aveva una sorella di nome Isabella. Però la manovra di cancellare l’indizio che mi aveva permesso di rafforzare la triangolazione fra il Bardi, il di lui figlio naturale Paolo e la sua balia Caterina acconcia-teste si mostra, come attesta l’albero genealogico dei Bardi di Vernio (fig. 1)45, un addebito palesemente scorretto e dunque da rispedire al mittente.

Fig. 1 Particolare dell’albero genealogico della famiglia Bardi di Vernio

3. Il nocciolo della questione

Dopo queste due mosse tese a minare la serietà del lavoro di ricerca documentaria sul campo su cui si fonda il libro, Curti e Verdi continuano a sferrare confusi e confusivi attacchi, vere bombe a grappolo di insulti più che di obiezioni e di argomentazioni logiche.

Ma andiamo con ordine. Le autrici della recensione ci tengono a fare una premessa: «Come è noto a chi si occupa di ricerca storica, lo storico per formulare le sue tesi deve seguire un metodo di lavoro ben preciso e cioè ricercare, selezionare, analizzare e studiare le fonti e sulla base di quelle, cioè partendo da esse e non da teorie predeterminate a cui le stesse debbano piegarsi, tentare di ricostruire gli eventi del passato». Per poi continuare precisando di aver «cercato di stabilire se le tesi proposte da Bassani con il crisma della comprovata certezza abbiano seguito un rigoroso percorso di critica filologica basata sulla corretta lettura delle fonti, accuratamente vagliate e sottoposte a raffronti e controlli incrociati»46.

Ciò detto osservo che Curti e Verdi, per mettere in discussione il mio lavoro, coerentemente con quanto premesso, si sono dedicate alla verifica della «corretta lettura» della grafia di uno o due nomi importanti con gli esiti di cui sopra ho già detto. Invece incredibilmente, in totale incoerenza con la loro stessa premessa, hanno evitato del tutto di confrontarsi con la ponderosa complessità del sistema di nessi e intrecci, di richiami e rinvii, di indicazioni e allusioni che mi è stata messa a disposizione da quella miriade di informazioni che man mano uscivano dalle carte d’archivio, cioè da quegli oltre 150 documenti che ho interamente pubblicato a chiusura del libro in quel Dossier di cui Curti e Verdi non solo non hanno evidentemente tenuto conto, ma che non hanno neppure menzionato. 

Peccato, perché è proprio dall’esame diligente di quei 150 e passa documenti trascritti e messi a loro disposizione, comprendenti anche le importanti fonti letterarie di Giovan Battista Passeri e di Giulio Mancini (sulle quali vedi in dettaglio infra), che Curti e Verdi avrebbero potuto verificare l’attendibilità delle mie «tesi» che loro dicono essere state proposte «con il crisma della comprovata certezza»47 (ed io ribatto loro: si, ma non senza la documentata attestazione!).

Peccato, perché è da lì che parte il lavoro lungo, faticoso, difficile, insidioso che ho portato avanti per anni e in parallelo alle molte, ricorrenti e talvolta assillanti domande su fatti incomprensibili, eventi e vite intrecciate, personaggi sconosciuti o ambivalenti, temi trascurati o argomenti scontati, incerte sequenze logiche e temporali. A tutte o quasi ho cercato di dare le risposte che, sulla base della mia formazione, delle mie conoscenze e delle mie ricerche ho ritenuto essere le più appropriate. Certamente, lo posso ammettere, verbalizzando il tutto in modo a volte sovrabbondante ma necessario per giustificare e dare senso ad ogni singolo passaggio della storia che stavo ricostruendo e proprio per «rendere plausibile, alla luce della mancanza di documenti che colleghino direttamente la Antognetti a Caravaggio (essendosi rivelata un’interpolazione l’unico documento in cui erano citati insieme), l’effettiva identificazione della cortigiana con Lena, la donna ricordata dalle fonti come amata da Caravaggio»48. Che è ciò che Curti e Verdi con raro accanimento provano a sostenere io non abbia fatto. Ma attenzione: interessi soggettivi non autorizzano a semplificare operazioni complesse. Forse quello che Curti e Verdi non capiscono è come io, a distanza di oltre vent’anni sia potuto passare dall’ «imperdonabile (per uno storico) falsificazione» di un documento sul quale, in un capitolo di Caravaggio assassino, «si basava la natura dei presunti rapporti tra la cortigiana e il Caravaggio»49, a questo nuovo libro in cui, non solo riconosco le mie trascorse colpe, ma anche, e senza tirar fuori dal cilindro alcuna carta che platealmente faccia incontrare il pittore e la sua modella (cioè senza più contare, come loro dicono, su quel «falso pilastro»), io abbia ciononostante potuto rintracciare o meglio ri-tracciare sul piano strettamente storico e con il metodo della microstoria (i padri della disciplina, Edoardo Grendi, Giovanni Levi e Carlo Ginzburg, mi perdoneranno) quel contesto in cui le vicende avverse della cortigiana Maddalena Antognetti si intrecciarono più che verosimilmente con i molti guai che il famoso quanto eterodosso pittore Michelangelo Merisi stava passando negli ultimi suoi anni a Roma, cioè tra la fine del 1604 e la metà del 1606.

E se è un dato incontrovertibile che ad oggi «non un documento ci fa incontrare Maddalena e Michelangelo insieme» – come correttamente e consapevolmente ha scritto Fiora Bellini nella sua densa e bella postfazione al mio libro50 – è pur vero che la soluzione d’ordine squisitamente archivistico che ho dato a due documenti riguardanti il Caravaggio di cui dirò a breve, in abbinamento a fatti, date e personaggi diversi messi in rete, ha potuto schiarire – e credo proprio una volta per tutte – quel pezzo di vita del Merisi fino ad oggi trascurato o rimasto incompreso  che nell’estate del 1605 fece seguito, con grande schiamazzo allo scoprimento in Sant’Agostino della Madonna di Loreto.

4. Da le parole sul Corso alla deturpazio

Che piaccia o no alle autrici della recensione, un antico nodo gordiano del curriculum criminale di Michelangelo Merisi si è sciolto grazie alla ricerca pura e senza colpo di spada, portandomi ad affiancare la vita di Maddalena Antognetti all’arte del Caravaggio. Cioè ad andare oltre la documentazione messa insieme tra gli anni Trenta e Cinquanta del secolo scorso dallo storico dell’arte Jacob Hess su cui si è basata tutta la critica a seguire.

Mi riferisco per cominciare a un brano del manoscritto autografo delle Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti di Giovan Battista Passeri, tratto dalla vita di Giovan Francesco Barbieri detto il Guercino in cui il biografo racconta con dovizia di dettagli le vicende dai risvolti giudiziari occorse al Merisi nell’estate del 1605. Il brano, che non compare nella prima edizione dell’opera51, fu pubblicato integralmente da Jacob Hess a seguito del ritrovamento del manoscritto originario, prima in un articolo del 193252 e poi nel 1934 nella sua edizione critica dell’opera del Passeri53. Vent’anni dopo, e questo è ciò che qui più importa, Hess mise in relazione quei fatti narrati dal Passeri (per i quali vedi infra) con un documento conservato nell’Archivio di Stato di Roma e reso noto fin dal 1881 da Antonino Bertolotti54. Il documento contiene la querela presentata da Mariano Pasqualoni, notaio del tribunale del cardinal vicario, contro il Caravaggio dopo l’aggressione di cui era stato vittima sul finire di luglio del 1605 a piazza Navona e che aveva fatto seguito ad una lite di qualche giorno prima sul Corso a causa di una certa «Lena» che il notaio dice essere «donna di Michelangelo»55 e che Jacob Hess, con articolata analisi critica nel suo saggio Modelle e modelli del Caravaggio56, ipotizzò essere stata la modella delle sue pale d’altare di soggetto mariano.
Seguendo Hess, gli storici dell’arte hanno continuato a girare attorno a queste due fonti,una documentaria e l’altra letteraria, senza far avanzare la ricerca e senza chiedersi e cercare chi fosse nella realtà quella «Lena … donna di Michelangelo» e cosa mai fosse accaduto a quei due nell’estate del 1605, fra un acceso alterco in pubblico, un arresto e un’aggressione. Tutti prendendo alla lettera e per buona la didascalica narrazione di Giovan Battista Passeri,che è ciò che, evidentemente, anche Curti e Verdi si fanno bastare. E per questo motivo respingono a priori, e senza neppure averla analizzata, la mia proposta di prima e organica lettura dei fatti, grazie alla quale ho potuto mettere insieme e in sequenza (e qui sta il nodo che ho sciolto) l’aggressione di Michelangelo e un altro fattaccio messo in campo in quegli stessi giorni dal furioso pittore, cioè la deturpatio della facciata della casa di due donne – certe Laura e Isabella del tutto estranee alla vita del pittore – che fino a ieri era stato archiviato come uno dei tanti accidenti di quella solita testa calda.

La connessione fra questi due eventi l’ho potuta dedurre dalla lettura di due annotazioni datate entrambe 27 agosto 1605 su due atti diversi con le quali, per ordine espresso del Governatore di Roma monsignor Benedetto Ala, si dava soluzione alle pendenze che in quel momento il pittore aveva nei confronti della giustizia: l’accusa di deturpatio e l’aggressione con ferimento al notaio Pasqualoni57.

Per la precisione, la prima nota sta in calce alla pace concessa il 26 agosto del 1605 da Mariano Pasqualoni al Caravaggio per il fattaccio del 29 luglio58 (fig. 2) e attesta che il Governatore, nel prendere atto dell’avvenuta composizione, giudicava risolta la questione e archiviava il processo.

Fig. 2 Particolare dell’atto di pace fra Mariano Pasqualoni e Michelangelo da Caravaggio (27 agosto 1605)

La seconda, si trova a margine sinistro della fideiussione presentata il 20 luglio da alcuni amici del pittore per farlo uscire da Tor di Nona (fig. 3)59 e attesta l’ordine dato per decreto da monsignor Benedetto Ala di cassare il procedimento originato dalla querela di Laura Della Vecchia (ma sarebbe meglio dire de Vecchi) e di Isabella Cosivi, che così si chiamavano le due donne.

Due documenti (e relative annotazioni tanto brevi quanto fondamentali) che, pur stando sotto gli occhi di tutti fin dal loro ritrovamento nel 1881 da parte di Antonino Bertolotti60, nessuno aveva fino ad oggi considerato in reciproca relazione sebbene siano stati letti, trascritti e pubblicati più volte nel corso dei decenni e da ultimo anche nel citato catalogo della mostra Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, tenutasi nel 2010 all’Archivio di Stato di Roma, in cui compaiono entrambi nella importante appendice documentaria61.

Ora però, non far parola di questa soluzione documentario-archivistica data ad una questione fondamentale e ancora irrisolta del curriculum criminale del pittore, così come fanno Curti e Verdi, non solo mina in radice la messa a fuoco del rapporto che ci fu fra Maddalena Antognetti e Michelangelo Merisi, ma sembra anche voler sbarrare la strada alla revisione della stessa biografia del Caravaggio per il periodo 1605-1606 che invece ne consegue, e con novità certo non di poco conto che la stessa Bellini ha appena cominciato ad enunciare nel ricordato saggio a postfazione del libro.

Più in generale, non voler mettere in discussione la storia così come fino ad oggi è stata ricostruita dando piena attendibilità al racconto del Passeri, rivela che l’intendimento delle due studiose è quello di farsi custodi e garanti, oltre che della precostituita lettura delle fonti, anche del senso stesso di quegli eventi così come fin qui sancito e codificato per scongiurare l’inaccettabile realtà della coincidenza che identifica in Maddalena Antognetti, cortigiana del tempo con una sua precisa identità sociale (nome, storia, relazioni e scandali), la donna che Caravaggio prese per modella e pose sull’altare della chiesa di Sant’Agostino avendola raffigurata «dal naturale» in veste di Maria vergine.

5. Laura de’ Vecchi o Della Vecchia per me pari sono

Per insistere nell’operazione di smantellamento della mia «tesi narrativa», quella cioè della più che probabile relazione fra Michelangelo e Maddalena, Curti e Verdi provano a scartare il primo e più concreto indizio, mettendo in dubbio che il teatro del diverbio fra il notaio Pasqualoni e il Caravaggio (origine di tutti i guai che fecero seguito allo scoprimento della Madonna di Loreto) sia stato quel tratto del Corso sul quale prospettava la casa di Laura de Vecchi e di Isabella Cosivi, cioè delle due donne che avevano denunciato il Caravaggio per la deturpatio di porta e facciata della loro abitazione che, guarda caso, si trovava nello stesso isolato in cui risiedeva con la famiglia Ascanio Antognetti, zio paterno di Maddalena e dove, come sappiamo per altre vie, Maddalena stessa era nata e aveva «habitato da piccola a piccola»62. Un indizio forte quindi perché, oltre a collegare le parole sul corso alla deturpatio (vedi la decisone del governatore Benedetto Ala di cassare contemporaneamente entrambi i procedimenti criminali in quel momento a carico del Merisi), implicitamente metteva in connessione le contemporanee vicende dell’una con quelle dell’altro, vedi lo sfregio a Maddalena e l’aggressione a piazza Navona a danno del Pasqualoni.

Ora, non trovando nulla da eccepire (stante che la mia affermazione deriva da un documento demografico come lo Stato delle Anime della Parrocchia di San Lorenzo in Lucina – a disposizione di tutti, ma evidentemente considerato da nessuno –, in cui Laura e Isabella e le loro rispettive famiglie, oltre a quella di Ascanio Antognetti, sono registrate fra quelle abitanti al Corso), Curti e Verdi buttano là la mancata corrispondenza del cognome di Laura Della Vecchia, che così viene indicato nel documento criminale, con quello riportato nel documento demografico, cioè de’ Vecchi, con il chiaro proposito di mettere in dubbio che si tratti della stessa persona.
Osservo a riguardo che chi studia l’Età Moderna dovrebbe sapere che era d’uso comune declinare al femminile i cognomi quando le donne venivano nominate singolarmente, come nel caso del documento criminale (vedi lezione della Vecchia), mentre quando il nome era associato agli altri componenti della famiglia, come accade negli Stati delle Anime, non veniva fatta alcuna distinzione fra marito e moglie, fra genitori e figli come, venendo al nostro caso, dimostra la lezione de’ Vecchi. E poiché si tratta con ogni evidenza del cognome assunto dalla donna dopo il matrimonio, giacché è il medesimo dei suoi figli, andrà accolto come il più corretto. Senza contare che sia il documento criminale sia quello demografico ci danno conferma che si tratta della stessa persona, in quanto entrambi segnalano lo stato vedovile di Laura e la dicono madre di figli minori63.

Quanto poi all’altra obiezione secondo la quale non si può avere certezza che Laura della Vecchia o de’ Vecchi abitasse già al Corso nell’estate del 1605, cioè al tempo della deturpatio, stante il fatto che lo Stato delle anime fotografa la situazione al marzo/aprile 1607, cioè due anni dopo il fatto, mi trovo ora nella fortunata circostanza di aver rintracciato un documento notarile, datato 19 gennaio 1606, con cui Laura De Vecchi (anzi De Vecchis trattandosi di testo in latino)subaffitta alcune stanze della sua casa a tal Francesco Castella da Crema64. Certo, qualcuno potrebbe ancora obiettare che se l’atto fu stipulato nel gennaio del 1606 ciò non prova che sei mesi prima (cioè nel luglio del 1605) Laura abitasse già lì, ma nel caso ce ne faremo una ragione. E per il momento restiamo convinti che da casa sua, affacciata alla finestra della «sala che risponde nel Corso» (fig. 4)65, la vedova Laura de’ Vecchi abbia seguito e partecipato attivamente al rumoroso alterco fra Caravaggio e il notaio Pasqualoni in una sera d’estate del 1605 durante il passeggio serale.

Fig. 4 Particolare atto di subaffitto della casa di via del Corso di Laura de Vecchi a Francesco Castella (19 gennaio 1606)

Per restare in tema di onomastica, le due autrici provano a mettere pure in dubbio che i fratelli mercanti Paolo e Ascanio fossero rispettivamente padre e zio di Maddalena, dato che nel documento da loro preso a pretesto vengono detti de Rossi anziché Antognetti66, omettendo intenzionalmente di segnalare che nei vari atti i due cognomi si alternano, trattandosi di forma di doppio cognome ancora irrisolta negli anni a cavallo fra Cinque e Seicento e tema comunque affrontato e sufficientemente spiegato nel libro67. Ad ogni buon conto e a chiusura definitiva dell’obiezione, segnalo anche in questo caso un nuovo documento datato 29 agosto 1601 riguardate Amabilia Antognetti in cui la donna, sorella maggiore di Maddalena, viene indicata quale «Domina Amabilia Antognetti sive de Rubeis romana» (fig. 5)68. E credo possa bastare.

Fig. 5 Fideiussione del Capitano Ovidio Marchetti in favore di Amabilia Antognetti sive De Rubeis

6. Giovan Battista Passeri: una legittima critica

Accolgo invece in toto e con una certa soddisfazione quella che loro definiscono la mia «delegittimazione del racconto di Giovan Battista Passeri»69 fatta, come dicono, apportando «un vero e proprio ribaltamento del significato evidente del racconto e dell’interpretazione data da generazioni di storici e critici d’arte all’episodio dell’aggressione “per causa di Lena”»70.

Preme tuttavia precisare che se di «delegittimazione» si tratta essa non è, sia chiaro, né ideologica né aprioristica, poiché fa seguito ad una più attenta rilettura delle pagine del biografo fatta alla luce del riesame filologico e critico di tutti i documenti riguardanti la questione, come detto in precedenza. Approfondendo infatti quanto già in parte scritto in Caravaggio assassino71 qui, non solo confermo ed escludo categoricamente che il diverbio sul Corso tra il pittore e il notaio sia avvenuto per motivi di gelosia come ci vorrebbe far credere il Passeri, ma anzi ribadisco e motivo che Mariano Pasqualoni agì in quanto notaio del tribunale del Vicario e forte dei compiti propri dell’ufficio cui apparteneva.

Quindi, tralasciando micro osservazioni e attacchi difficili da intendere, commentare e ancor più dialettizzare delle due autrici, penso sia invece necessario fare chiarezza una volta per tutte e perciò ricollocare il brano del Passeri al posto che gli compete tra cronaca e leggenda, senza nulla togliere all’unica fondamentale e vera informazione che esso ci fornisce. Ovverosia che a scatenare il putiferio fra il Pasqualoni e il Caravaggio nell’estate del 1605 fu, come scrisse il testimone oculare Giovanni Baglione, «l’estremo schiamazzo»72 che accolse nella chiesa di Sant’Agostino lo scoprimento della Madonna di Loreto. La pala d’altare per la quale, a detta del Passeri, una povera «ma onorata … zitella» senza nome avrebbe fatto da modella al pittore per la Madonna e che invece Jacob Hess ha poi riconosciuto nella «Lena» del più volte citato documento scoperto dal Bertolotti.

Credo insomma che sia arrivato il momento di porsi qualche domanda sull’attendibilità di Giovan Battista Passeri. Ad esempio: perché nel suo primo manoscritto delle Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti che hanno lavorato in Roma morti fra il 1641 e il 1673 si prese la briga di parlare del Caravaggio che invece era morto, come tutti sanno, nel 1610 cioè fuori del periodo trattato? E per di più facendogli incontrare il Guercino, che quando Michelangelo fuggì da Roma nel 1606 aveva appena quindici anni, e che soggiornò nell’Urbe solo fra il 1621 e il 1623? Non sarà quindi legittimo chiedersi se il Passeri nel riferire l’aneddoto dell’«onorata zitella» e del suo notaio all’epoca evidentemente circolante e che, con il passare del tempo, aveva accumulato manomissioni su dati di realtà, non fosse al fondo animato dall’intenzione di screditare la memoria del Caravaggio che definiva, senza troppi complimenti, «sinistro», «huomo scandaloso, e di cattive qualità»73?

Non è qui il caso di ripetere in dettaglio tutte le incongruenze che si possono facilmente riscontrare fra il racconto del biografo e la realtà dei fatti così come si evince dai documenti d’archivio74; tuttavia non posso tralasciare due questioni che vedono Curti e Verdi accettare e sostenere con veemenza quanto scritto dal Passeri.

E dunque, per mettere da parte l’aneddotica e tornare alla storia, è necessario prendere in seria considerazione il ruolo che il notaio Mariano Pasqualoni aveva nella complessa macchina giudiziaria romana. Stando a quanto riferì lui stesso, era infatti notaio sostituto diPaolo Spada, segretario del tribunale del Vicario75, al cui ufficio era demandato il compito di vigilare sui delitti attinenti la morale ed in particolare esercitare il controllo sulla liceità e l’ortodossia delle immagini sacre. I notai sostituti del segretario fungevano da cancellieri nel corso dei processi, redigevano ed eseguivano in prima persona o facevano eseguire mandati, monitori, decreti, bandi, editti e sentenze emessi dal cardinal vicario o dal suo vicegerente, espletando i loro compiti in piena autonomia e con discrezionalità pressoché totale76. Tenendo conto che anche al Pasqualoni erano affidati tali compiti, mi è sembrato ovvio che la discordia fra lui e il Caravaggio si debba al ruolo istituzionale che il notaio ricopriva e che nello specifico sia da collegare allo scandalo suscitato dalla Madonna di Loreto. E se le parole sul Corso furono per causa di Lena non fu certo perché l’avvenente cortigiana Maddalena Antognetti fosse dai due contesa, ma perché era lei la donna che Caravaggio aveva «ritratta dal naturale» in veste di Madonna. E per giunta con sulla spalla sinistra il velo giallo di seta che a tutti fece riconoscere nella modella una cortigiana, costretta nella vita ad indossare quel segno della sua identità di donna pubblica.

Poteva quel particolare sfuggire ai censori, dopo che il 13 novembre del 1603, l’allora cardinal Vicario di Roma Camillo Borghese – ma all’epoca dei fatti narrati pontefice col nome di Paolo V – aveva proibito ai pittori per decreto di dipingere l’«imagine del Salvatore, della Madonna, o de Santi, o Sante con ornamenti indecenti, o altra cosa profana»?77 E allora come non pensare che Mariano Pasqualoni, in virtù di tale strumento normativo, incontrando il Caravaggio sul Corso una sera dei primi di luglio del 1605, non lo abbia ammonito e forse offeso ricordandogli a quali pene andava incontro per aver osato tanto.

7. Rilettura di una postilla di Giulio Mancini

L’assetto conservatore e la propensione all’accettazione acritica delle fonti da parte di Curti e Verdi, si conferma quando passano a commentare la nuova lettura di una postilla di mano del medico senese Giulio Mancini ­– altro e più importante biografo del Caravaggio – che s’incontra nell’ultima versione manoscritta delle sue Considerazioni della pittura a margine della parte finale della vita dedicata al pittore78. Una chiosa nella quale, a mio modo di vedere, il Mancini volle appuntare seppure in forma quasi stenografica e per passaggi sincopati, i fatti accaduti nell’estate del 1605 al Merisi e a Maddalena così come io li ho ricostruiti attraverso le testimonianze d’archivio79. Le due infatti respingono senza argomenti la mia ipotesi invocando la prima lettura fatta da Adriana Marucchi nel lontano 1956, secondo la quale la postilla manciniana fa «riferimento ad un fatto violento che vide coinvolto Caravaggio a Milano»80.

Una lettura unanimemente accolta fino a tempi recenti (o riproposta con varianti di scarso rilievo) e messa in discussione solo nel 2005 da Giacomo Berra, lo studioso che più di tutti ha scavato negli archivi lombardi dedicandosi a ripercorrere gli anni giovanili trascorsi dal Caravaggio fra il borgo natale e Milano e dunque voce più che autorevole a riguardo. Già il Berra aveva notato che il Caravaggio non era tipo da commettere delitti, almeno all’epoca in cui viveva nelle sue terre di origine, così da supporre che la postilla possa semmai «riecheggiare malamente le numerose vicende giudiziarie romane vissute dal pittore caravaggino»81.

Punto centrale e dirimente dell’intera postilla è una parola che Curti e Verdi, seguendo fedelmente la lezione della Marucchi, continuano a leggere «Milano». Io invece tendo a decifrarla in «perdono», dal che ne consegue che l’appunto manciniano si relaziona alla fase conclusiva che sancì la fine delle molte disgrazie che avevano afflitto il Caravaggio fra la Pasqua del 1605, quando a Roma era stata scoperta la Madonna di Loreto e il 26 agosto, quando il notaio Mariano Pasqualoni gli aveva concesso la pace nel palazzo apostolico del Quirinale. In tal caso il sostantivo «perdono» verrebbe a riportarci al momento in cui il Caravaggio fu ammesso in udienza privata al cospetto di Paolo V per abbozzarne il ritratto e – come sostiene Fiora Bellini nel suo saggio a chiusura del libro –, prostrarsi «in atto di manifesta e incondizionata sottomissione» per «ricevere in ginocchio il perdono del papa»82 a sua completa riabilitazione (fig. 6).

Ed è proprio quel «va a perdono», chiusa della postilla manciniana, che ne giustifica e spiega l’esordio «Fece delitto», quale netta indicazione del sacrilegio compiuto dal pittore che nella pala della Morte della Vergine aveva negato la verginità di Maria prendendo a modella una cortigiana, ripetendosi con ostinazione nella Madonna di Loreto. E in pressante successione la postilla prosegue alludendo poi ai fatti che a quel delitto seguirono: «puttana scherzo et gentilhomo scherzo» (cioè le «parole sul Corso»); «ferì il gentilhomo» (cioè l’aggressione al notaio Pasqualoni di notte a piazza Navona); «puttana sfregian» (ovvero lo sfregio a Maddalena). Per concludere infine accennando al precipitare degli eventi: da un non chiaro fatto di sangue che in autunno vide coinvolto il pittore83, fino a quel «Sempre Ranuccio», annotato nella carta successiva e di cui nessuno ad oggi ha mai fatto menzione, da intendere come indubitabile riferimento al suo nemico e allo scontro mortale che il 28 maggio del 1606 Caravaggio ebbe con lui (fig. 7)84.

Fig. 7 Considerazioni della Pittura di Giovanni Mancini, codice Marciano, particolare c. 61r

8. E il saggio La modella e il «pittor celebre»: una storia in sette quadri ? 

Infine, poiché una delle due autrici è storica dell’arte, sorprendente che nella recensione non si faccia parola del saggio finale La modella e il «pittor celebre»: una storia in sette quadri (pp. 199-235) in cui Fiora Bellini individua Maddalena Antognetti in ben otto opere realizzate dal maestro lombardo fra il 1599 e il 1606, riconoscendovi in tutte la fisionomia della Roscina «per la salda e seducente fisicità del corpo, per l’espressiva femminilità delle forme, per il radioso décolleté, per il deciso arco plantare del piede flessuoso, per la capigliatura folta e fulva quasi sempre acconciata in boccoli o raccolta in trecce e, più di tutto, per l’eloquente e versatile intensità di un volto che Michelangelo illuminò genialmente di una luce nuova e speciale» (fig. 8)85.

Fig. 8 Il volto di Maddalena Antognetti in otto quadri di Caravaggio

Oltre ai dati fisiognomici individuati in evolutiva sequenza temporale la Bellini, che tratta i dipinti come documenti figurati, trova sulle tele del pittore riscontro di schegge di notizie diverse della vita di Maddalena. Mi riferisco ad esempio al «taffettà» giallo, ricorrente segno distintivo da cortigiana che Maddalena sfoggia sia in opere a destinazione privata che pubblica, ora annodato sul ventre, ora calato sulla spalla, ora a coprire il décolleté perché lei non usciva mai di casa senza metterselo «in capo»86. Oppure penso alla sua chioma acconciata a boccoli inanellati che non poteva che essere opera di «mastra» Caterina Carlini «acconcia testa delle donne», comare e balia di suo figlio Paolo87. Per non dire delle sue due gravidanze attestate dal ritrovamento degli atti di battesimo dei figli Flavia e Paolo88 che il Caravaggio – come nota la Bellini – rese evidenti: la prima nella Santa Caterina d’Alessandria (detta Maddalena in veste di Santa Caterina)89 quando Maddalena era in attesa della primogenita Flavia90, e la secondain Marta e Maria di Betania (detto Ritratto di Maddalena gravida)91 dipinto eseguito un mese o due prima di partorire il suo secondogenito Paolo92, che ritroveremo fra le braccia della madre nella Madonna di Loreto a due anni compiuti93 e poi ancora nel 1606 nella Madonna del serpe94. E a titolo di esempio non è da trascurare neppure il fatto che, stabilito il tempo delle due gravidanze di Maddalena, la Bellini abbia potuto fissare entro la cronologia delle opere del Caravaggio e con il massimo della precisione possibile, la datazione ancora incerta di quei due dipinti.

Mi sembra insomma oggettivamente conveniente notare come il contributo di una storica dell’arte – cui ho fatto cenno solo assai sommariamente –, trasferendo il portato della mia ricerca storica nella vita e nell’arte del Caravaggio, abbia di fatto aperto l’opera del Maestro ad una nuova e più ricca lettura, accresciuto l’identità della cortigiana Maddalena Antognetti del ruolo di modella princeps del pittore, oltre che implicitamente irrobustito la mia stessa ricerca sull’identificazione di Lena come donna del Caravaggio. Il tutto per confermare la bontà della scelta del metodo della microstoria adatto, almeno nel caso del Caravaggio, sia per indagare nel composito mondo in cui il pittore visse i suoi quattordici anni romani, sia per arrivare a comprendere più a fondo la novità intrinseca della sua originalissima produzione artistica.

Per questi ed altri motivi che non sto qui a continuare a dire alle mie accanite detrattrici che nel titolo del loro pezzo avvertono: «Una storia da riscrivere», io ribatto con un secco: «Una storia da accettare».

NOTE
1) R. Bassani, La donna del Caravaggio. Vita e peripezie di Maddalena Antognetti, Donzelli editore, Roma 2021.
2) F. Curti – O. Verdi, Caravaggio, Lena e Maddalena Antognetti. Una storia da riscrivere, in «“Storia dell’Arte” in tempo reale», rivista online, 2 marzo 2022
3) R. Bassani – F. Bellini, Caravaggio assassino. La carriera di un «valenthuomo» fazioso nella Roma della Controriforma, Donzelli editore, Roma 1994.
4) Curti – Verdi, cit., passim.
5) In corsivo dalla Nota degli autori in Bassani – Bellini, op. cit., p. ix.
6) Curti – Verdi, cit., passim.
7) Su questo vedi più specificamente infra.
9) Bassani – Bellini, op. cit., p. 8.
10) L’interpolazione fu portata all’attenzione degli studiosi caravaggeschi da S. Corradini, Nuove e false notizie sulla presenza di Caravaggio a Roma, in Michelangelo Merisi da Caravaggio. La vita e le opere attraverso i documenti, a cura di S. Macioce (5-6 ottobre 1995), Logart Press, Roma 1996, pp. 71-9.
11) G. Berra, Il giovane Caravaggio in Lombardia. Ricerche documentarie sui Merisi, gli Aratori e i marchesi di Caravaggio, Fondazione Roberto Longhi, Firenze 2005, pp. 245-58; Id., Caravaggio a Milano: la nascita e la formazione artistica, in Da Caravaggio ai caravaggeschi, CAM, Roma2009, p. 38; Id, Il Caravaggio da Milano a Roma: problemi e ipotesi, in Il giovane Caravaggio “sine ira et studio”, a cura di A Zuccari, De Luca Editore, Roma 2018, pp. 31-45.
12) L. Sickel, Gli esordi di Caravaggio a Roma. Una ricostruzione del suo ambiente sociale nel primo periodo romano, in «Römisches Jahrbuch der Bibliotheca Hertziana», 39 (2009/2010), p. 16.
13) M. Di Sivo – O Verdi (a cura di), Caravaggio a Roma. Una vita dal vero, catalogo della mostra, Roma, archivio di Stato di Roma – Sant’Ivo alla Sapienza, 11 febbraio – 15 maggio 2011, De Luca Editrice, Roma 2011. Cfr. in particolare F. Curti, Sugli esordi di Caravaggio a Roma. La bottega di Lorenzo Carli e il suo inventario, in Caravaggio a Roma…, cit., pp. 65-72. La tesi è stata ripresa e condivisa da: A. Cesarini, “Io so barbiero e fo la barbaria”. I barbieri di Roma alla fine del Cinquecento tra professione e mercato dell’arte, in “L’esercitio mio è di pittore”. Caravaggio e l’ambiente artistico romano, a cura di F. Curti, M. di Sivo, O. Verdi, in «Roma moderna e contemporanea», XIX, 2, 2011, pp. 259-60; M. Calvesi, Caravaggio: i documenti e dell’altro, in «Storia dell’Arte», 28, 2011, p. 23; Id., Punture caravaggesche, in «Storia dell’Arte», 29, 2011, 20, 25; F. Curti, Dalle botteghe d’arte al palazzo del Cardinal del Monte. I prima anni di Caravaggio a Roma, in Caravaggio vero, a cura di C. Strinati, Scripta Manent, Reggio Emilia 2014, pp. 321-22; J. Curzietti, Archivio Caravaggio. Indagine e ricerca documentaria: alcune riflessioni, in Caravaggio vero, cit., p. 397; C. Strinati, Il mistero del primo Caravaggio, in Caravaggio vero, cit., p. 26; C. Whitfield, Caravaggio ‘bisognoso’ – Parte prima. I primi anni romani di Caravaggio, in www.news-art.it/news/caravaggio–bisognoso—parte-prima.htm,s.d. (2014), p. n. n.; G. Bocchi, La pittura di natura morta nel Seicento e la lezione di Caravaggio, in Caravaggio e il suo tempo, Catalogo della mostra (Pinerolo, 2015-2016), a cura di V. Sgarbi e A. D’Amico, Muros, Sassari 2015, pp. 21, 23;A. Donati, “…la finse per Maddalena”. Quadro della Galleria Doria Pamphili alla luce dei primi anni di Caravaggio a Roma, in Caravaggio e il suo tempo, cit., pp. 32 e sgg.; R. Vodret, Caravaggio, l’uomo, l’artista, in Caravaggio e Mattia Preti a Taverna. Un confronto possibile, catalogo della mostra (Taverna 2015), a cura di G. Leone e G. Valentino, Gangemi editore, Roma 2015, pp. 76-7; Id., Introduzione alla mostra e al catalogo, in Dentro Caravaggio, Catalogo della mostra (Milano, 2017-2018) a cura di R. Vodret, Skira editore, Milano 2017, p. 25; R. Gandolfi, Il giovane Caravaggio nella biografia di Gaspare Celio, in Dentro Caravaggio, cit., pp.249-53; A. Zuccari, Novità biografiche e questioni di metodo, in Dentro Caravaggio, cit. p. 254; O. Verdi, Le prime tracce di Caravaggio a Roma: dalla bottega di Lorenzo Carli al palazzo del cardinal Del Monte, in Dentro Caravaggio, cit., pp.261-8.
14) A. Cesarini, I Documenti, in Caravaggio a Roma…, cit.,pp. 235-40, docc. 1-6.
15) G. Mancini, Considerazioni sulla pittura. Ed. critica a cura di A. Marucchi e L. Salerno, Accademia dei Lincei, Roma 1956-1957, 2 voll., I, pp. 223-6; G. Baglione Le vite de’ Scultori Pittori et Architetti. Dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di papa Urbano Ottavo nel 1642, Andrea Fei, Roma 1642, ed. in facsimile con postille di G. P. Bellori a cura di V. Mariani, Regio Istituto di Archeologia, Roma 1935, pp. 136-9.
16) Cfr. A. Zuccari, Cantiere Caravaggio. Questioni aperte, indagini, interpretazioni, De Luca editore, Roma 2022, pp. 27-28 e p. 40, n. 65.
17) Di un anno più giovane di Michelangelo, Giovan Battista nacque a Milano il 21 novembre 1572. Avviatosi alla carriera ecclesiastica, ottenne la prima tonsura nel 1583 (S. Placchi, Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, in «La vita cattolica» settimanale della diocesi di Cremona, 24 marzo 1974, p. 9). Studiò presso il Collegio Romano ed è possibile che sia venuto a Roma insieme al fratello al seguito della marchesa Costanza (cfr. M. Cinotti, La giovinezza del Caravaggio: ricerche e scoperte, in Novità sul Caravaggio a cura di M. Cinotti, Silvana editore, Cinisello Balsamo 1975, p. 211); M. Marini, Caravaggios “doppelgänger”. Unbekannte Originale, Zweitversionen und Mehrfachnennungen im Werk Michelangelo Merisis, in Caravaggio. Originale und Kopien im Spiegel der Forschung, catalogo della mostra, Düsseldorf, Museum Kunst Palast (9 maggio 2006-1° luglio 2007), a cura di J. Harten-J.-H. Martin, Düsseldorf 2006, p. 45.
18) ASR, TCG, Processi, Sec. XVI, vol. 30, Romana Vitij Nefandi / Coram / Illustrissimo et Reverendissimo Domino Almae Urbis Gubernatore / Pro Fisco / Contra Franciscum Albasinum alias il Dottore Infame, Rafaelem Ricciolum / Dominus Antonius Bartolettus pro charitate notarius, cc. 1r-52v.
19) M. Calvesi, Punture caravaggesche, in «Storia dell’Arte», 129, 2011, pp. 24-25 segnala la presenza di un Giovan Battista Merisi sacerdote a Roma, documentato fra il febbraio del 1593 e il febbraio del 1595 (cfr. anche Berra, Il Caravaggio da Milano a Roma…, cit., pp. 34-5).
20) Curti – Verdi, cit., passim.
21) Bassani, op. cit., p. 7, nota 7.
22) Idem, pp. 352-3, n. 216.
23) Riccardo Bassani: https://www.academia.edu/86128914/ ; Fiora Bellini: https://www.academia.edu/86131803/ .
24) Curti – Verdi, cit., passim.
25) cfr. Bassani, cit., Dossier, p. 253 doc. 15.
26) Per la ricostruzione del contesto attraverso il quale sono arrivato al rapporto di Maddalena con il cardinale cfr. il capitolo La «Roscina» del cardinale, in Bassani, op. cit.,pp. 95-118.
27) Curti –Verdi, cit., passim.
28) Bassani, op. cit., pp. 63-5.
29) Cfr. Bassani, cit., Dossier,pp. 251-3, doc. 15; p. 254, doc. 17; pp. 257-8, docc. 23 e 24; pp. 260-1, doc. 28.
30) Per il rapporto fra la famiglia Alaleona e il Peretti cfr. F. Cancellieri, Storia de’ solenni possessi de’ Sommi Pontefici, Lazzarini, Roma1802, p. 124; G. Moroni, Dizionario di erudizione storico ecclesiastica da San Pietro sino ai giorni nostri; Tipografia Emiliana, Venezia1856, XLI, p. 178; L. Caetani, Vita e diario di Paolo Alaleone da Branca Maestro delle Cerimonie Pontificie (1582-1638), Società Romana di Storia Patria, Roma 1893.
31) Bassani, op. cit., p. 101.
32) Ibidem, Dossier,pp. 251-3, doc. 15.
33) Cfr. Bassani, cit., Dossier,pp. 276-295, docc. 44-52.
34) Ibidem, pp. 328-45, docc. 80-87. L’esame di Marcantonio Castelli del 23 maggio 1603, pp. 333-4, doc. 82.
35) Sull’amicizia del Castelli con i Crescenzi cfr. Ibidem, Dossier, p. 326, doc. 78. Sui liberi costumi dei fratelli Crescenzi e di altri personaggi che dovettero avere a che fare con le sorelle Antognetti, vedi L. Sickel, Laura Maccarani: una dama ammirata dal cardinale Odoardo Farnese e il suo ritratto rubato da Melchiorre Crescenzi, in «Mélanges de l’Ecole française de Rome. Italie et Méditerranée, CXVII, 1, Langue, Languages et question nationale en Italie, pp. 331-50.
36) Cfr. Bassani, cit., Dossier, pp. 257-66, docc. 23-30.
37) Mi riferisco ad un incartamento processuale risalente al 1608 da cui emerge uno spaccato molto significativo delle frequentazioni di Amabilia e Maddalena che ospitavano in casa un cenacolo a cui partecipava un nutrito gruppo di nobili e cavalieri di Malta fiorentini e il cui animatore era Filippo Capponi, parente del Bardi (cfr. Bassani, cit., pp. 196-7; Dossier, pp. 374-92, docc. 145-149.
38) Cfr. Bassani, cit., Il nobile Cavaliere, pp. 119-39; Ivi, Due sorelle per un bargello, pp. 141-56.
39) Cfr. Bassani, op. cit., Nascita di Paolo, pp. 134-39.
40) Ivi, Dossier, p. 370, doc. 136.
41) Cfr. Bassani, cit., Dossier, p. 308, doc.71; p. 347, doc. 9.
42) Ivi, pp. 138-9.
43) Bassani, op. cit., La Roscina del cardinale, pp. 95-118; Ivi, Nascita di Paolo, pp. 134-9).
44) Curti – Verdi, cit., passim.
45) I. Marcelli (a cura di), Gli archivi Bardi di Vernio. Inventario del fondo Bardi Sarzelli, Centro Bardi, Vernio – Firenze 2006, p. 13; cit. anche in La donna del Caravaggio, p. 411.
46) Curti – Verdi, cit., passim.
47) Ibidem.
48) Ibidem.
49) Ibidem.
50) F. Bellini, La modella e il «pittor celebre»: una storia in sette quadri, in Bassani, op. cit., pp. 199-235.
51) G. B. Passeri, Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti che hanno lavorato in Roma, morti dal 1641 fino al 1673, scritte dall’autore fra il 1670 e il 1679, anno della sua morte, e date alle stampe da Gregorio Settari, Roma 1772.
52) J. Hess, Nuovo contributo alla vita del Caravaggio, in «Bollettino d’Arte», a. XXVI, s. III, luglio 1932, 1, pp. 42-4. L’autore rintracciò il manoscritto originario (Biblioteca Nazionale di Napoli, XIV, B, 20, cc. 158-159) grazie alla segnalazione contenuta in A. Borzelli, L’Assunta del Lanfranco in Sant’Andrea della Valle giudicata da Ferrante Carli, Casella, Napoli1910.
53) G. B. Passeri, Vite de’ Pittori, Scultori ed Architetti, a cura di J. Hess e pubblicata nel H. Keller, Leipzig-Wien1934 pp. 347-8.
54) A. Bertolotti, Artisti lombardi a Roma nei secoli XV, XVI e XVII, Ulrico Hoepli, Milano 1881, 2 voll., II,p. 71.
55) Cfr. Bassani, op. cit., Parte I, «Parole sul Corso», pp. 19-55; Parte III, La rovina di lei e il tracollo della fortuna di lui, pp. 159-85; pp. 352-365, docc. 104-125; pp. 371-3, docc. 140-143
56) J. Hess, Modelle e modelli del Caravaggio, in «Commentari», 1954, pp. 271-89.
57) Cfr. Bassani, cit., 27 agosto 1605: Benedetto Ala cassa due processi, pp. 36-8.
58) R. Bassani, op. cit., Dossier, pp. 363-5, doc. 125.
59) Ibidem, p. 355, doc. 107.
60) Bertolotti, op. cit., p. 71 e pp. 73-4.
61) Cfr. Cesarini, I Documenti, in Di Sivo – Verdi (a cura di), Caravaggio a Roma…, cit., p. 262, doc. 54 e p. 265, doc. 65.
62) Cfr. Bassani, op. cit., Dossier, p. 243, doc. 1; pp. 252-3, doc. 15.
63) Bassani, op. cit, Dossier, pag. 355, doc. 107 (dove si legge che Caravaggio s’impegna, una volta uscito di prigione, a non offendere la donna i suoi figli, precisazione che ce ne segnala la loro minore età e il ruolo di Laura quale tutrice); Ibidem, p. 372, doc. 142 (lo Stato delle anime non fa parola del marito della donna, ciò che ne conferma lo stato vedovile, mentrecon Laura vi sono registrati i suoi figli Pietro e Geronima ch nel 1607 avevano rispettivamente 12 e 10 anni).
64) ASR, Trenta Notai Capitolini (di qui TNC), Ufficio 19, Notaio Pietro Martino Trucca, vol. 68, Sublocatio Domus facta per Dominam Laura de Vecchis ad favorem Domini Francisci Castelle, 19 gennaio 1606, c. 153r-v.
65) L’appartamento aveva «denanzi cioè l’andito cortiletto cantina item di sopra la sala che risponde nel Corso et sopra la detta sala una stantia pure verso il Corso con un’altra al paro verso il giardino di detta casa» (ASR, TNC, Ufficio 19, Notaio Pietro Martino Trucca, vol. 68, Sublocatio Domus…, cit., c.153r).
66) Bassani, op. cit., Dossier, p. 341, doc. 86.
67) Ivi, p. 61, nota 2.
68) ASR, TCG, Fideiussioni, reg. 44, Fideiussione del Capitano Ovidio Marchetti in favore di Amabilia Antognetti alias de Rossi, 29 agosto 1601,c. 182r
69) Cfr. Bassani, op. cit., Fra storia e leggenda, pp. 50-53; Ivi, L’estremo schiamazzo, pp 179-85.
70) Curti – Verdi, cit., passim.
71) Bassani – Bellini, op. cit., cap. XI La Lena, pp.206-207
72) G. Baglione, Le vite de’ Scultori Pittori et Architetti. Dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572. In fino a’ tempi di papa Urbano Ottavo nel 1642, Andrea Fei, Roma 1642, ed. in facsimile con postille di G. P. Bellori a cura di V. Mariani, Regio Istituto di Archeologia, Roma 1935, p. 137.
73) Ibidem, p. 347
74) Cfr. Bassani, op. cit., Fra storia e Leggenda,pp. 50-5; L’estremo schiamazzo, pp. 179-85.
75) Paolo Spada fu segretario del tribunale dal 1603 al 1613 (cfr. N. A., Cuggiò, Della giurisditione e prerogative del Vicario di Roma. Opera del canonico Niccolò Antonio Cuggiò segretario del tribunale di Sua Eminenza, a cura di D. Rocciolo, Carocci, Roma 2004, pp. 94 e 98.
76) Cuggiò, op. cit., p. 157, dove l’autore, segretario del tribunale fra il 1770 e il 1739, indica espressamente questi compiti affidati ai sostituti, al preciso scopo di segnalare al cardinal Vicario e all’autorità pontificia la pessima gestione dell’archivio da lui imputata proprio all’eccessiva autonomia e discrezionalità di cui essi godevano.
77) L’editto è stato reso noto da D. Beggiao, La visita pastorale di Clemente VIII (1592-1600), Libreria editrice della Pontificia Università Lateranense, Roma1978, p. 106 e ripreso da A. Zuccari, Arte e committenza nella Roma di Caravaggio, Eri, Torino 1984, p. 16-7; F. Bologna, L’incredulità del Caravaggio, Bollati Boringhieri, Torino p. 29; Bassani – Bellini, Caravaggio assassino…,cit., p. 184-5; Bassani, op. cit., p. 54). Tuttavia fin qui non era mai stata riportata questa sua importante parte. Copia dell’editto è conservata presso la Biblioteca Casanatense di Roma nella collezione di Editti e Bandi.
78) Biblioteca Nazionale Marciana di Venezia (di qui BNMV) Ms. It., 47, 5571, Giulio Mancini, Considerazioni sulla pittura. Le considerazioni sono state pubblicate in edizione critica a cura di A. Marucchi e L. Salerno, Accademia dei Lincei, Roma 1956-1957. La questione relativa alla mia interpretazione della postilla è trattata in Bassani, op. cit., pp. 185-94.
79) Per la lettura della postilla manciniana di c. 60v del manoscritto vedi Dossier, pp. 293-4 e a FL 1 e FL 2, note 290-3; Cfr. inoltre i paragrafi Verità nascoste in una postilla, pp. 185-88, e Michelangelo «non habentem locum permamentem», pp. 188-94.
80) Curti –Verdi, cit, passim.
81) Berra, Il giovane Caravaggio…, cit., pp. 243-4.
82) Bellini, La modella e il «pittor celebre»…, cit., pp. 230-1.
83) Ibidem, pp. 188-94.
84) Cfr. Bassani, cit.,p. 194
85) Bellini, op. cit., p. 201.
86) Bassani, op. cit., Dossier, p. 311, doc 72; p. 315, doc. 73.
87) Ibidem, Dossier, p. 304, doc. 70; p. 308, doc. 71.
88) Ibidem, Dossier, p. 256, doc. 20; p. 300, doc. 62.
89) Bellini, op. cit., pp. 202-6.
90) Bassani, op. cit., Il progetto del monastero, pp. 109-13.
91) Bellini, op. cit., pp. 210-13.
92) Bassani, op. cit., Un mese o due avanti Natale, pp. 131-4
93) Bellini, op. cit., pp. 220-26
94) Ibidem, pp. 226-35.


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