La poetica del dettaglio: i gruppi scultorei di Bernini tra Virgilio e Ovidio
Il presente contributo si propone di approfondire il rapporto tra alcune sculture di Bernini, realizzate per il cardinale Scipione Borghese, e le fonti letterarie che le hanno ispirate. Sebbene questa linea di ricerca non sia nuova negli studi sull’artista, è possibile precisarne ulteriormente alcuni aspetti. Studiosi di rilievo hanno evidenziato come, nei gruppi scultorei commissionati dal Borghese, Bernini non si confronti solo con l’antico e il medium pittorico, ma realizzi anche una transizione dall’ut pictura poesis all’ut poesis sculputra.[1] L’erudizione letteraria di Bernini è dimostrata dalla sua biblioteca collocata nella casa in Via della Mercede, il cui inventario include due volumi delle Metamorfosi di Ovidio nella traduzione dell’Anguillara.[2] Tuttavia, osservando le opere di Bernini, emerge una maggiore affinità con le edizioni latine, alle quali l’artista poteva accedere tramite l’intermediazione dei letterati del suo tempo. Proprio i letterati, infatti, svolsero un ruolo fondamentale nel mecenatismo di Scipione Borghese, che nella sua collezione di Villa Borghese aveva un numero consistente di opere ispirate a temi mitologici, in particolare quelli tratti dalle Metamorfosi di Ovidio.[3] Nel caso di Bernini, è interessante notare come il legame tra le sue sculture e i miti classici non derivi da fonti iconografiche preesistenti, ma direttamente dalle fonti letterarie. A supporto di questa indagine, è stato di grande utilità il progetto ICONOS, che raccoglie un vasto catalogo iconografico e letterario dedicato alla mitologia.[4]
Un’analisi accurata di alcuni passi in latino dell’Eneide di Virgilio e delle Metamorfosi di Ovidio rivela come essi trovino un preciso riscontro nelle sculture di Bernini, come nel gruppo dell’Enea e Anchise, nel Ratto di Proserpina e nell’Apollo e Dafne. Di seguito, vengono forniti alcuni esempi per dimostrare la diretta dipendenza delle opere scultoree dalle fonti letterarie di riferimento.
Semper debilis vixit: il significato del dettaglio della presa di Enea su Anchise
Iam pridem inuisus diuis et inutilis annos
demoror, ex quo me diuum pater atque hominum rex
fulminis afdlavit ventis et contigit igni (Verg. aen. II, 647-649).[5]
Tali versi si riferiscono a un passo precedente al momento della fuga. Si tratta dell’episodio in cui Enea cerca di convincere Anchise a fuggire da Troia, ma l’anziano padre, inizialmente, si rifiuta di abbandonare la città. Anchise, infatti, sostiene di essere ormai vissuto abbastanza, dato che era anche ostile agli dei. Egli ricorda infatti di essere stato colpito in passato da un fulmine di Giove, poiché si era vantato di essersi unito alla dea Venere (Verg. aen. II, 647-649). L’intervento della stessa dea aveva fatto in modo che il fulmine divino non lo uccidesse ma lo sfiorasse soltanto. Tuttavia, Anchise, anche se sopravvissuto, ha riportato delle conseguenze: egli avrebbe subito la paralisi delle gambe.[6] Virgilio non specifica le ripercussioni fisiche riportate da Anchise dopo la punizione subita da Giove. Di conseguenza, uno strumento fondamentale per l’interpretazione dei versi virgiliani è stato il commento di Servio all’Eneide di Virgilio.[7] Tale opera, insieme ai Commentarii in Vergilii Bucolica e i Commentarii in Vergili Georgica, ha avuto un successo tale da incentivare continue ristampe nei secoli successivi. Sappiamo infatti che nel Cinquecento erano diffusissime le stampe delle edizioni dell’Eneide di Virgilio che contenevano all’interno il commento di Servio.[8] Tale fonte letteraria è fondamentale per quanto riguarda il passo appena citato. Nel suo commento a tali versi Servio interpreta il passo virgiliano sostenendo che Anchise fu punito da Giove per essersi vantato di aver giaciuto con una dea ma non rimase ucciso dal fulmine scagliato dalla divinità grazie all’intervento provvidenziale di Venere. Tuttavia, Anchise, essendo stato sfiorato da tale fulmine, subì la paralisi delle gambe.
Scrive infatti Servio:
Sed Venus cum eum fulmine posse vidisset interimi, miserata iuvenem in aliam partem fulmen detorsit, Anchises tamen afflatus igne caelesti semper debilis vixit.[9]
Il termine debilis fa infatti riferimento a un corpo invalido, storpiato. Un altro termine utilizzato da Servio nel suo commento a tale passo è captis membris che fa riferimento alle membra colpite dal fulmine.
Osservando il gruppo scultoreo di Bernini si nota che il corpo di Anchise sembra non stare in equilibrio sulle spalle di Enea. In particolare, è interessante notare il dettaglio delle gambe irrigidite che sono afferrate dalle mani del giovane troiano (fig. 1); a causa della rigidità dei muscoli della gamba, le mani del figlio non affondano nella carne del vecchio padre.
Ciò è significativo, se si pensa che a pochi anni di distanza Bernini realizzerà il celebre dettaglio delle dita di Plutone che affondano nella coscia di Proserpina. Si potrebbe pensare inizialmente a un Bernini non ancora maturo stilisticamente per la realizzazione di un tale virtuosismo, tuttavia non bisogna dimenticare che già il gruppo dell’Enea e Anchise presenta particolari di altissimo livello stilistico, come la differenza tra le epidermidi dei tre personaggi per evidenziare la loro differenza di età. Ne consegue che Bernini in questo caso abbia realizzato una presa differente rispetto a quella di Plutone su Proserpina poiché si è attenuto alla fonte letteraria di riferimento; le mani di Enea non possono infatti affondare nella carne di Anchise a causa della paralisi delle gambe dell’anziano padre, dovuta alla punizione subita da Giove che lui stesso ha ricordato nel passo dell’Eneide citato in precedenza. Sappiamo infatti che la paralisi muscolare si può manifestare nella cosiddetta paralisi spastica, che è caratterizzata da un aumento del tono muscolare determinando un perenne stato di contrattura dei muscoli. Inoltre, se si osservano attentamente le ginocchia di Anchise, si può notare la presenza di solchi simili a ferite che invece non compaiono sulle ginocchia di Enea (fig. 2). Tale dettaglio potrebbe fare riferimento al segno lasciato dal fulmine di Giove che ha causato la paralisi delle gambe dell’anziano padre.
La mano che sfiora con delicatezza e la mano che affonda nella carne: un confronto tra l’Apollo e Dafne e il Ratto di Proserpina di Bernini
Vix prece finita torpor gravis occupat artus;
mollia cinguntur tenui praecordia libro;
in frondem crines, in ramos bracchia crescunt
pes modo tam velox pigris radicibus haeret;
ora cacumen habet; remanet nitor unus in illa.
Hanc quoque Phoebus amat, positaque in stipite dextra
sentit adhuc trepidare novo sub cortice pectus…
(Ov. met. I, 548-554)
I versi che mettono maggiormente in rapporto il gruppo scultoreo di Bernini con le Metamorfosi di Ovidio sono quelli che descrivono la trasformazione di Dafne in alloro.[10] Bernini riesce a rendere fedelmente i capelli e le mani della ninfa che gradualmente si trasformano in foglie di alloro, mentre i suoi piedi vengono bloccati dalle radici.[11] Nei versi che catturano l’attimo in cui Apollo raggiunge Dafne è di notevole importanza prestare attenzione all’uso dei termini scelti da Ovidio: per descrivere il momento in cui Febo posa la mano sul ventre di Dafne, l’autore scrive posita. Si tratta del participio perfetto del verbo latino pono, il cui significato generale in questo passo è “posare” o anche “adagiare”. Sapendo che i termini che vengono utilizzati nella lingua latina presentano sempre un significato molto più approfondito rispetto a quanto si percepisce durante una prima lettura di un brano, è necessario compiere una corretta analisi di questo verbo in rapporto all’azione che viene descritta nel passo ovidiano. Agendo in tal modo sarà utile capire se vi sia una stretta correlazione tra testo letterario di riferimento e l’elaborazione scultorea di Bernini relativa al dettaglio della mano di Apollo che si posa sul ventre di Dafne. Bisogna chiedersi prima di tutto se pono sia un verbo che indichi un gesto che non avvenga con forza e irruenza bensì con delicatezza. Il più autorevole tra i dizionari di lingua latina, il Thesaurus Linguae Latinae, ci permette di conoscere tutti i significati del verbo latino pono e in che ambito essi sono applicati.[12] Tra i vari contesti in cui viene utilizzato vi è in corpore alterius: hominis amati, concupiti. Si tratta quindi della conferma che il verbo pono presenta un significato preciso nel passo ovidiano e che tale significato è relativo non a una mano che si posa con forza sul ventre di Dafne, ma a un tocco leggero e delicato dovuto all’effetto della passione amorosa provata per la prima volta da Apollo. Ed è proprio quello che ha realizzato Bernini in scultura: la mano del dio non affonda nelle carni di Dafne ma si posa dolcemente sul ventre ormai coperto da un sottile strato di corteccia (fig. 3).
È una presa leggera, delicata, tipica di chi è vinto dalla forza di amore. Si potrebbe confermare questa ipotesi mettendo a confronto anche in questo caso la presa di Apollo su Dafne con quella di Plutone su Proserpina. Le differenze stilistiche tra i dettagli dei due gruppi scultorei sono nette: Plutone, infatti, non ha una presa delicata sulla fanciulla, ma le sue dita affondano nella carne di lei proprio per evidenziare la violenza del gesto (fig. 4).
…Quo dum Proserpina luco
ludit et aut candida lilia carpit,
dumque puellari studio calathosque sinumque
implet et aequales certat superare legendo,
paene simul visa est dilectaque raptaque Diti:
usque adeo est properatus amor. Dea territa maesto
et matrem et comites, sed matrem saepius, ore
clamat, et, ut summa vestem laniarat ab ora,
conlecti flores tunicis cecidere remissis;
tantaque simplicitas puerilibus adfuit annis:
haec quoque virgineum movit iactura dolorem.
(Ov. met. V, 391-401).
A differenza dell’episodio di Apollo e Dafne, il rapimento di Proserpina è descritto in pochi versi e l’azione si svolge con estrema rapidità.[13] La scelta di descrivere brevemente l’atto di Plutone è significativa in quanto la velocità simboleggia la violenza. Anche in questo caso, nei versi citati, vi sono dei termini in lingua latina il cui significato evidenzia la forza del gesto di Plutone, termini che Bernini sembra comprendere chiaramente esprimendoli in alcuni dettagli del gruppo scultoreo. Un altro elemento significativo da tenere in considerazione è la differenza tra i tratti anatomici di Plutone da quelli di Apollo scolpiti da Bernini. Lo scultore ha realizzato due opere che rappresentano un simile soggetto, ovvero un dio che tenta di rapire una fanciulla, tuttavia la rappresentazione delle divinità è completamente differente. Plutone, infatti, è rappresentato con una muscolatura fortemente accentuata, i suoi tratti del viso e la folta barba non sono tipici di un giovane, come nel caso della scultura di Apollo, ma sono quelli di un uomo adulto. Questa breve digressione sull’anatomia di Plutone è importante, perché ogni dettaglio è significativo in rapporto alla fonte letteraria di riferimento; nel testo delle Metamorfosi, a differenza del mito di Apollo e Dafne, Ovidio non parla di primus amor quando narra dell’innamoramento di Plutone per Proserpina, non descrive un dio che prende la parola e si presenta alla ninfa rivolgendosi in tono supplichevole nei suoi confronti. Il rapimento è descritto in pochi versi poiché in questo caso non si tratta di un giovane dio inesperto dell’arte di amare, ma del signore dell’Averno che, grazie al suo potere, ottiene con la sua forza ciò che desidera senza indugiare.
Paene simul visa est dilectaque raptaque Diti:
usque adeo est properatus amor…
(Ov. met. V, 395-396)
Il termine più significativo nel testo latino che fa comprendere come l’episodio non descriva solo una scena di rapimento, ma anche un atto di violenza compiuto dal dio, è rapta, perfetto passivo del verbo rapio (Ov. met. V, 395).Il verbo significa “rapire”, “afferrare”: è un gesto che avviene con violenta forza. Il participio di tale verbo, raptus, significa “stupro”. Bernini ha colto il significato di tale termine, tuttavia non avrebbe mai potuto realizzare il gesto di violenza in modo esplicito. Per evidenziare il significato del gesto di Plutone, quindi, l’artista realizza un dio dal corpo vigoroso che afferra Proserpina con una presa forte e decisa che non lascia alla fanciulla via di fuga. Immagine evidente e allo stesso tempo dissimulata di tale violazione compiuta sul corpo di Proserpina è proprio la mano di Plutone, che afferra e quasi penetra la coscia di Proserpina (fig. 4).
[1] HERMANN FIORE, 1997, Bernini scultore. La nascita del barocco in Casa Borghese 1998, Bernini 2017.
[2] Si veda ASR, Trenta notai capitolini, Ufficio 29, Simon de Cominitibus, vol. 242, cc. 652-657 r. e Borsi F. Acidini Luchinat C., Quinterio F. (a cura di), Gian Lorenzo Bernini. Il testamento, la casa, la raccolta dei beni, Firenze, Alinea editrice, 1981.
[3] VOLPI, 2004.
[4] Si veda http://www.iconos.it/
[5] Per l’Eneide di Virgilio cfr. CASALI, 2019. “Già da prima inviso dagli dei e inutile ritardo il corso degli anni, da quando il padre degli uomini e degli dei ha soffiato su di me con il vento del fulmine, e mi ha toccato con il fuoco”.
[6] PREIMESBERGER, 1998.
[7] SERVIO, Commentarii in Vergilii Aeneidos libros
[8] MAMBELLI G., 1954.
[9] SERVIO, Commentarii in Vergilii Aeneidos libros, 2.649.1.
[10] Per il mito di Apollo e Dafne contenuto nel libro I delle Metamorfosi di Ovidio cfr. BARCHESI, 2005. “Appena ha finito la supplica, le invade un pesante torpore le membra, una lieve corteccia le cinge il morbido seno, i capelli si levano in foglie, braccia si drizzano in rami i piedi fin lì così rapidi si fissano in lente radici, la chioma le invade la faccia: non resta di lei che il fulgore. Anche così, Febo l’ama e posando la mano sul tronco le sente il cuore che palpita, sotto la nuova corteccia”.
[11] L’unica differenza rispetto al passo ovidiano è la scelta da parte dello scultore di far crescere la lieve corteccia fino al ventre della ninfa, invece che coprirne anche il suo seno. Il motivo di tale scelta potrebbe essere giustificato per ragioni stilistiche: scolpire una corteccia di alloro che avrebbe coperto anche il petto della ninfa sarebbe stato estremamente impegnativo, inoltre bisogna anche considerare che se la corteccia avesse coperto tutto il corpo della ninfa si sarebbe perso il dinamismo dato al corpo di Dafne. Inoltre, Bernini non avrebbe potuto realizzare il corpo della ninfa estremamente inarcato, dovendo rinunciare quindi a dare l’idea di una corsa improvvisamente arrestata.
[12] Per verificare i casi in cui nella lingua latina si utilizza il verbo pono si veda THESAVRVS LINGVAE LATINAE, 1982 in https://www.thesaurus.badw.de/en/tll-digital/tll-open-access.html. Nel Thesaurus Linguae Latinae sono riportati inoltre una serie di esempi che presentano un tale uso del termine: nelle Elegie di Properzio, per descrivere la volontà di sfiorare il corpo della donna desiderata che sta giacendo nel sonno, viene utilizzato dall’autore il verbo pono;[12]altro passo molto significativo è quello relativo al Satyricon di Petronio dove si legge Tryphaena vultumque suum super cervicem Gitonis amabiliter ponente, la cui traduzione è “mentre Trifena ascoltava tutta rossa appoggiava amabilmente il volto sulla spalla di Gitone”, pono indica quindi un gesto compiuto con intimità e delicatezza;[12] nei versi tratti dall’Achilleide di Stazio si legge Aspiciamne iterum meque hoc in pectore ponam, Aeacide? che tradotto va a significare “Potrò rivederti e poggiare su questo tuo petto la testa, sangue di Èaco?”.[12]Tuttavia, l’esempio di maggiore interesse, tra quelli presenti nel dizionario, è proprio il passo delle Metamorfosi di Ovidio preso da noi in analisi.
[13] Cfr. BERNARDINI MARZOLLA 2015. “In questo bosco Proserpina si divertiva a cogliere viole o candidi gigli, ne riempiva con fanciullesco zelo dei cestelli e le falde delle vesti, e faceva con le compagne a chi ne coglieva di più, quando Plutone la vide, se ne innamorò e la rapì: tanto precipitosa fu quella passione. Atterrita, la divina fanciulla si mise a chiamare con mesta voce la madre e le compagne, ma soprattutto la madre, e poiché si stracciò l’orlo superiore della tunica, questa si allentò e i fiori raccolti caddero per terra; e tanta semplicità c’era nel suo cuore di vergine, che anche la perdita dei fiori le causò dispiacere.”
Bibliografia
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BORSI F., ACIDINI LUCHINAT C., QUINTERIO F. (a cura di), Gian Lorenzo Bernini. Il testamento, la casa, la raccolta dei beni, Firenze, Alinea editrice, 1981
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G. Mambelli, Gli Annali delle edizioni Virgiliane, Firenze, Leo S. Olschki Editore, 1954, pp. 183-197.
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S. Schütze (a cura di), San Lorenzo, in Bernini scultore. La nascita del barocco in Casa Borghese, catalogo della mostra a cura di A. Coliva e S. Schütze (Roma, Galleria Borghese 1998), De Luca Editori, 1998, pp. 62-77.
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S. Schütze, Kardinal Maffeo Barberini und die Entstehung des Romischen Hochbarok, Munich, Hirmer Verlag GmbH, 2007.
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THESAVRVS LINGVAE LATINAE, 10, 1, Lipsiae, 1982, pp. 2641-2642 consultato in https://www.thesaurus.badw.de/en/tll-digital/tll-open-access.html
VOLPI 2004
C. Volpi, Ozio e Negozio: in merito agli scambi tra Roma, Ferrara e il Veneto al tempo di Scipione Borghese, in Bernini dai Borghese ai Barberini. La cultura a Roma intorno agli anni Venti. Atti del Convegno (Roma, 17-19 febbraio 1999), a cura di Olivier Bonfait e Anna Coliva, Roma, De Luca Editori, 2004, pp. 57-70, pp. 27-37.
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M. Winner, Ratto di Proserpina, in Bernini scultore. La nascita del barocco in Casa Borghese, catalogo della mostra a cura di A. Coliva e S. Schütze (Roma, Galleria Borghese 1998), De Luca Editori, 1998, pp. 184-203.
Documenti d’archivio
Archivio di Stato di Roma, Trenta notai capitolini, Ufficio 29, Simon de Cominitibus, vol. 242, cc. 652-657r.
Sitografia
http://www.iconos.it/