Vai al contenuto

Una tela ritrovata a San Luigi dei Francese. Parte II: Avventure napoletane, di Pierre-Antoine Ferracin

Archivio di Stato di Napoli 26 maggio – 15 giugno 2021

Mercoledì 26 maggio, cinque del mattino. Il sole comincia a sorgere leggermente sulla cima del Vesuvio e inonda con la sua luce l’intera baia di Napoli. La città, ancora addormentata, si riprende dai fuochi d’artificio sparati il giorno prima dai quartieri spagnoli. Questa volta, il fragoroso ciao all’amico mattutino non risuona.

Sono il primo cliente al Gran Caffè Gambrinus nell’attesa che si risolva il mistero del quadro di Saint-Louis-des-Français. Incaricato dall’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede per conto dei Pii Stabilimenti di condurre quattro giorni di ricerche, mi dirigo quella mattina agli Archivi di Stato con il cuore palpitante, ignaro che l’avventura napoletana sarebbe durata tre settimane.

Come accennato nel primo articolo1, pubblicato nel maggio 2021, è la pista Catalani – basata su un elemento dell’inventario di Saint-Louis-des-Français del 1912 – che mi ha portato nella capitale del Regno delle Due Sicilie2.

I primi passi negli archivi di Napoli sono intensi, perché il tempo era poco e non sapevo bene da dove iniziare le mie ricerche. Al mio arrivo a Napoli, avevo solo un nome che non significava niente per nessuno: «Catalani». Fortunatamente, un team di archivisti, curatori e storici dell’arte si è formato fin dai primi giorni e mi ha aiutato a stabilire una strategia di ricerca negli abbondanti fondi degli inventari e archivi delle varie istituzioni napoletane3.

Dal secondo giorno, le ricerche si estendono ai musei e alle istituzioni artistiche. Sono stato ricevuto a Palazzo Reale dove ho appreso che i depositi contenevano due opere di un certo Vincenzo Catalani. Mi è concesso l’accesso ai dipinti una settimana dopo. I due dipinti, né datati né firmati, erano stati inventariati dalla Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Napoli e Provincia negli anni Settanta. Questi mi permettono di fare un confronto stilistico tra le opere del deposito di Palazzo Reale e La predicazione di San Paolo ad Atene ritrovata nella chiesa di Saint-Louis-des-Français a Roma.

La prima opera, Il Profugo di Parga, un olio su tela di 265 x 184 cm, fu inventariata nel 1907 e poi nel 1970 come appartenente alle collezioni della Reggia di Caserta.

Ha uno stile deciso e maturo che si avvicina di più all’opera in prestito dal Museo Capodimonte alla Camera dei Deputati a Roma, Episodio del diluvio universale4, olio su tela, 300 x 378cm, che alla seconda opera del deposito.

Il secondo olio su tela, Critone che consiglia a Socrate di fuggire dal carcere, 250 x 300 cm5, inventariato nel 1874 e nel 1907 nella Reggia di Caserta, è conservato intorno a un rotolo e me ne è stata mostrata solo una fotografia. Infatti, sebbene l’opera sia sopravvissuta ai numerosi bombardamenti che colpirono la Campania e sia stata poi ingegnosamente ricomposta, il suo stato non è per questo meno degradato. La tela rivela forti somiglianze con La predicazione di San Paolo ad Atene per la tavolozza di colori utilizzata, ma anche per le linee, il trattamento delle estremità anatomiche e dei panneggi.

Questi primi risultati, per quanto minuti, mi permettono di avanzare nelle mie indagini.

Vincenzo Catalani – Vincenzo Catalano
Queste tre settimane di ricerche a Napoli mi hanno permesso di stabilire parzialmente la prima biografia di Vincenzo Catalani. Tuttavia, bisogna segnalare l’errore ortografico del cognome su diversi documenti dell’epoca, che menzionano un Vincenzo Catalano e non un Vincenzo Catalani, ciò ha avvolto nel dubbio i primi giorni di ricerca, poiché non sapevo più se si trattava di una o due persone; dubbio che si è riaffermato con la scoperta dell’esistenza di un altro Vincenzo Catalani morto nel 1837.

Nato a Roma il 24 aprile 1814 e battezzato nella parrocchia di San Maria dei Martiri5, Vincenzo Catalani era il più giovane di sei fratelli (Francesco, Luigi Antonio Adriano, Luigi, Luigia Maria Rosa e Paola). Suo padre Paolo, ingegnere napoletano, fu inviato a Roma all’inizio del secolo per conto della corona delle Due Sicilie; Vincenzo era considerato un suddito napoletano, il che gli dava accesso alle istituzioni del regno7.

Dal 1826 al 1837 si formò al Reale Istituto di Belle Arti di Napoli dove vinse numerosi premi. Nel maggio del 1835, espose tre delle sue opere al Reale Museo Borbonico, che gli conferì la medaglia d’argento di prima classe per la pittura e poi la medaglia d’oro nel 18378.

All’età di 24 anni, il 20 giugno 1838, insieme ad altri sei studenti dell’Istituto di Belle Arti di Napoli, fu ammesso al concorso generale della Scuola Napoletana di Belle Arti di Roma nella sezione di pittura, presentando il seguente soggetto: Ulisse riconosciuto dal cane morente in presenza di Eumaeus nella sua capanna9.

Fino al 1844, il Convitto di Roma fu diretto da Vincenzo Camuccini, grande maestro della pittura accademica napoletana del XIX secolo, la cui influenza artistica si ritrova nell’opera del giovane Vincenzo Catalani. Il lavoro di quest’ultimo è stato ripetutamente lodato dalla direzione della Scuola e le sue opere sono menzionate, in particolare la copia collettiva de La Trasfigurazione di Raffaello, in cui ha dipinto la figura di Sant’Andrea, ma anche un Cristo in croce nel 184010.

Nel 1843, già pensionato a Roma, espose di nuovo al Reale Museo Borbonico un quadro di grande formato: Addio degli abitanti di Parga alla loro patria, di cui abbiamo trovato solo una descrizione11.

Quest’opera del 1843 si collega a quella conservata nel deposito del Palazzo Reale: Il Profugo di Parga, ed è forse iconograficamente legata a La Predicazione di San Paolo da un tema comune – l’occupazione della Grecia da parte dell’Impero Ottomano -, per la presenza di sei personaggi con il turbante, uno dei quali indossa un fez.

Dal 1848 appare come professore onorario all’Istituto Reale di Belle Arti. Nel 1855 e nel 1857, appare nell’Almanacco del Regno delle Due Sicilie nella lista dei membri come corrispondente nazionale della Reale Accademia di Belle Arti, per poi scomparire dagli archivi a partire dal 1857. Ad oggi non abbiamo ancora trovato il certificato di morte.

Inoltre, la corrispondenza tra i ministeri del Regno di Napoli, pur senza connessione diretta con il dipinto La predicazione di San Paolo ad Atene, mi fece capire la crescente importanza del pittore. Infatti, nel maggio del 1855, il Soprintendente generale scrisse al ministero degli Affari esteri che il pittore Vincenzo Catalani aveva ricevuto da Sua Santità Papa Pio IX l’incarico di raffigurare la miracolosa caduta del Santo Padre avvenuta il 12 aprile dello stesso anno durante una visita papale al convento di Santa Agnese a Roma12.

Questa commissione artistica, che a prima vista non ha alcun legame con il nostro quadro, è tuttavia la prova di un legame già ben stabilito tra il pittore e Pio IX, che può essere fatto risalire a un altro evento dell’estate 1853…

Palazzo del Quirinale Luglio 1853
La prima chiave di lettura di tutti questi documenti ruota intorno a un evento che ebbe luogo nel Palazzo del Quirinale tra il 1° luglio e il 14 luglio 1853 ed evidenzia un dipinto di Vincenzo Catalani che fu visto da Sua Santità Papa Pio IX. Il primo importante documento scoperto il 27 maggio scorso menziona un dipinto di Catalani per la chiesa di Pietrarsa, che aveva ricevuto il consenso per essere esposto nel Museo Borbonico di Napoli, senza ulteriori informazioni13:

«Eccellenza, la Maestà del Re ha sovranamente deciso, il 14 di questo mese, di permettere che il quadro di Vincenzo Catalani, commissionato da Sua Maestà per essere collocato nella chiesa di Pietrarsa, sia esposto in una delle sale del Reale Museo Borbonico. In nome del Re, ordino a Vostra Eccellenza di assicurarsi che ciò sia fatto. Napoli 15 luglio 1853».

Esattamente dieci giorni dopo la scoperta del primo documento, ho scoperto un foglio che menziona un dipinto eseguito per la chiesa di Pietrarsa da Vincenzo Catalani. Questo documento, datato 15 luglio 1853, tratta e riassume il contenuto di un’altra lettera inviata al Palazzo Reale di Gaeta il 12 luglio dello stesso anno ed è strettamente legato alla prima lettera:

«Il pittore Vincenzo Catalani informa devotamente Vostra Maestà di aver completato il quadro per la chiesa di Pietrarsa commissionato da Vostra Maestà. Quest’opera, che è stata esposta a Roma e ha ottenuto molte lodi, ha suscitato nel cuore del Santo Padre il desiderio di vederla nel suo appartamento. Il quadro è rimase lì per tre giorni e Sua Santità ebbe il piacere di vederlo quattro volte e sempre con maggiore soddisfazione. Il supplicante ora, umiliando la sua opera ai piedi di Vostra Maestà, chiede la grazia di vederla esposta al pubblico nel Reale Museo Borbonico prima di essere inviata a destinazione… »14                 

In breve, questa lettera ci dice che il grande quadro del pittore Catalani commissionato da Sua Maestà ebbe successo a Roma in una mostra che supponiamo abbia avuto luogo presso la Scuola napoletana di Belle Arti a Roma. L’eccezionale aura artistica del dipinto giunse fino al Papa e il Santo Padre in persona chiese che l’opera fosse esposta nei suoi appartamenti nel Palazzo del Quirinale. Per tre giorni, il Santo Padre l’ha ammirato almeno quattro volte e con sempre maggiore soddisfazione. Questo episodio mi ha permesso di costruire un’ipotesi circa l’evento, ipotesi che ovviamente identificherebbe il quadro scoperto a Saint-Louis-des-Français qualche mese prima come quello ammirato da Sua Santità Papa Pio IX nel luglio 1853.

Infatti, come riportato nell’articolo precedente, l’unico documento trovato negli Archivi dei Pii Stabilimenti che menziona la presenza di questo dipinto è l’inventario di Saint-Louis-des-Français del 1912, che specifica una commissione reale di Francesco II per una chiesa a Napoli. Scritto circa cinquant’anni dopo il fatto, possiamo concedere ai suoi autori alcune lacune ed errori di fatto. Qui la chiesa di Napoli diventa la chiesa di Pietrarsa, e Francesco II lascia il posto a suo padre, Ferdinando II, sovrano del Regno delle Due Sicilie fino al 1859.


La chiesa di Pietrarsa
Negli anni 1840, Ferdinando II decise di costruire un complesso industriale non lontano dai Campi Flegrei, l'”Opificio meccanico pirotecnico di Pietrarsa”, per produrre locomotive e attrezzature militari per gli eserciti del Regno in terra e in mare. Lo stesso sovrano ordinò la costruzione di una chiesa all’interno del complesso, Santa Maria Immacolata, che fu aperta al culto nel 1853, lo stesso anno in cui il quadro di Catalani fu esposto a Roma. La chiesa poteva ospitare circa mille persone ed era lunga 45 metri e larga 15, con un ricco patrimonio artistico e «numerosi dipinti di Santi». Dopo aver consultato un blog amatoriale che mi ha fornito le informazioni di cui sopra15, ho cercato di trovare l’inventario dell’arredamento artistico della chiesa di Santa Maria Immacolata, senza successo. Gli Archivi della Diocesi di Napoli mi assicurano ripetutamente che non conservano questo tipo di documento nei loro archivi e suggeriscono che il documento potrebbe essere scomparso insieme alla chiesa che fu distrutta nel 1912.  Tornando alla fonte bibliografica dell’articolo pubblicato sul blog, arrivo al volume scritto nel 1857 da Gaetano Nobile, Descrizione della Città di Napoli, delle sue vicinanze divisa in XXX giornate16, che descrive accuratamente il complesso industriale pirotecnico di Pietrarsa e la sua chiesa. A pagina 130 del volume compaiono le seguenti informazioni: la chiesa ha una facciata cinquecentesca con una sola navata di lesene e capitelli in ordine ionico e ospita «il S. Francesco di Battista Santoro, del 1853; San Ferdinando è lavoro di Vincenzo di Angelis e la S. Barbara è del pennello di Vincenzo Catalano».

Le lettere del 15 e 18 luglio 185317, citate sopra, menzionano effettivamente la chiesa di Pietrarsa come luogo in cui  doveva essere ricevuta l’opera di Vincenzo Catalani, completata a Roma pochi mesi prima, ma doveva essere esposta al Museo Borbonico di Napoli prima del suo definitivo trasferimento in questa chiesa.

Tuttavia, sul retro della lettera del 12 luglio 185318, è scritto a matita: “Catalani, quadro di Pietrarsa. Vorrebbe farlo esporre in Pubblico al Museo Borbonico“. L’uso del condizionale può indurci a pensare che questo progetto di esporre il quadro a Napoli non fu mai realizzato e che forse il quadro non lasciò mai la Città Eterna…

Santa Barbara e San Paolo
A prima vista la mia ipotesi crolla poiché, secondo il libro di Gaetano Nobile, l’opera che decora la chiesa di Pietrarsa è effettivamente di Vincenzo Catalani, ma rappresenta Santa Barbara e non San Paolo.

La rappresentazione di Santa Barbara di Catalani, tuttora mancante, doveva probabilmente avvicinarsi all’iconografia tradizionale della santa martire del IV secolo, più spesso rappresentata come una giovane donna in piedi accanto a una torre e che porta la palma dei martiri. È la santa patrona dei genieri, dei cannonieri, degli artificieri, degli ingegneri di combattimento e dei metallurgici. La sua collocazione nella chiesa del complesso pirotecnico di Pietrarsa acquista quindi un senso.

Trovo difficile credere che una Santa Barbara, per quanto bella, possa aver attirato l’attenzione del Sommo Pontefice al punto da occupare un posto d’onore nei suoi appartamenti per tre giorni. Inoltre, Gaetano Nobile aggiunge che le opere conservate nella chiesa di Pietrarsa non erano nulla di straordinario: «Le quali sebbene fossero mediocri pitture, danno nondimeno buon argomento di lavoro degli artifici napoletani».

San Paolo, Saulo di Tarso, apostolo delle Nazioni, predicatore instancabile, proprio come San Pietro, padre fondatore della Chiesa, è stato dipinto e rappresentato dai più grandi artisti che la storia dell’arte possa contare.

Mettiamoci nel contesto storico dell’estate romana del 1853. Secondo un articolo del Giornale di Roma19, la mattina del 17 giugno 1853 l’artiglieria di Castel Sant’Angelo lancia colpi in occasione dell’ottavo anniversario dell’ascesa al soglio pontificio di papa Pio IX. Dodici giorni dopo, la capitale papale celebrava in pompa magna i santi patroni Pietro e Paolo sotto la guida di Pio IX, prima di lasciare i suoi appartamenti vaticani per soggiornare nel Palazzo del Quirinale, stando sempre al IlGiornale di Roma20, consultato presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.

Roma era in festa e l’effervescenza artistica era al suo apice, con diverse grandi mostre che si svolgevano in quel periodo, alla Scuola Napoletana di Belle Arti e anche all’Accademia San Luca, che esponeva le opere del grande concorso Capitolino Balestra fino al 2 luglio, sempre secondo Il Giornale di Roma.

È in questo contesto che si svela l’opera di Vincenzo Catalani. Ma di quale opera stiamo parlando?

Possiamo immaginare che Vincenzo Catalani presenti al pubblico romano la sua opera commissionata dal re Ferdinando II. Un’opera che, al di là della figura chiave di San Paolo, ricorda al pubblico un evento contemporaneo. Fu tra il 1 e il 14 luglio 1853 che questo quadro fece il suo ingresso negli appartamenti del sovrano pontefice. Il Santo Padre avrebbe fatto portare questo quadro nei suoi appartamenti se avesse rappresentato una tradizionale e mediocre (secondo Gaetano Nobile) Santa Barbara senza nessun legame con gli eventi estivi contemporanei?

La Scuola Napoletana di Belle Arti e il Palazzo Farnese
Se il quadro presentato a Papa Pio IX nel luglio 1853 è davvero La predicazione di San Paolo, come si spiega che sia finito nelle soffitte di Saint-Louis-des-Français? 

La mia attenzione si rivolge quindi al Collegio napoletano di Roma, dove ipotizzo che sia stato realizzato ed esposto il quadro La Predicazione di San Paolo.

Nel 1731, con la morte del Duca Antonio Farnese, il ramo maschile della famiglia Farnese si estingue. Egli scrisse il suo testamento a favore di Don Carlos di Borbone, Infante di Spagna, che salì al trono delle Due Sicilie con il nome di Carlo VII. Alla morte di Carlo VII nel 1788, gli successe Ferdinando IV, e i possedimenti farnesiani furono successivamente considerati come appartenenti alla Corona di Napoli. Le proprietà a Roma comprendevano Palazzo Farnese, Villa Farnesina e Villa Madama, così come tutti gli annessi intorno a questi tre luoghi simbolo del potere farnesiano.

Nel 1825, la Scuola di Roma di Palazzo Farnese divenne centro istituzionale del Regno di Napoli per la formazione dei migliori studenti del Regio Istituto di Belle Arti. Nel 1825, un decreto fu emesso da Francesco I delle Due Sicilie che stabiliva che il Palazzo avrebbe ospitato la mostra dei pensionati ogni anno in ottobre. Il collegio si trasferì in seguito nella Villa Farnesina.

Il Regno delle Due Sicilie crollò con l’arrivo di Garibaldi a Napoli nel 1861. Francesco II, sovrano in esilio, trovò rifugio a Roma sotto la protezione di Pio IX, con il quale suo padre mantenne strette relazioni diplomatiche e di amicizia.

Nel 1874, affittò parte della sua residenza a Palazzo Farnese al governo francese per ospitare l’ambasciata. Nel 1904, i discendenti ed eredi di Francesco II, il principe Don Alfonso di Borbone, conte di Caserta e Maria Teresa di Borbone, principessa ereditaria di Hohenzollern, si accordarono per vendere alla Francia Palazzo Farnese, Villa Madama e i loro annessi per 3 milioni di franchi. Questi due eventi permisero di redigere gli inventari dei mobili del Palazzo.

Fortunatamente, l’Archivio di Stato di Napoli conserva nei suoi fondi diversi inventari di Palazzo Farnese e gran parte della corrispondenza tra gli eredi e lo Stato francese relativa alle varie trattative per la vendita alla Francia.

Non a caso, secondo l’inventario del 1895, il Palazzo conteneva nelle sue soffitte e in alcune delle sue stanze, dipinti di ex convittori dell’ex Scuola napoletana di Belle Arti di Roma: Tela ad olio dipinta ed altre tele preparate in cattivo stato degli antichi Pensionati di Belli Arti21.

È chiaro che, poiché il Palazzo Farnese era stato ceduto alla Francia, il contratto di vendita stabiliva che i venditori avevano sei mesi di tempo dalla firma del contratto per svuotare le proprietà di tutti i loro beni mobili. Possiamo supporre che La predicazione di San Paolo fosse uno dei dipinti del XIX secolo degli ex pensionanti menzionati negli inventari successivi. Poiché il loro stile accademico non era più di moda, furono lasciati ai Farnese, diventando così proprietà della Francia. La tela conservata a Saint-Louis-des-Français potrebbe quindi essere stata depositata lì per il suo soggetto religioso e registrata nel 1912 nell’inventario dei mobili della nostra chiesa nazionale come opera in «deposito», per poi cadere nell’oblio e riapparire più volte dall’inizio degli anni 2000.

Fino ad oggi, la consultazione dei libri contabili (Registro delle Liberanze) della casa dei Borboni dal 1849 al 1853 non ha permesso di identificare alcun pagamento o menzione del nome di Vincenzo Catalani. Questa linea di ricerca sarebbe lunga e tediosa da perseguire, data la quantità di registri contabili del Regno delle Due Sicilie, e trovare una prova convincente richiederebbe molto tempo.

Si potrebbero prendere in considerazione altre vie di ricerca, in particolare la consultazione dei registri doganali: trattandosi di un prodotto importato dal Nord Europa, la tela deve essere transitato per il porto di Fiumicino e lì dichiarato prima di arrivare a Roma.


Ritorno a Roma
Le indagini sono quindi tornate a Roma, agli Archivi Vaticani, che conservano i fondi di Pio IX. In effetti, è difficile immaginare che La predicazione di San Paolo di Catalani, una tela di 6,64 metri, possa essere entrata in uno dei palazzi più sorvegliati d’Europa senza lasciare alcuna traccia nei registri amministrativi del Quirinale. Inoltre, questo evento artistico di sicura importanza, che fece sì che il Papa volesse vedere il quadro nei suoi appartamenti in diverse occasioni, non poteva essere trascurato dai suoi segretari nel diario personale del Papa.

Data la mancanza di informazioni precise sull’origine de La predicazione di San Paolo ad Atene di Vincenzo Catalani, queste conclusioni rimangono provvisorie e devono rimanere, allo stato delle mie ricerche, ipotesi di lavoro.

A Pietro R.

Ringrazio le istituzioni e le persone che hanno reso possibile queste settimane di ricerca a Napoli attraverso il loro sostegno e la loro ospitalità: il Service des Travaux et Bâtiments français en Italie (STBI), l’Ambasciata di Francia presso la Santa Sede, i Pieux Établissements de France a Roma e Loreto, il Consolato Generale di Francia a Napoli, la Camera dei Deputati a Roma, il Palazzo Reale di Napoli, Brett L. e Teresa M.

NOTE

[1] Davenas Lili, Ferracin Pierre-Antoine, «Une toile retrouvée à Saint-Louis-des-français », Storia dell’arte Rivista, maggio 2021.

[2] Vorrei ringraziare i curatori dell’Institut national du patrimoine (INP) per il loro aiuto e sostegno: Lili Davenas, Marion Blocquet, François Chevrollier e Philippe Sartori

[3] Ringrazio la direttrice dell’Archivio di Stato di Napoli Candida Carrino e i suoi collaboratori Angelica Lugli, Ferdinando Salemme, Martina Magliacano e Gaetano Damiano, nonché il direttore del Palazzo Reale di Napoli Mario Epifani e il suo collaboratore Carmine Napoli, e il professor Renato Ruotolo, il dottor Tamajo Contarini del Museo di Capodimonte, Lorenzo Caravaggi.

[4] Episodio del diluvio universale, olio su tela cm. 300 x 378 inv. OA 132 Deposito temporaneo, Roma, Camera dei Deputati dal 20 maggio 1999, verbale n. 210/99 Grazie al dottor Lucio D’Orazio e al dottor Tamajo Contarini.

[5] Critone che consiglia Socrate di fuggire dal carcere Inv. 197/1874 e 187/1907.

[6] Ringrazio il professor Renato Ruotolo per il suo coinvolgimento e sostegno nella ricerca degli elementi biografici. Archivio storico dell’accademia di belle arti di Napoli (ASABAN), serie pensionato, faldone 1026, fascicolo del 1838.

[7] Ministero della Pubblica Istruzione (MPI) b. 489 / 47.

[8]  Cfr. “Giornale del Regno delle Due Sicilie” e “Annali Civili” 1837.

[9] Ulisse riconosciuto dal cane moribondo in presenza di Eumeo nella sua capanna, MPI 499 / 47

[10] MPI 499 / 73, 74.

[11] Lestremo addio che gli abitanti di Parga danno alla loro patria: In diversi gruppi la desolata popolazione di Parga è già raccolta sulla spiaggia, chi si abbraccia alle piante, chi bacia la nativa terra che dee abbandonare, chi resta compenetrato dalle sventure che gli sovrastano, chi infine dissotterra le ossa desio maggiori, e rammentano quel che furono, si accinge a raccoglierle e portarle in più sicuro asilo. quadro ricco di figura.

[12] Real Maggiordomia Maggiore e Soprintendenza generale di Casa Reale Primo Ripartimento Anno 1855 – Espediente n°86 al n°96.

[13] Lettera inviata alla direzione del Reale Museo Borbonico il 18 luglio 1853: «Eccellenza -, La Maestà del Re N S Sovrana sua determinazione del 14 andante si è degnata permettere che sia esposte a pubblica mostra in una delle sale del Real Museo Borbonico il quadro eseguito d’ordine della M S dal pittore Vincenzo Catalani per allogarsi nella Chiesa di Pietrarsa. Nel Re Nome lo commino a V E perchè si serva disporne lo adempimento. Napoli 15 Luglio 1853». Sede Centrale – MPI – Reale Museo Borbonico e Soprintendenza Generale degli Scavi – Busta 351, fase 34

[14] «Il Pittore Vincenzo Catalani espone devotamente alla Maestà Vostra come egli ha terminato il quadro da colorarsi nella Chiesa di Pietrarsa ordinatogli dalla Maestà Vostra. questa opera esposta in Roma avendo meritato molti encomi ha fatto nascere nel cuore del Beatissimo Santo Padre il desiderio di volley vedere nel suo appartamento. Quivi il quadro è rimasto per tre giorni ove Sua Santità (D.G) si è compiaciuta vederlo per ben quattro volte e sempre con maggiore soddisfazione. Il supplicante ora nell’umiliare questo suo lavoro ai piedi della Maestà vostra chiede la grazia perchè il medesimo sia esposto al pubblico nel Real Museo Borbonico prima di essere collocato alla sua destinazione, Tanto spera e l’avrà a grazia singolare… »

[15] Gamboni Antonio, Pietrarsa antico opificio borbonico 1840-1860, 21 dicembre 2021 http://www.clamfer.it/02_Ferrovie/Pietra

[16] Nobile Gaetano, Descrizione della Città di Napoli, delle sue vicinanze divisa in XXX giornate, Napoli, 1857.

[17] MPI 351/19 et MPI 480/7.

[18] MPI 480/7. 

[19] Ringrazio la professoressa Alessandra Acconci della Soprintendenza Speciale di Roma. MFP. 712/20 Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.

[20] MFP. 712/20 Biblioteca Nazionale Centrale di Roma.

[21] Sede della Real Casa di Borbone 44 – Inventari e note varie di mobili, oggetti ecc. depositati a Roma 1895. Inventario firmato il 5 luglio 1895 dal Cavalier Francesco Remer e approvato dal Duca San Martino di Mantulbo pagina 17 – Soffitta 13, 317.

(La traduzione, effettuata con Deepl, è stata rivista dalla dott.ssa Julie Pezzali)
Torna alla versione francese illustrata.