“Storia dell’arte” è una delle più autorevoli riviste dedicate agli studi storico-artistici a livello internazionale. La distingue un’apertura metodologica che, dall’attribuzione e classificazione delle opere d’arte, si allarga naturalmente all’analisi iconografica offrendo spazio alle letture iconologiche più rigorose e innovative.
Tale apertura implica l’attenzione a una storia culturale favorita dall’analisi comparativa con la produzione letteraria, filosofica, teologica e scientifica di ogni epoca. Fondamentali rimangono le indagini sulla storia della committenza e del collezionismo. Gli interessi di “Storia dell’arte” non si limitano alla produzione artistica italiana, ma si indirizzano programmaticamente verso il panorama artistico internazionale. Pur centrata sul fecondo campo di ricerca compreso tra Rinascimento e tardo barocco, la rivista prevede incursioni nel Medioevo per indirizzarsi poi verso i periodi più recenti grazie alla collaborazione di specialisti di ogni settore ed epoca. Accreditata all’estero come una delle più apprezzate riviste, ha un’ampia diffusione nelle Università, nei Musei, nelle Biblioteche e in numerosi istituti ed enti specializzati in studi storico-artistici, raggiungendo un vasto pubblico di studiosi, amateurs, antiquari e studenti.
È riconosciuta di Fascia A per l’area 10 B1.
Codice etico e procedure di pubblicazione
La storia dal 1969
Fondata nel 1969 presso la Casa Editrice “La Nuova Italia” (Firenze), “Storia dell’arte” è stata diretta da Giulio Carlo Argan, affiancato da Maurizio Calvesi con il ruolo di direttore responsabile e di redattore insieme a Oreste Ferrari e Luigi Salerno cui si aggiunge, dal 1992, la medievista Angiola Maria Romanini.
La rivista nasce a Roma con il titolo “Storia dell’arte”, rifacendosi al dibattito sulla centralità degli studi storico-artistici con cui Argan, nel saggio di apertura, impostava la linea critica. In quegli anni la Storia veniva sottoposta ad una serrata contestazione da parte delle correnti strutturaliste che la giudicavano superata come disciplina e come metodologia. Intitolare la rivista “Storia dell’arte” significava così assumere una chiara presa di posizione. Argan richiamava l’attenzione sul conflitto tra le ‘due culture’, ovvero tra le scienze umanistiche e quelle scientifiche e tecnologiche. Queste ultime venivano considerate egemoniche, assumendo persino la funzione di “indicatori di modernità”. La cultura scientifica pretendeva di imporre alle scienze umane e morali i propri criteri e metodi di valutazione. Nella presenza di questi nuovi fronti polemici, Argan avvertiva il rischio di un nuovo ‘medioevo della storia’ e la conseguente svalutazione della storia dell’arte come disciplina storica. L’illustre studioso rivendicava con energia il ruolo fondamentale delle scienze umanistiche, un ruolo che oggi la cultura avverte nuovamente come elemento essenziale e preliminare a tutti gli ambiti della ricerca. Argan infatti attribuiva alla storia dell’arte una funzione sociale fondamentale asserendo che “la cultura si fonda, organizza e sviluppa attraverso la percezione ed i collegati processi dell’immaginazione”.
Pur nella vasta apertura a contributi di illustri studiosi di ogni nazione, “Storia dell’arte” è stata una delle principali espressioni della cosiddetta “Scuola di Roma”, facente capo a Lionello Venturi e al contributo dei suoi maggiori allievi tra cui lo stesso Argan e gli altri più giovani come Salerno, Ferrari e Calvesi.
Nel 1992, con la scomparsa di Argan, la direzione passò allo stesso Calvesi e a Oreste Ferrari, che sin dall’inizio ne erano stati i redattori (affiancati da Luigi Salerno e poi da Angiola Maria Romanini). Sotto la loro guida, sempre attenta a garantire la prospettiva internazionale della rivista e il rigore metodologico dei contributi, le pubblicazioni sono proseguite fino al 2000, con l’uscita del numero 100.
Ma proprio in quel momento, in seguito alla crisi de La Nuova Italia e al conseguente passaggio di proprietà, “Storia dell’arte” ebbe una battuta d’arresto, subendo un anno di interruzione.
Per evitarne la chiusura, Maurizio Calvesi e Augusta Monferini costituirono la CAM Editrice (l’acrostico CAM allude alle iniziali dei due studiosi), che ne rilevò la testata, assicurando dal 2002 la ripresa quadrimestrale delle pubblicazioni.
La direzione della rivista è stata quindi assunta da Maurizio Calvesi (qui una Nota biografica sulla figura dello studioso) che nominò un nuovo comitato di Redazione, scegliendo i collaboratori (Lorenzo Canova, Stefano Colonna, Marco Gallo, Stefania Macioce, Massimo Moretti, Francesco Solinas, Stefano Valeri, Caterina Volpi, Alessandro Zuccari) nell’ambito della sua stessa scuola della Sapienza di Roma, dove ha insegnato per oltre un ventennio. La nuova serie ha continuato la linea critica ed editoriale precedente, apportando miglioramenti alla veste grafica, aumentando il quantitativo delle pagine e inserendo illustrazioni a colori.
Nella ‘vecchia’ serie il XX secolo era stato escluso perché teatro di avvenimenti ancora in corso e in linea di massima soggetti a operazioni più di critica che di storia. Con la svolta del nuovo secolo, che colloca ormai definitivamente il Novecento nelle prospettive della storia, ogni volume della Nuova Serie ospita un saggio dedicato a un argomento del Novecento avviando anche una serie di studi specifici su correnti e artisti dell’Ottocento italiano ed europeo, sempre più oggetto di nuove rivisitazioni critiche. In tal modo la rivista ha voluto marcare il passaggio al nuovo secolo e alla conseguente storicizzazione dell’arte più recente.
Su questi passaggi, si rimanda all’editoriale del direttore Alessandro Zuccari nel numero 1 del 2018.
Dove è diffusa “Storia dell’arte”
Accanto al lungo elenco delle Soprintendenze ai Beni Artistici, ai Musei, ai Dipartimenti Universitari, Biblioteche e alle molte Istituzioni con finalità conservative nelle regioni, provincie e comuni d’Italia, possiamo citare alcuni dei più importanti musei stranieri: la Frick Collection e il Metropolitan Museum of Art a New York, la National Gallery of Art di Washington, il Fine Arts Museum di Houston e il Kimbell Art Museum di Fort Worth, il County Museum di Los Angeles. Ad essi si affiancano alcuni tra i maggiori istituti di eccellenza americani: l’Institute for Advanced Studies di Princeton, il Getty Research Institute di Los Angeles, la Bryn Mawr University di Philadelphia, la Columbia University di New York, l’Università di Saint Louis. In Europa si possono ricordare, tra i più noti, l’Ermitage di San Pietroburgo, il Musée du Louvre di Parigi, il Victoria and Albert Museum, il Courtauld Institute of Art di Londra, il Rijksmuseum di Amsterdam e le numerose Università di Budapest, Varsavia, di Madrid, di Amsterdam, di Bonn, di Heidelberg, di Losanna, di Lione, di Helsinki, di Barcellona, di Lisbona, di Valencia, ecc. e a numerosi altri istituti nei Paesi Bassi, in Svizzera, in Ungheria, in Russia, nella Repubblica Ceca. Non potendo elencare tutte le sedi dove la nostra rivista è letta, possiamo integrare questo sintetico elenco indicando sommariamente che tra i nostri abbonati figurano alcune università e musei giapponesi, insieme ad altre importanti sedi in Corea.
Chi scrive su “Storia dell’arte”
Fin dalla sua origine la rivista è stata aperta ad una larga collaborazione internazionale. Gli articoli furono e sono tutt’ora pubblicati nella lingua dei singoli autori. Di eccellenza è la partecipazione di autori stranieri illustri che hanno collaborato in in tutti questi anni: da Ernst H. Gombrich a Robert Engass a Christoph Liutpold Frommel, a Gilbert Creighton, a Steffi Röttgen, a John T. Spike, a Bert Treffers, a Jörg Garms, a Marilyn Aronberg Lavin, a Rachel Cohen, a Elisabeth Cropper, Herwart Röttgen, Sergej Olegovič Androsov, James Hutson Jr., Christian Huemer, Ignatio Uribe, David Garcia Cueto, Louis Cellauro insieme a molti altri.
Sarebbe troppo lungo elencare anche solo i principali autori italiani, di diversa formazione. Non pochi saggi hanno dato luogo ad importanti volumi, come i ben noti di Maurizio Calvesi su Dürer, sul Polifilo e sul Caravaggio, i numerosi saggi di Alessandro Zuccari sulla Roma degli Oratoriani, quelli di Francesca Cappelletti e Laura Testa sulla collezione Mattei, quello di Marco Gallo su Borgianni, di Massimo Moretti sui documenti dell’archivio Graziani e infine i numerosi contributi di Oreste Ferrari su Luca Giordano, per citare soltanto i più assidui collaboratori.
Gli studi caravaggeschi sono stati indubbiamente uno dei temi cui la rivista ha fornito i maggiori contributi: oltre a quelli appena citati, vanno ricordati il saggio di Giuliana Zandri sull’inedito affresco caravaggesco del Casino Ludovisi, di Christoph Liutpold Frommel sull’inventario del cardinal Del Monte, di Luigi Salerno sulle opere giovanili, i contributi archivistici di Luigi Spezzaferro, l’articolo sul pittore Lorenzo Siciliano di Marco Pupillo, quello dedicato al cardinal De Torres da Vincenzo Abbate, l’analisi iconologica sui primi dipinti caravaggeschi di Dalma Frascarelli, il saggio di Stefania Macioce sulla gestualità delle figure del Merisi, e molti altri ancora.
Un tema centrale come quello del ruolo dell’Antico nella cultura rinascimentale e seicentesca, di rinnovata attenzione in questi ultimi decenni, è stato affrontato con grande efficacia da Anna Maria Riccomini e Veronica Carpita accanto allo studioso americano C. D. Dickerson.
Un nuovo e nutrito ambito di studi riguarda la ricostruzione di antiche raccolte; tra i molti contributi citiamo quello di Maria Teresa Di Dedda che tramite gli inventari ricompone la collezione della famiglia Gerini, una delle famiglie più in vista nella Firenze del Seicento.
Numerosi e di grande interesse sono infine i contributi su nuove attribuzioni sia di opere già note che cambiano paternità, sia di opere riemerse dal mercato: in questo campo una particolare menzione va riconosciuta a Massimo Pulini e Miriam Di Penta e all’elegante saggio di Francesco Solinas su Van Dyck.
Non possiamo, inoltre, tralasciare gli studi di Caterina Volpi che indaga il contesto culturale da cui nasce l’eccentrica pittura di Salvator Rosa, mentre nel campo della iconologia un interprete particolarmente raffinato è Francesco Saracino che, insieme a Maurizio Calvesi, legge nell’iconografia il linguaggio visivo con cui i vari maestri hanno interpretato le Sacre Scritture.
Per quello che riguarda il Novecento va segnalata la singolare ricerca di Antonella Sbrilli su Duchamp e sulla formazione di Dada, insieme al bellissimo saggio di Eugenia Querci che indaga l’importanza che la pittura popolare ha avuto per le avanguardie spagnole del primo Novecento.
Molti sono i nuovi studi sui maestri del XIX secolo che ne rinnovano il profilo e l’incidenza culturale. Tra questi un particolare rilievo assume la recente scoperta di un taccuino inedito di disegni e studi di Seurat da parte di Maurizio Calvesi.
In ultimo va rimarcata la fondamentale novità che “Storia dell’arte” ha introdotto in Italia nel campo delle metodologie, favorendo nuovi percorsi di ricerca e aprendo su orizzonti poco praticati dagli studi tradizionali, con una molteplicità di approcci interdisciplinari con aperture, oltre alla già menzionata disciplina dell’iconologia, all’esoterismo, all’alchimia, alla sociologia dell’arte. La valorizzazione della prospettiva storico culturale per una maggiore comprensione delle arti figurative, è stata estremamente produttiva specie come stimolo per giovani studiosi, non soltanto dell’allora Dipartimento di Storia dell’Arte della Sapienza, confluito dal 2018 nel Dipartimento di Storia Antropologia Religioni Arte Spettacolo, ma anche di altre scuole e facoltà.