Descrizione
Storia dell’Arte113/114, Gennaio – Agosto 2006
Federica Veratelli
Lacrime dipinte, lacrime reali. Rappresentare il dolore nel Quattrocento: modello fiammingo, ricezione italiana
La rappresentazione figurativa della sofferenza occupa da sempre un ruolo fondamentale nell’ambito delle immagini, impegnando chi, con sforzo critico e formale, si è dedicato allo studio della raffigurazione delle passioni umane. Da Leon Battista Alberti fino alle lezioni di Charles Le Brun e alle osservazioni di Cartesio, la manifestazione del dolore rientra nel vasto repertorio dei gesti e delle espressioni. Il Quattrocento non fa eccezione nel tentativo di dare una forma appropriata e “decorosa” alla raffigurazione del dolore che trova, nelle rappresentazioni legate al tema della Passione, un’ampia teoria di varianti espressive. Nuove scelte iconografiche e compositive tendono ad evidenziare «il contatto fisico fra la Madonna, Gesù e san Giovanni – mano con mano, mano e torso, guancia a guancia» evocando così con rinnovata intensità «il dolore vivo e cocente, i gemiti e i volti bagnati di pianto». Lo sguardo devoto è invitato ad indugiare sui volti e i gesti dei protagonisti, a contemplare il dramma della loro sofferenza «espressa visivamente in termini di gocce di sangue e lacrime, di debole e fragile apprensione, di sudori freddi, e di una pena illividita e sferzata».